L'antennone collocato dietro al cimitero deturpa il Castello Malatestiano. Da settimane è questo che spiegano comitati, esponenti di partiti locali e addirittura loro rappresentanti regionali e nazionali. Ma davvero il Castello è un gioiellino integro e senza macchia? La storia di una "sanatoria" concessa dall'amministrazione comunale nel 1999, dopo un primo tentativo stoppato dal comitato regionale di controllo nel 1986.
“Salviamo il Castello di Coriano dall’antennone”. Dell’antennone hanno già scritto tutti, ed è normale che il posizionamento di una antenna di telefonia mobile vicino a delle abitazioni sollevi proteste accese. E’ cronaca ormai quotidiana un po’ in tutta Italia. E’ accaduto anche a Rimini, Bellaria, Misano e in tante altre città. Accadrà ancora tante volte, visto il «privilegio» normativo di cui godono le compagine telefoniche e le armi spuntate in mano ai Comuni per dire “no”. Ma quello che colpisce nel caso di Coriano è che da settimane la notizia di quel che succede nel piccolo comune a guida Spinelli surclassa qualunque altra news che interessa direttamente i beni culturali in questa provincia. In difesa della Rocca malatestiana di Rimini e di piazza Malatesta, così come in precedenza per gli interventi al ponte di Tiberio, per dire, non ci fu una petizione firmata da personaggi in vista, com’è accaduto invece per Coriano. Eppure nel caso del ponte di Tiberio, in seguito il perito incaricato dalla Procura della Repubblica di Rimini si è pronunciato molto chiaramente. E su piazza Malatesta è stato di recente presentato un esposto da Italia Nostra. Eppure, non si vorranno mica paragonare i due castelli o, meglio, quel che resta della struttura architettonica di Coriano con il Castello di Filippo Brunelleschi?
Ce ne occupammo anche noi dell’antennone, pubblicando l’inizio della querelle, la famosa lettera appello rivolta al Sindaco di Coriano, al Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Ravenna, al Presidente della Regione Emilia Romagna, al Presidente della Provincia di Rimini e inviata alla stampa dal Comitato per la tutela del patrimonio ambientale e culturale. Autorità varie sollecitate a scongiurare “lo scempio del Castello malatestiano, sito di notevole pregio storico, culturale e paesaggistico”, minacciato dall’antennone alto 35 metri.
Veniva ricordato l’articolo 9 della Costituzione (“La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”), ma anche il restauro e gli scavi archeologici di circa due decenni addietro, che hanno “restituito valore e centralità ad un patrimonio che versava in condizioni pietose”. L’antennone – spiegava il Comitato – costituisce uno “sfregio” al Castello, perché, come diceva Dino Palloni, “i castelli giunti fino a noi costituiscono e sempre più possono e devono costituire un forte simbolo di identificazione locale,
una suggestiva testimonianza storica, una risorsa turistica a livello territoriale, un piacere estetico e culturale per tutti”.
Ma davvero il Castello di Coriano prima di questo finale di 2020 era stato un gioiellino senza sfregi? Uscito malconcio dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, il Castello praticamente per oltre mezzo secolo è finito nel dimenticatoio. Nessuno ha pensato di vincolarlo né in maniera diretta e né indiretta. Tanto che proprio in forza di questa carenza, a partire dagli anni 80 l’amministrazione comunale comincia a pianificare di alienare frustoli di terreno di proprietà comunale ai residenti all’interno del Castello, favorendo la situazione rappresentata nelle due tavole che si possono vedere qui sotto. A sinistra le dimensioni degli edifici agli inizi del ‘900 e, a destra, lo stato di fatto attuale.
Come è stato possibile tutto ciò? Questa sorta di occupazione espansiva di un bene monumentale di indubbio valore storico come il Castello? L’amministrazione comunale di Coriano comincia a vendere porzioni di terreno ai privati, all’interno del Castello, già negli anni 50. Per consentire di ampliare le piccole abitazioni già esistenti, ma anche per trasferimenti di diritti derivanti dai danni di guerra. Sta di fatto che nel 1986, sindaco Sergio Pierini (Pci), il consiglio comunale delibera di alienare ad un privato 100 mq di terreno per consentire così di beneficiare del condono edilizio, sanando gli abusi commessi. Ma sull’operazione alza il cartellino rosso il Coreco (Comitato regionale di controllo, che aveva funzioni di controllo, appunto, sugli atti amministrativi degli enti locali, e la cui operatività è cessata con le modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione): “In ordine alla deliberazione in oggetto e premesso che l’alienazione viene effettuata ai fini del condono edilizio, si prega di comunicare se nel caso si versi nell’ipotesi di cui al 3° comma dell’art. 32 Legge n. 47/1985, oppure in quella di cui al 4° comma del medesimo articolo”. E aggiunge: “nel primo caso non sembra che le aree possano essere allineate ma solo cedute onerosamente in uso; nel secondo caso il prezzo deve essere determinato dall’U.T.E.; in ogni caso la delibera in esame dovrà essere modificata“. Messi in riga in questo modo, gli amministratori ribattono che la vendita è motivata dal fatto di “consentire a quattro famiglie di regolarizzare la posizione della loro proprietà ai fini del condono edilizio, mentre le restanti vendite vengono effettuate per dare alle proprietà dei richiedenti piccoli sforzi di agitamento”. Ma sostanzialmente lasciano che la delibera di consiglio comunale finisca sotto naftalina e che ci rimanga per più di dieci anni. Nel 1995 fra i residenti all’interno del Castello c’è chi torna alla carica perché vuole alienare l’immobile ed ha la necessità di regolarizzarlo con la sanatoria. Il Comune risponde che il terreno su cui è costruito il manufatto abusivo risulta essere di proprietà comunale. Ma come, replica il privato al Comune, non avete forse deliberato nell’86 di concederci la disponibilità del terreno su cui insiste l’opera abusiva, tanto che vi abbiamo versato anche un acconto per acquistarlo? Peccato che la delibera di consiglio comunale n. 86 del 9 giugno 1986, che in effetti apriva la porta al “colpo di spugna” sugli abusi, fosse stata bloccata dal Coreco. Un bel cortocircuito, insomma.
Le intenzioni “sanatorie” degli amministratori di Coriano dormono sotto la cenere per circa 13 anni. E’ il 3 maggio 1999 quando spunta fuori un’altra deliberazione di consiglio comunale che persegue lo stesso obiettivo di quella del 1986: “alienazione relitti di terreno nel Castello di Coriano”, recita l’oggetto. La sindaca è Ivonne Crescentini, in maggioranza siede anche un consigliere comunale che in questi giorni sbraita contro l’antenna e si erge a difesa dell’interesse storico del Castello. La delibera assunta con “voti unanimi” è un capolavoro: “viste le domande di condono presentate dalle seguenti Ditte ed inerenti le particelle sotto elencate…” e “considerato che il progetto di massima di recupero del Castello di Coriano (…) approvato con deliberazione di giunta comunale n. 63 del 29.01.1999, prevede esclusivamente l’abbattimento di capanni precari che risultano non oggetto di richiesta di condono“, “visto il parere legale espresso (…) che conclude esprimendo il parere che l’amministrazione comunale possa liberamente cedere l’area ai privati”, dopo avere richiamato anche la delibera del 1986 (stoppata dal Coreco, ndr) e spiegato che “tale vendita viene effettuata per consentire a quattro famiglie di regolarizzare la posizione della loro proprietà ai fini del condono edilizio”, conclude di “ritenere opportuno alienare aree cortilizie già in uso alle abitazioni, non più recuperabili e non interessate da un futuro uso pubblico, come evidenziato dall’approvato progetto dell’arch. (…)“.
Ognuno è in grado di valutare da sé la motivazione che gli amministratori di Coriano pongono a fondamento della decisione di disfarsi per sempre di proprietà pubbliche non certo senza valore, considerata la loro collocazione all’interno di quel Castello di Coriano che oggi sembra trovare tanti difensori, però con poca memoria.
Una vicenda, questa, sulla quale non risulta che i libri usciti nel corso degli anni abbiano mai nemmeno fatto un cenno. Neppure in “Il Castello di Coriano, ricerche archeologiche e architettoniche”, a cura di Marcello Cartoceti (dal quale abbiamo tratto le immagini relative alle tavole del catasto pubblicate sopra), uscito nel 2004 ne “I Quaderni” della Biblioteca di Coriano (a cura di Paolo Zaghini) con presentazione di Ivonne Crescentini, che pure la storia che abbiamo fin qui raccontato la conosceva molto bene. “Abbiamo restituito alla collettività corianese il suo monumento più importante”, scriveva a proposito dei restauri eseguiti. Ma come l’abbia restituito, è oggetto di grandi interrogativi. Le abitazioni che spuntano dalle mura, o che sorgono sulle mura, non sono uno spettacolo di valorizzazione del Castello. E tranne una, appartenuta ai Roelli, ai Malatesta e ai Sassatelli, che ben si integra col Castello, le altre hanno un aspetto “moderno”. Il tutto è avvenuto quando il Comune di Coriano è stato saldamente in mano alla sinistra, come quasi sempre, d’altra parte, fatta eccezione per gli ultimi otto anni. Sindaci di fede Pci e Pds, fino alla sindaca Matricardi, sempre a capo di una giunta di centrosinistra, le cui dimissioni portarono al commissariamento del Comune e all’emersione del famoso “buco” milionario nei conti pubblici, con tutto quello che ne è seguito e che è storia ormai nota.
E adesso cosa accadrà? Se sul Castello di Coriano fosse stato apposto il vincolo diretto e indiretto, l’antenna avrebbe potuto essere posizionata? Abbiamo chiesto alla Soprintendenza quali vincoli interessano attualmente il Castello e come si concilia la tutela di un bene storico, archeologico e architettonico con la presenza delle abitazioni al suo interno. Questa la risposta del Soprintendente, arch. Giorgio Cozzolino, che pubblichiamo di seguito.
«Si specifica che il complesso del Castello Malatestiano di Coriano è attualmente sottoposto a tutela monumentale vigente ope legis, ai sensi del combinato disposto degli articoli 10 e 12 del D.Lgs 42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio).
Il citato Codice stabilisce, infatti, che, anche in mancanza di un provvedimento di vincolo espresso, e in attesa della verifica dell’interesse culturale disciplinata dall’art. 13, tutti i beni immobili e mobili, di proprietà pubblica, aventi più di settant’anni di età e di autore non più vivente, sono a tutti gli effetti sottoposti a tutela.
(art. 10, comma 1: Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. Art.12, comma 1: le cose indicate all’art. 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga a più di settanta anni, sono sottoposte alle disposizioni della presente Parte fino a quando non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2)
A questa forma di tutela, già pienamente operante, fa dunque seguito il procedimento di verifica dell’interesse culturale, che porta all’emanazione di un decreto espresso di vincolo, in tutti i casi in cui l’interesse culturale venga riconosciuto, o alla decadenza della tutela, nel caso contrario.
Di conseguenza, per quanto riguarda il castello di Coriano, allo stato attuale, la tutela ope legis è pienamente operante su tutte le parti del sito che risultano di proprietà pubblica (in ragione di quanto previsto all’art. 10 comma 1 del Codice), non essendovi, in mancanza di un decreto di vincolo espresso, una perimetrazione definitiva basata su studi ed evidenze scientifici.
Si è, nelle ultime settimane, avviato il procedimento per la verifica dell’interesse culturale (VIC) del complesso; procedimento la cui istruttoria, in corso, condurrà probabilmente all’espressione di un decreto di tutela e ad una più precisa perimetrazione cartografica dell’area interessata. La perimetrazione revisionata dell’area di tutela sarà il risultato di una valutazione storico–artistica e tecnica che terrà conto in maniera scientificamente rigorosa dello stato delle conoscenze architettoniche, paesistiche e archeologiche sul complesso, della sua unitarietà e delle fasi costruttive. Difficilmente, pertanto, tale perimetrazione potrà prescindere dall’interessare l’area interna alla doppia cinta muraria, area a tutti gli effetti parte del monumento e già più volte oggetto, in passato, di ritrovamenti archeologici diffusi, come documentato dalla bibliografia specifica (AA.VV, Gli Scavi nel castello di Coriano, Ravenna 2001; Delucca, Righini, Sassi, Coriano e il suo Castello. Fonti e storia della’Alto Medioevo alla fine del Settecento, Villa verucchio 2003; Marcello Cartoceti (a cura di), Il castello di Coriano. Ricerche archeologiche e architettoniche, Villa Verucchio 2004).
L’area è interessata dalla presenza di abitazioni private, alcune delle quali realizzate riutilizzando volumi originariamente afferenti alle strutture del castello, altre di più recente costruzione. La disciplina di tutela che sarà espressa dal decreto di vincolo in via di definizione, pertanto, non potrà non tener conto del complesso e sull’area, ma non potrà prescindere, si ritiene, dall’interessare in qualche modo l’intera area fortificata.
Si fa presente, infine, che, congiuntamente all’avvio del procedimento per la tutela diretta sulle strutture del castello, è allo studio l’istruttoria per l’apposizione di un conseguente vincolo di tutela indiretta (art. 45 del Codice) sull’area circostante la rocca, finalizzato a preservarne i significativi rapporti visivi con il contesto paesaggistico e con l’abitato circostante».
Fin qui il Soprintendente, che ringraziamo per il chiarimento. L’attuale amministrazione comunale ha chiesto formalmente alla Soprintendenza la verifica dell’interesse culturale del complesso, cosa che nessuna amministrazione in passato aveva fatto. Ha messo in cantiere un progetto di ristrutturazione e consolidamento della Torre. Il progetto definitivo è stato approvato nel 2018 e prevede la realizzazione di opere di recupero e consolidamento della Torre, la riqualificazione delle sale dell’Antiquarium e delle aree esterne pertinenziali per un importo di 90mila euro. Ora c’è anche il progetto esecutivo e si attende di partire con i lavori. L’impressione è che si tornerà presto a parlare del Castello, perché sembra di capire che la giunta Spinelli voglia accendere i riflettori sulle tante zone d’ombra.
COMMENTI