Il Comune presenta il conto salato al Consorzio del mercato coperto che si difende in Cassazione

Il Comune presenta il conto salato al Consorzio del mercato coperto che si difende in Cassazione

Oltre 100mila euro di Ici, Imu e tassa di scopo: è la pretesa che l'amministrazione comunale avanza nei confronti della aggregazione che associa le realtà di vendita presenti nella struttura di via Castelfidardo. Il contenzioso va avanti da dieci anni e per ora la partita è ferma sul pareggio. Sarà la Suprema Corte a decidere il risultato.

Il mercato coperto è nato alla fine degli anni 60 ed è gestito, da più di vent’anni, da un consorzio al quale l’amministrazione comunale rinnova periodicamente la concessione. Fino al 2010 la “convivenza” con palazzo Garampi era stata indolore. Il sindaco Ravaioli non aveva mai avanzato al Consorzio richieste di pagamento dell’imposta comunale sugli immobili. Le cose sono cambiate nel 2011. L’immobile di via Castelfidardo è di proprietà del Comune e quando il Consorzio Operatori Mercato Centrale Coperto chiede il rinnovo della concessione in uso della struttura, per nove anni (rinnovabili), si sente rispondere che c’è un onere al quale l’affidatario deve assolvere: riguarda “custodia, amministrazione e manutenzione dell’immobile in modo da garantire condizioni adeguate di sicurezza, conservazione, integrità ed igiene”. E siccome le leggi sono tante, occorre tenere conto degli “incastri”: il decreto legislativo tal dei tali (504/92) si è preso la briga di individuare i soggetti passivi dell’Ici (“il proprietario di immobili… ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie, sugli stessi”) e di stabilire che “nel caso di concessione su aree demaniali soggetto passivo è il concessionario”. Da queste tavole della legge applicate al mercato coperto, il Comune ha maturato la convinzione, certa e inamovibile, che il Consorzio, proprio in virtù della concessione in uso dell’immobile sottoscritta con l’amministrazione comunale, era tenuto a compilare la dichiarazione Ici ed a versare l’importo. L’Ici è poi diventata Imu, si è aggiunta per un breve periodo anche la tassa di scopo (Iscop), e il conto è diventato salato: quasi 52mila euro di imposta e siccome il Consorzio ritiene di non dover pagare, si è opposto nelle sedi deputate, così che col trascorrere del tempo si sono aggiunti altri 52mila circo di sanzioni interessi e spese varie, per un totale di oltre 105mila euro.
Al momento la partita è ferma all’1 a 1: nel 2017 la Commissione tributaria provinciale di Rimini ha dato ragione al Consorzio, annullando gli avvisi Ici 2010, Iscop 2011 e Imu 2012, 2013, 2014 e 2015. Il Comune ha proposto appello e la Commissione Tributaria Regionale di Bologna ha detto che invece è il Comune ad essere nel giusto. Il Consorzio non ci sta e l’ultimo atto che ha deciso è il ricorso avanti la Corte di Cassazione, per il quale anche l’amministrazione comunale ha appena nominato per la difesa un «legale di comprovata esperienza in materia di contenzioso tributario».
«Il pagamento della imposta non ci era stata mai stato richiesto in precedenza e noi riteniamo di non doverla al Comune avendo una concessione di servizi», dice Andrea Fabbri, presidente del Consorzio. «Gestiamo i servizi del mercato coperto, poi vengono fatte delle concessioni ai vari gestori delle attività e quindi non è il Consorzio eventualmente a dover corrispondere Ici e Imu ma i singoli concessionari che usufruiscono di quegli spazi. Adesso sarà la Cassazione a decidere la giusta visione di questo contenzioso».
Chi si rifiuta di assecondare le richieste del Comune, insomma, ritiene che lo sfruttamento delle aree sia in capo alle attività concessorie e non al Consorzio che gestisce i servizi di tutti i concessionari, pertanto le imposte devono applicate direttamente a chi usufruisce delle aree e non ad un ente che dovrebbe trasformarsi in “esattore” per adempiere alla volontà dell’amministrazione comunale.
L’Ici viene richiesta non a tutte le attività ma solo ad una minoranza, cioè ai cosiddetti boxisti e al Conad, che sarebbero strutture fisse, mentre ai vari banchi del pesce e dell’ortofrutta, essendo ambulanti con posto fisso, il Comune non richiede il versamento di Ici, Imu e tassa di scopo al centro della contestazione. «All’epoca andammo anche ad un incontro negli uffici comunali preposti, ma senza ottenere nulla e così abbiamo cercato di far valere i nostri diritti», chiude Fabbri. Ora l’ultima parola spetta alla Suprema Corte.

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