Caso Dell’Utri: prima gli leccavano tutti i piedi, ora lo fanno marcire in cella

Caso Dell’Utri: prima gli leccavano tutti i piedi, ora lo fanno marcire in cella

Una petizione per concedere i domiciliari all’ex Senatore, gravemente malato. Troppi intellettuali lautamente finanziati dal bibliomane si sono voltati dall’altra parte. Ecco che fine ha fatto l’impero culturale del politico che ha pagato tanto e ora paga per tanti. Della sua impresa culturale resta il bollettino della "Biblioteca di via Senato" dove scrive anche Piero Meldini.

La legge l’ha rimandato a settembre. Troppo tardi
Anche se non siamo tutti uguali, la legge è uguale per tutti. Forse. In certi casi la legge, nonostante le questioni di diritto debbano sempre essere temprate dall’umanità, affonda i denti. La sua ineluttabile giustizia – la legge è la legge e nulla la può scalfire – si deforma in mostro, in superba crudeltà. Il caso emblematico, di questi ultimi giorni, riguarda Marcello Dell’Utri. L’ex Senatore (dalla XIII alla XVI Legislatura), in carcere da tre anni, arrestato nel 2014 con la condanna a sette anni per “concorso esterno in associazione mafiosa”, abita nel carcere di Rebibbia, Roma, studia storia – ha superato brillantemente i primi esami – e sta male. Sta molto male. Ha bisogno di cure che gli possono essere offerte a casa. Invece niente. La legge ha rimandato la richiesta dei domiciliari – stare chiusi in casa, foss’anche in villa, per altro, chiedete a chi ha sofferto un simile procedimento coercitivo, non è una festa – a fine settembre, quando iniziano le scuole. E quando potrebbe essere troppo tardi.

Studiava al microscopio la viltà dei lacchè
La vicenda di Dell’Utri è emblematica, è l’emblema della solita Italia che prima s’inchina al cospetto del potente di grido – per chiedere aiuti, aiutini, panchine e poltrone – poi, vista la malparata, tradisce tre volte, getta via la chiave della dignità, fatelo pure marcire in carcere, chi lo conosce? Il problema è che io li conosco. Io li ho visti. Tanti. Tantissimi. A falangi. Si facevano lasciare dal tassì in via Senato, Milano, portone opulento. Chiedevano del ‘Senatore’, che dava loro udienza. Il ‘Senatore’ era affabile, gentile, a volte affettato, condiva il discorso con qualche citazione classica, amava mostrare i suoi libri, verso i quali portava una venerazione manco fossero persone in carne&sangue. Il ‘Senatore’, di solito, ascoltava. Ho sempre avuto l’impressione che i suoi occhi fossero dei microscopi. Al ‘Senatore’ piaceva studiare gli uomini come si analizzano i tessuti, i moti convulsi delle cellule. Anticipava le richieste del suo interlocutore, ne saggiava l’ambizione, la viltà. Sapeva che quasi tutti quelli che baciavano i piedi a sua santità il ‘Senatore’ erano dei lacchè. Gli piaceva saggiare la debolezza umana. Ho sempre pensato che a un certo punto, qualcuno o molti ‘qualcuno’, abbiano deciso che Dell’Utri doveva pagare per tutti.

Il sogno (fallito): creare una ‘intelligenza’ di centrodestra
Ho lavorato per Dell’Utri, universitario ingenuo da far pietà, senza neppure sapere chi fosse Dell’Utri, dal 2002 al 2009, al Domenicale. L’utopia di Dell’Utri era quella di creare una intelligenza di centrodestra, il cui cuore era proprio quel settimanale di cultura varia, dove hanno scritto, tra i tantissimi, Camillo Langone e Filippo Facci, Pietrangelo Buttafuoco e Massimiliano Parente, Ermanno Paccagnini, Vittore Branca, Franco Frattini. Da tempo Dell’Utri finanziava la Mostra del Libro Antico di Milano – poi decaduta dopo la malparata – e l’Erasmo, raffinatissimo trimestrale guidato da Carlo Carena, non proprio una ‘camicia nera’ ma uno dei massimi classicisti del Paese – ha tradotto, tra le tantissime cose, Sant’Agostino, Marco Aurelio, Seneca, Eschilo, Platone. In via Senato Dell’Utri aveva creato una biblioteca di magnetica bellezza, curata con la sapienza di un antico giardiniere da Matteo Noja, sapiente silenzioso, il vecchio della montagna di quella montagna di libri. Insomma, Dell’Utri, senza farne un santo, è chiaro – qui nisciuno è fesso e nessuno è innocente – agiva come un borghese illuminato. Al posto di comprarsi l’ennesima villa, l’ennesimo Suv, l’ennesima squadra di calcio, finanziava – fino a perderci parecchi quattrini – riviste, case editrici – la “Biblioteca di via Senato”, tra l’altro, pubblicò un’ottima edizione de La roccia di Thomas S. Eliot, Ecce Homo di Nietzsche, Il porto sepolto di Ungaretti nell’edizione del 1922 – teatri (il ‘Teatro di Verdura’, vicino alla Biblioteca, dove si sono esibiti grandissimi attori come Paolo Poli, Monica Guerritore, Leo Gullotta, Valentina Cortese, Elisabetta Pozzi…). Foraggiava truppe di intellettuali i quali – lo certifico, ci sono stato – secondo la più sonora tradizione liberale, potevano scrivere ciò che gli pareva. Dell’Utri non osava criticare le opinioni, i pensieri, le inchieste – ricordo un clamoroso ‘affondo’ del Domenicale, ad esempio, contro la Mondadori del suo amico Berlusconi – purché fossero espresse con garbo e con genio. Alzi la mano chi conosce, oggi, un imprenditore che investa brutalmente in cultura, alta e raffinata. Oggi gli imprenditori danno qualche milione in beneficienza, restaurano quattro pietre purché poi affiggano una targa in memoria di, e se ne lavano le mani, pensando così di comprarsi un posto in prima fila nella Rosa dei Beati, beati loro.

Resta la ‘Biblioteca di via Senato’. Con firme romagnole – e Fellini sullo sfondo
I giornalisti del Tempo, ora, si sono mobilitati spalancando una petizione che consenta a Dell’Utri “la sospensione della pena per motivi di salute” (qui: firmaperdellutri@iltempo.it); Angelo Crespi, già direttore del Domenicale, una impresa – nel bene e nel male – unica nel centrodestra, già ‘spalla’ del Ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi, oggi, dal Giornale, scrive che “chiunque abbia un minimo di onestà intellettuale ben comprende che l’accanimento contro Dell’Utri fu motivato da motivi politici, ma oggi le ragioni di umanità e di diritto devono prevalere su quelle della politica”. Dell’impresa culturale di Dell’Utri resta il bollettino della Biblioteca di via Senato, elegantissima fanzine per bibliomani dove scrivono, tra l’altro, il tuttologo imolese Antonio Castronuovo – pure nell’ultimo, “Speciale 150° Baudelaire” – e lo scrittore riminese Piero Meldini, che nel numero dello scorso gennaio ha raccontato, con perizia di note, Le lettere della Sarfatti a Panzini, e nel 2014 si lanciò in un ricordo di Fellini, “sommo regista”. Mi hanno sempre fatto schifo i voltagabbana, quelli che prima incassano poi ti fottono, i tanti ‘trentadenari’ che hanno fatto la storia corrotta d’Italia, i furbi, i furbetti, i volponi. Io sto sempre con i vinti. Preferisco il tramonto al demone meridiano, il re destituito al potente adornato di velluto e adorato come un dio, la sconfitta alla gloria.

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