La lettera del primo sindaco di una Rimini liberata ma distrutta dalle bombe, Arturo Clari. Chiede alla soprintendenza l'autorizzazione ad installare con «carattere temporaneo» le «baracche smontabili» donate dal Soccorso svizzero per far fronte al problema degli orfani di guerra. Ma c'è già la prospettiva di collocare altrove la scuola e comunque di «salvaguardare l'area archeologica».
Arturo Clari, socialista, è stato il primo sindaco della Rimini liberata, a capo di una giunta comunale che viene costituita dagli americani (Allied Military Government) il 4 ottobre 1944. Nell’estate dell’anno seguente viene confermata con decreto prefettizio e sindaco è sempre lui. Sono le cosiddette giunte ciellenistiche figlie del Comitato di liberazione nazionale. In quelle giunte c’è anche Alberto Marvelli, che però rimarrà in carica assai poco visto che si dimetterà nell’aprile del 1946. Ci sono contrasti marcati in quelle compagini amministrative perché la posta in gioco è alta e un grosso peso decisionale è in capo al tenente americano Peter Natale. Si trovano a dover gestire la ricostruzione post-bellica e con essa anche grossi affari economici. Rimini è quasi completamente distrutta. Manca tutto. E’ in questo contesto che prende forma la necessità di utilizzare l’area dell’anfiteatro romano per ospitare l’«asilo infantile».
Per capire l’urgenza (c’era il rischio di perdere l’offerta del Soccorso svizzero) e la peculiarità della scelta (in una Rimini devastata non era facile reperire un luogo in cui sistemare la struttura), ma anche la chiara volontà – sin dalle origini – di garantire la provvisorietà dell’insediamento Ceis (notare l’oggetto della missiva: “Anfiteatro romano – provvisorio collocamento di Asilo infantile”), è importante leggere la lettera che Clari invia al soprintendente dell’epoca. E’ datata 3 gennaio 1946.
Siamo arrivati così alla terza pubblicazione di documenti che raccontano la storia, poco conosciuta, del Ceis sull’area dell’anfiteatro (1 e 2).
La lettera di Clari sottolinea sei punti:
1) le 13 baracche dell’epoca vengono «collocate sull’area» con «carattere temporaneo», e già nel 1946 è allo studio un progetto per la ricostruzione altrove del Ceis;
2) nello stato in cui si trovava la città di Rimini nell’immediato dopoguerra «nessun’altra area è disponibile nella città»;
3) Clari utilizza anche un tema di decoro che certamente fa presa sulla soprintendenza: «Oggi l’area, la cui recinzione è stata distrutta, è alla mercé del pubblico, che ne ha fatto luogo di scarico pubblico nonostante i divieti; né peggiore destinazione potrebbe avere né più gravi danneggiamenti e mortificazioni potrebbero, in queste condizioni, essere impediti». C’è dunque anche l’obiettivo di «precludere ulteriori vandalismi» e di «attuare una decorosa sistemazione dell’area»;
4) mette però in chiaro che le baracche saranno a tempo e verranno rimosse e dunque «sarà agevole cosa a suo tempo completare la inizialmente progettata sistemazione dell’intera area»;
5) vi è una situazione di emergenza, i tempi della decisione sono strettissimi perché c’è il rischio di lasciarsi sfuggire l’occasione propizia qualora il ministero ritardasse l’assenso al progetto che avrebbe comportato un fondamentale aiuto agli orfani di guerra: «le baracche sono per arrivare ed è già in luogo il personale inviato a Rimini allo scopo dal Soccorso svizzero e poiché, ove entro il corrente mese l’impianto delle baracche non venisse effettuato, l’Asilo potrebbe essere destinato altrove…»;
6) ribadisce che «la salvaguardia dell’area archeologica» resta un caposaldo dell’amministrazione comunale.
L’allestimento del Ceis sull’area archeologica avviene in tempi brevi ma non passa inosservato. Il direttore del Museo civico e Pinacoteca di Rimini, che è anche ispettore alle antichità e a lungo direttore della Gambalunga, Carlo Lucchesi, in data 24 gennaio 1946 scrive allarmato alla Soprintendenza di Bologna: «Mi giunge notizia che nell’area centrale dell’Anfiteatro romano sta per essere sistemato un Asilo baraccato, donato dalla Confederazione Svizzera al Comune di Rimini. Si tratta di una costruzione a carattere provvisorio, che richiederà però opere di scavo, soprattutto per quanto riguarda la scolatura delle acque. Non so se codesta R. Soprintendenza ne sia stata avvertita: perciò mi affretto a farlo io, per quei provvedimenti che essa crederà opportuno di prendere in merito».
Ma per le ragioni che abbiamo visto, la soprintendenza e il ministero avevano già sostanzialmente autorizzato, come attesta il telegramma a firma del pro ministro alla Pubblica istruzione Bianchi Bandinelli.
Temporalmente, sia chiaro, per affrontare l’emergenza che Rimini si trovò a vivere nel dopoguerra. Ma 76 anni dopo l’emergenza è finita e sarebbe ora che le promesse fatte dall’amministrazione comunale e dal Ceis si trasformassero in atti concreti. Altroché «il Ceis vale un anfiteatro» come ha dichiarato il sindaco Jamil Sadegholvaad. Nemmeno i sindaci della ricostruzione si erano mai permessi giudizi di questo tipo.
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