Il caos dell’urbanistica riminese

Il caos dell’urbanistica riminese

E' ora di dire basta all'improvvisazione. E prendere in mano una pianificazione a lungo termine. C'è da fare la tara al vecchio Prg e affrontare i grandi snodi ai quali è legato lo sviluppo futuro: turismo, centro storico, sistemi industriali, accessibilità alla città, mobilità interna, passando per il destino di quei tasselli strategici che vanno dalla ex questura alle aree ferroviarie, dal porto all'aeroporto, dalla Murri al Triangolone solo per citare i più noti.

Per rappresentare la situazione, il punto di partenza è dato dal Piano Regolatore del 1994, tuttora vigente, dove l’elemento saliente è questo: al suo interno vi sono capacità edificatorie per migliaia e migliaia di metri quadrati ancora da realizzare.
Fatta questa premessa non certo marginale, nell’anno 2000 entrò in vigore la legge regionale numero 20 che istituiva la pianificazione attraverso tre strumenti: Piano strutturale; Poc, Piani operativi comunali (chiamati anche piani del sindaco); Rue, Regolamento urbanistico edilizio.
Il Piano Strutturale doveva definire l’ossatura portante della città, su cui fare crescere la Rimini del terzo millennio, vedi ad esempio la questione mobilità. Purtroppo fu redatto senza alcuna logica progettuale generale, limitandosi sostanzialmente a poco più di una carta dei vincoli, praticamente un doppione dell’ottimo Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale.
Passando ai Piani Operativi Comunali (Poc) l’assurdo normativo è collocato nel presupposto di pianificare una città per porzioni, dove teoricamente un sindaco può prendere una o due porzioni di città e pianificare ed attuare (vedi il termine Operativo) senza un quadro generale d’insieme.
Qualcosa perfino imbarazzante. Col tempo un pò tutti presero a chiamarlo Piano operativo comunale, intendendo con ciò un unico Piano per l’intera città. L’impostazione normativa conteneva in sé qualcosa di aleatorio, tanto è vero che non si conoscono Comuni che lo abbiano adottato, ma è altrettanto vero che quasi tutti i Comuni avevano iniziato i percorsi preparatori, mentre a Rimini si è fatto altro, come decine e decine di piani generici senza alcun valore formale di pianificazione, che finiscono solo per fare confusione.
Arrivando al terzo strumento, ossia al Rue, che sostituì gli storici Regolamenti Edilizi, come definito nel nuovo termine, venne aggiunto l’aspetto Urbanistico, inteso sostanzialmente, nella idealità della norma, come utile opportunità per smussare e/o omogeneizzare aspetti urbani in contesti edilizi specifici.
Purtroppo non avendo la norma definito gli specifici ambiti, e a Rimini essendoci un deficit di pianificazione autentica, da noi il Rue venne assunto come un vero e proprio surrogato di pianificazione, da usare all’occorrenza in un pò tutte le salse, vedi l’ultima trovata di pianificazioni fino ad 8.000 mq, argomento che verrà ripreso in seguito.
L’era della brutta legge del 2000 finì nel 2017, con la nuova legge regionale n° 24 che, tornando sostanzialmente alle origini, prevede un unico strumento definito Piano Urbanistico Generale, che però ancora una volta Rimini ha del tutto ignorato e che ora dovrebbe concretizzare nei due anni della proroga concessa dalla Regione.
Purtroppo dovendo fare ancora tutti i passaggi, per le inerzie che si sono consumate nel tempo a Rimini, solo se si partisse subito e seriamente, ci sarebbe margine per adottare il PUG in due anni.
Volendo dare qualche contenuto in proposito:
c’è da fare la tara al vecchio Prg per capirne anche le capacità edificatorie non ancora realizzate;
impostare un lavoro sulle grandi problematiche: turismo, centro storico, sistemi industriali, accessibilità alla città, mobilità interna (strade e parcheggi), unitamente a tante altre particolarità poste su grandi aree (Caserma Giulio Cesare, ex questura, aree ferroviarie, porto, aeroporto, aree a sud di Rimini, Murri, Triangolone e tanti luoghi nel forese comprensivi dei relativi servizi – stradali, verde, sanità, sociale, ecc.).
Data questa impostazione serve anche ragionare su come possa avvenire il confronto, perché i quartieri non esistono più, i partiti sono diventati scatole vuote, le rappresentanze economiche sono sempre più ridotte al lumicino.
Un lavoro immenso che andrà svolto in un confronto democratico e, stante la “debolezza” dei suddetti corpi intermedi, credo che la soluzione vada trovata attraverso una organizzazione informatica, un apposito organo controllato dal consiglio comunale, quale depositario della materia urbanistica, in grado di informare puntualmente, ma anche attraverso un coinvolgimento sia come singoli sia come gruppi attraverso un preventivo riconoscimento.
Del tutto evidente che quanto qui riportato debba essere assunto come mera esemplificazione esplicativa, ma ritengo inevitabile un preliminare documento che tracci il percorso, in termi comprensibili ai più.
Qualcosa che dica basta all’improvvisazione e confusione, che avanza con decine e decine di proposte, semplicemente perché il territorio è uno quindi tutto deve essere messo a confronto con tutto. Procedere per spot, in modo a sé stante, rischia di perpetuare solo furbizie, che finiscono per fare confusione, anche dal punto di vista economico in quanto se vuoi attirare risorse di imprenditori seri devi dare certezze oggettive.
Se mi si vuole accusare di una visione catastrofica, chiedo a tutti i soggetti dotati di buonsenso di giudicare questi esempi dell’amministrare:
– impostare una rivisitazione urbanistica della città aprendo rapporti con i privati, attraverso formali manifestazioni d’interesse che, nell’insieme, alla fine assommavano ad un aumento di superfici edificabili tra annessi e connessi pari a circa 300.000 mq., qualcosa di talmente assurdo che ti fa domandare in quali mani siamo venuti a trovarci;
– e ciò rischia persino di ripetersi, attraverso una proposta di modifica già passata in commissione consiliare, che vorrebbe fare l’ennesima modifica del Rue per poter intervenire su lotti di terreno fino a 8.000 mq., dove in questo caso lo slogan diventa “non possiamo fermare lo sviluppo di Rimini”.
Metodiche che hanno precedenti importanti. Ad esempio se si analizza attentamente il famoso Waterfront l’evoluzione è assai simile: grandi rendering propagandistici che dovevano mettere insieme spiaggia, lungomari ed aree in fregio, poi quando si sono accorti che le proposte dei privati nell’insieme diventavano una enorme colata di cemento, tutto è stato annullato con la scusa delle omogenizzazioni, nascondendo il fallimento con l’invenzione dei giardinetti sulla striscia del lungomare e lo status quo per aree in fregio e spiaggia.
Altri casi importanti del genere sono stati pianificare con un Masterplan l’area della ex questura, per poi tranquillamente raccontare che quell’area sarebbe stata oggetto di un studio ad hoc e che verrà inserita nel realizzando Pug, problema che porta ad una ulteriore questione: perché per quest’area si può aspettare il Pug mentre per altre si ferma lo sviluppo di Rimini?
Un altro esempio persino esilarante è il caso del Parco di Bellariva, con un sindaco che afferma che bisogna recuperare spazi verdi anche in periferia, ma nel contempo si può eliminare il Parco di Bellariva perché Sgr deve trovare i suoi spazi aziendali, facendo finta di non sapere che più del 60% dell’attuale sede è occupata da altro: sale congresso, bar, ristoranti e uffici affittati ad altre aziende.
Se questo mio scritto può essere al massimo un grido di dolore, auspico che questa città abbia un’anima capace di ribellarsi a questa specie di commedia degli assurdi, penso in particolare ad un po’ tutto il mondo della cultura, a cui passare la palla e che sarebbe ora che battesse un colpo.

Giulio Grillo

COMMENTI

DISQUS: 0