Dal Popolo della famiglia a don Turchini: il caso Alfie e la cittadinanza italiana

Dal Popolo della famiglia a don Turchini: il caso Alfie e la cittadinanza italiana

"La campagna di sensibilizzazione in periodo elettorale sul tema dello Ius soli fatta in diverse parrocchie, tra cui la tua se non ricordo male, l’ho trovata in contrasto col divieto del Vescovo di fare politica nelle Parrocchie in periodo di campagna elettorale. Non c'è nessuna emergenza in merito ai diritti di cittadinanza, che si presenta invece nella vicenda di Alfie. In gioco ci sono due visioni antropologiche e due culture giuridiche. Bisogna schierarsi dalla parte giusta, quella dell’Italia in questo caso". Lo scrive Sergio De Vita nella lettera rivolta al parroco di Santarcangelo.

Carissimo don Andrea,
ho letto la lettera aperta al Ministro Angelino Alfano al quale rimproveri il fatto di avere avuto nella vicenda di Alfie Evans, a cui è stata concessa in tempi rapidi la cittadinanza italiana, una solerzia che non ha mostrato quando si è trattato di approvare la legge sullo Ius soli. Come tutti ricorderanno, infatti, Alfano si oppose all’approvazione di quel disegno di legge minacciando di far cadere perfino il Governo. 
Personalmente, ero e rimango contrario alla legge sullo Ius soli perché ritengo che l’attuale legge che disciplina l’acquisto della cittadinanza italiana sia una buona legge che garantisce i diritti dei minori stranieri presenti sul nostro territorio. A livello internazionale si riconosce il diritto di ogni persona ad avere una cittadinanza e l’attuale legge è perfetta per quanto riguarda il rischio di apolidia. Per questo, la campagna, che non voglio chiamare ‘elettorale’ ma di sensibilizzazione in periodo elettorale, sul tema dello Ius soli fatta in diverse parrocchie, tra cui la tua se non ricordo male, io non l’ho condivisa e se devo essere sincero l’ho trovata in contrasto col divieto del Vescovo di fare politica nelle Parrocchie in periodo di campagna elettorale.

Alla fine della scorsa legislatura si è cercato di operare una forzatura con il pretesto che la legge sullo Ius soli rappresentasse una risposta necessaria ad una situazione di emergenza. Nella realtà la legge riguarda una materia che non ha alcun impatto immediato con ciò che tutti ormai definiamo “emergenza immigrazione”. Aldilà di come la si pensi sull’argomento non vi era e non vi è nessuna emergenza in merito ai diritti di cittadinanza.
Diversa è la questione di Alfie, qui l’emergenza c’è ed è rappresentata dal fatto che le sentenze delle Corti inglesi prevedono che al bambino siano interrotti i sostegni vitali (ventilazione, idratazione, nutrizione) allo scopo specifico di provocarne la morte certa. Si tratta di una emergenza umanitaria di cui il nostro Governo si è voluto far carico, giustamente, concedendogli la cittadinanza nella speranza di poterlo curare in Italia dove la famiglia lo vorrebbe trasferire.

In questo caso, è evidente il contrasto tra due visioni antropologiche e due culture giuridiche. Nella visione che permea il sistema sanitario e giuridico inglese la persona disabile, sofferente, addolorata, può essere sacrificata per ragioni di umanità, che in realtà sono ragioni di budget. Il Regno Unito ha previsto un definanziamento del sistema sanitario pari a 17 miliardi di sterline, viene fatto di pensare allora che Alfie e tanti come lui saranno sacrificati per questa ragione. Il nostro sistema sanitario e la nostra cultura giuridica, rispondono ancora a riferimenti valoriali e non solo monetari: per noi la persona è intangibile anche se sofferente, gravemente malata e inguaribile (ma non incurabile). 
Purtroppo, ci sono forze e interessi che vorrebbero che anche l’Italia si allineasse ai paesi del nord Europa: Inghilterra, Olanda, Lussemburgo, etc., ma la nostra cultura, che nonostante tutto ha ancora una forte radice cristiana, si ribella ad una visione ‘cosificante’ della persona e all’idea che una vita sofferente sia una vita inutile. Dobbiamo prendere coscienza di quello che c’è in gioco e schierarci dalla parte giusta, quella dell’Italia in questo caso.

Sergio De Vita
Referente del Popolo della Famiglia di Rimini

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