Stabilimenti balneari: stavolta la Soprintendenza incassa una sonora batosta

Stabilimenti balneari: stavolta la Soprintendenza incassa una sonora batosta

Ci sono progetti di riqualificazione degli arenili che passano praticamente indenni dall'ente che tutela "archeologia belle arti e paesaggio", come sta accadendo ad esempio a Rimini. Ce ne sono altri che incontrano un muro. Come è accaduto a Bellaria. Ma i giudici amministrativi non risparmiano critiche, rilevando «una non trascurabile contraddittorietà dell’agire dell’autorità statale».

Sono misteri. Dolorosi per chi ci sbatte dentro, costretto a ricorrere ai giudici amministrativi per far valere i propri diritti, e gaudiosi per chi dalle maglie della Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio con quartier generale a Ravenna, ci passa indenne. Cosa sta succedendo?
C’è un caso significativo da segnalare perché la Soprintendenza ne esce maluccio. In estrema sintesi, uno stabilimento balneare di Bellaria che sorge su area demaniale e che deve fare i conti con il vincolo paesaggistico, nel 2002 ha ottenuto il titolo edilizio per realizzare opere in cabine e servizi ma l’amministrazione comunale non ha trasmesso l’incartamento alla Soprintendenza. Quando, nel 2019, in vista del rinnovo delle concessioni, il proprietario dello stabilimento balneare si rivolge al Comune per chiedere l’autorizzazione paesaggistica, la Commissione comunale per la “Qualità Architettonica e il Paesaggio” dà il via libera ed esprime un giudizio favorevole, quindi trasmette la pratica alla Soprintendenza per il relativo parere. E qui iniziano i guai perché da Ravenna rispondono picche. Non restava che impugnare l’atto della Soprintendenza davanti al Tar di Bologna e così è accaduto.
La sentenza pronunciata, pubblicata oggi, è molto istruttiva. Prima di tutto, la Soprintendenza emette un avviso di procedimento negativo in merito ai manufatti ad uso cabine e servizi realizzati presso lo stabilimento balneare, dopo che ne aveva formulato uno positivo sul Piano particolareggiato dell’arenile approvato dal comune nell’anno 2000. E qui c’è la prima grossa incongruenza. I giudici amministrativi trasecolano davanti allo “stop” deciso dalla Soprintendenza, tanto da scrivere in sentenza che «alcuni aspetti di fatto valgono a conferire alla vicenda amministrativa all’esame una certa “singolarità”». Viene infatti ripercorsa la storia di quello stabilimento, che è inserito nel vecchio Piano particolareggiato di oltre vent’anni fa e che «prevedeva la demolizione delle strutture all’epoca ivi insistenti su quel tratto di spiaggia con la ricostruzione ex novo di manufatti costituiti da cabine, chioschi bar e così via da realizzarsi con i moduli e le caratteristiche architettoniche descritte dal predetto strumento di pianificazione». Si trattava di un Piano esecutivo, che in dettaglio precisava tipologia e morfologia dei manufatti da installare, compresi i materiali e gli elementi di arredo. La Soprintendenza lo accolse e lo approvò, nulla da ridire, insomma, circa la compatibilità paesaggistica. Non fu nemmeno un caso isolato perché interessò i ventidue stabilimenti balneari che si affacciano sul lungomare Cristoforo Colombo. «Dopo di ciò la stessa Soprintendenza, nulla ebbe da obiettare in relazione a singole autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune in favore di alcuni degli stabilimenti balneari ivi insistenti (sei) facenti parte dello stesso tratto di arenile e quindi dello stesso contesto territoriale in cui sono inseriti gli altri sedici stabilimenti qui in rilievo e quanto sin qui narrato vale, come in prosieguo si va ad esporre, ad evidenziare una non trascurabile contraddittorietà dell’agire dell’autorità statale preposta alla tutela del vincolo per cui è causa», sottolinea il Tar.

La spiaggia di Bellaria che si affaccia su viale Cristoforo Colombo.

Non stupitevi delle sciabolate assestate dal Tar perché il bello deve ancora arrivare.
Leggiamo dalla sentenza: «Passando perciò ad esaminare più da vicino il contenuto della comunicazione di avviso di procedimento negativo ex art. 10 bis lege n. 241/90 e contestuale parere negativo, viene in rilievo una prima problematica, quella della configurabilità in concreto di un’autorizzazione in sanatoria o comunque di un accertamento di compatibilità paesaggistica “confezionata” ora per allora. La Soprintendenza sul punto assume una posizione se non ermetica, quanto meno dubbia (e/o equivoca) propendendo in definitiva per un avviso sostanzialmente negativo.
Ebbene il “ragionamento” fatto dal suindicato Ufficio statale non convince sotto molteplici profili, in quanto: pone a sostegno del suo negativo avviso la nota del Ministero n. 19982 del 7/1/2018 avente ad oggetto specificatamente “autorizzazione paesaggistica in sanatoria art. 70 l.r. Emilia Romagna n. 24/2017” che invece ad una sua piana lettura è di segno decisamente diverso, nel senso che ammette la possibilità proprio con riferimento al caso da quo, di un accertamento di autorizzazione paesaggistica ora per allora; riferisce di “evidenti difficoltà interpretative relativamente all’applicazione dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria ex art. 70 legge Regione Emilia Romagna n. 24/2017 e dell’art. 146 comma 4 dlgs n. 42/2004”, senza che però tali “perplessità” siano validamente supportate, trascurando di considerare che la giurisprudenza ha avuto modo di affermare (cfr Cons. Stato Sez. V n. 922/2017) che il divieto di regolarizzazione postuma è da ritenersi operante solo per le opere successive all’entrata in vigore del dlgv n. 157 del 24/3/2006, primo correttivo del dlgs n. 42/20048 (e nel nostro caso i manufatti sono quelli autorizzati in via edilizia nel 2002 e comunque non dopo il 2006) non tiene conto della vigente disciplina regionale adottata in subjecta materia». E la legge della Regione Emilia Romagna n. 24 del 21 dicembre 2017 sulla tutela e l’uso del territorio, prevede proprio che “il divieto di sanatoria stabilito dall’art. 146 comma 4 dlgs n. 42/2004 si applica agli interventi realizzati in area paesaggisticamente vincolata in epoca successiva al 12 maggio 2006…”. E’ proprio questo quadro normativo che ha consentito alla Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio del Comune di Bellaria Igea Marina di esprimersi favorevolmente «mettendo così fine ad una situazione del tutto abnorme».
Ma allora perché la Soprintendenza ha cambiato idea rispetto al via libera al Piano particolareggiato? Lo lasciamo chiarire alla Soprintendenza stessa: «questo Istituto … ritiene l’intervento non compatibile con i valori paesaggistici tutelati esprimendo le proprie motivazioni che tengono in considerazione i seguenti aspetti caratterizzanti: il litorale, la linea di separazione del mare dalle terre emerse; le visuali. Lo stabilimento balneare in oggetto non tiene conto degli aspetti sopraesposti, poiché la sua collocazione sull’arenile costituisce un forte elemento di interferenza fisco-percettiva che contribuisce ulteriormente a snaturare la visuale del mare e a ridurre la componente naturale dell’arenile. I materiali, le tecnologie costruttive e la morfologia dei manufatti con la loro compattezza crea la quasi totale assenza di trasparenza, inoltre costituiscono elementi permanenti ed inamovibili ed estranei al contesto del litorale”.
Ma è proprio su queste valutazioni che il Tar “picchia duro”. Anzitutto perché «le opere per le quali oggi l’Amministrazione statale mette in discussione la compatibilità paesaggistica sono le stesse previste da quel Piano a suo tempo ritenute compatibili, senza che siano smentite la morfologia dei manufatti, le modalità costruttive, i materiali». E «le caratteristiche “fisiche” degli interventi operati sullo stabilimento sono confermate dalla documentazione fotografica quanto alle caratteristiche delle strutture». Quindi i lavori eseguiti non escono dal seminato.

Il lungomare di Bellaria, appena uscito da un complessivo restyling.

Scrivono i giudici amministrativi di Bologna: «Se così è, non può non dedursi un comportamento contraddittorio dell’Autorità statale, in stridente contrasto con quanto in precedenza “assentito” senza che lo stato dei luoghi abbia subito (e comunque del contrario non si dà contezza) un’alterazione e/o trasformazione per quantità e/o qualità dei manufatti, il che si traduce in un vizio insanabile del parere oggetto della presente contestazione giudiziale, rendendo radicalmente insufficienti i motivi ostativi opposti alla parte ricorrente.
La illegittimità del parere de quo è rilevabile ictu oculi nella misura in cui l’apprezzamento paesaggistico si rivela del tutto avulso dall’habitat naturale per nulla compromesso dalla presenza delle strutture balneari per cui è causa rivelandosi il giudizio negativamente espresso dalla Soprintendenza, al di là delle apodittiche clausole ivi conclamate (ma non provate) omissivo di una adeguata, esaustiva verifica in ordine alla compatibilità tra i valori paesaggistici oggetto di tutela e l’intervento oggetto di richiesta di autorizzazione».
Insomma, sbaglia mira la Soprintendenza: «i manufatti per cui è causa quanto alla loro collocazione e costruzione sono rispettosi delle prescrizioni dettate dal Piano particolareggiato di arenile allo scopo di assicurare mediante l’uniformità, l’unitarietà, il dimensionamento e il posizionamento delle strutture stesse, la presenza dei coni visivi, il giudizio in questione pecca di un errore di fondo, quello di individuare il contesto in cui si colloca l’intervento unicamente sulla base di aspetti e caratteristiche naturali del paesaggio, obliterando del tutto gli aspetti e le caratteristiche derivanti dall’azione umana».
Ancora più chiaro il passaggio che segue: «In altri termini, la Soprintendenza ha omesso di considerare la realtà dei luoghi e precisamente “l’intorno” dell’area dove insiste lo stabilimento, elemento che non può non rientrare nel giudizio che si va a dare sul rapporto tra il contesto ambientale e intervento realizzato. Se così fosse stato l’autorità statale preposta alla tutela del paesaggio si sarebbe potuta accorgere che:
– quel tratto di arenile è da decenni destinato all’esercizio dell’attività balneare (dove esistono ventidue stabilimenti costituiti con le stesse caratteristiche costruttive e morfologiche) e tale è percepito dall’intera collettività;
– il contesto in cui si colloca l’intervento è caratterizzato oltre che da fenomeni naturali anche da aspetti del luogo che si sono venuti a formare a seguito dell’azione dell’uomo.
La Soprintendenza in particolare non ha tenuto conto del fattore umano e in particolare delle condizioni antropizzate dei luoghi e sì che la nozione di paesaggio come recata dalla Convenzione europea ratificata con legge n. 14 del 9/1/2006 sta a designare una “determinata parte del territorio, così come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”.
E’ indubbio che l’attività di conservazione dei valori paesaggistici implica un giudizio di comparazione dell’opera rispetto al contesto da tutelare compiuto però in base alle effettive condizioni dell’area in cui il manufatto è inserito (Cons. Stato n. 6729/2011; idem n. 9578/2010) come integrato dall’azione umana, valutazione comparativa qui del tutto deficitaria.
Insomma occorre dare atto che la valutazione contenuta nell’atto impugnato prescinde inspiegabilmente e ingiustificatamente dalle condizioni reali della realtà circostante e ciò rende per così dire evanescente il giudizio di non compatibilità, non rendendosi conto l’autorità in questione che non v’è alcuna alterazione del contesto paesaggistico per il semplice motivo che quello e solo quello è il paesaggio in cui lo stabilimento e le opere ivi realizzate si vanno compatibilmente ad inserire, e cioè esattamente il contesto di attività balneare da sempre utilizzate nel tratto di spiaggia per cui è causa».
Morale, «il giudizio di non compatibilità espresso dalla Soprintendenza è illegittimo» perché «si basa su asserzioni di mero principio sulla scorta delle quali in concreto non è dato intravvedere lesione ai beni paesaggistici del luogo pretesemente tutelati; è contraddittorio rispetto a precedenti valutazioni riguardanti la previsione e realizzazione delle strutture balneari di che trattasi; è smentito dalla rappresentazione dei luoghi dalla quale si evince che non è rilevabile alcuna interferenza con il bene paesaggio oggetto di tutela».
Più o meno nella stessa situazione complessivamente ci sono sedici fra stabilimenti balneari e chioschi. Come ne esce la Soprintendenza da questo confronto con la giustizia amministrativa? Ognuno è in grado di rispondere da sé. Su una ulteriore domanda che potrebbe seguire, cioè se questo “puntiglio” costituisca il modus operandi della Soprintendenza su tutti gli arenili e in ogni contesto (perdonate il chiodo fisso ma da tempo su Rimini 2.0 ci stiamo occupando di quanto sta avvenendo nel centro storico di Rimini, da piazza Malatesta al ponte di Tiberio), non siamo in grado di rispondere se non che i progetti realizzati di recente e in corso di realizzazione negli stabilimenti balneari di Rimini, non pare abbiano incontrato particolari ostilità. E lo stesso dicasi per quelli che coinvolgono i beni culturali tutelati di Rimini.

COMMENTI

DISQUS: 0