Il grande cantiere del Trecento riminese a Villa Verucchio

Il grande cantiere del Trecento riminese a Villa Verucchio

Più si va a fondo e più emerge il patrimonio di bellezza, arte e fede all'interno della chiesa di Santa Croce. Occorrono risorse economiche e la capacità di mettere in rete e portare all'attenzione del mondo questo inestimabile valore.

Non c’è dubbio che si tratti di un ritrovamento straordinario e sorprendente, che potrebbe arricchire ancor di più il patrimonio artistico, culturale e di fede di Rimini e della Valmarecchia. Per questo la Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini col suo presidente Mauro Ioli e il Rotary club col presidente Attilio Gardini, unitamente ai frati francescani della chiesa di Santa Croce a Villa Verucchio hanno convocato una conferenza stampa. Col compito di fare il punto sullo sviluppo delle indagini e sulla possibilità di portare alla luce e valorizzare i dipinti rimasti nascosti per diversi secoli nell’abside della chiesa. Come già i lettori di Rimini 2.0 sanno, attraverso l’ottima e documentata penna di Giovanni Rimondini, venne alla luce un affresco che raffigurava Cristo “Imago Pietatis” dipinta da Pietro da Rimini intorno agli anni 30 del 1300.

Il singolare ritrovamento lo racconta il protagonista, frate Federico Rovarin: «Mentre stavo lavorando sopra il coro ligneo per ripristinare un punto luce inutilizzato ho intravisto la cuspide di un arco che incorniciava una nicchia affrescata, ma che non riuscivo a vedere perché coperta dal coro. Così ho legato il mio cellulare con la torcia e la telecamera accesa e l’ho fatto calare lungo l’intercapedine tra la parete e il coro, intanto con un secondo cellulare collegato vedevo in diretta le immagini registrate. La mia sorpresa è stata grande: ho potuto infatti vedere la bellissima immagine di Cristo in Pietà, custodita nella nicchia che credevo fosse una finestra murata». Tutti gli esperti (alla conferenza stampa erano presenti anche la Sovrintendente Federica Gonzato, il direttore di Palazzo Madama a Torino e docente di storia dell’arte all’università di Bergamo Giovanni Carlo Federico Villa, lo storico dell’arte Alessandro Giovanardi) concordano sull’attribuzione di questi affreschi alla scuola giottesca di Pietro da Rimini. È di questo avviso anche il riminese storico dell’arte Piergiorgio Pasini. Questi ha già visionato da tempo gli affreschi ritrovati, ora nascosti alla vista dei fedeli da una parete di legno bianca: «Si tratta di affreschi risalenti alla prima metà del ‘300, precisamente al 1330, opera della scuola di Pietro da Rimini, nascosti dal coro nella parte bassa. Sopra invece per tutta la volta dell’abside c’è un intonaco bianco ottocentesco. Sarebbe bene continuare ad indagare per vedere se sotto l’intonaco (come io presumo) ci sono altri affreschi, anche se l’operazione richiede parecchi soldi».

L’attuale custode Bruno Miele, non nasconde la sua emozione per il ritrovamento che, dice, «testimonia come il messaggio di pace, d’amore e di fede di San Francesco sia attuale e vivo in questo luogo dove lo stesso santo s’è ritirato in preghiera e dove ha piantato il cipresso». Dal canto suo il sindaco Stefania Sabba ha ringraziato e aggiunto che questo ritrovamento arricchirà ancora di più il territorio e si affiancherà al museo della civiltà villanoviana e alla rocca Malatestiana.

Il cipresso di San Francesco, 1213.

Lo smontaggio del coro ligneo (il restauro è a cura di Romeo Bigini e dell’architetto Claudio Lazzarini) è già avvenuto nel maggio scorso e questo ha permesso di scoprire, oltre all’Imago Pietatis di Cristo, tracce di altre pitture ma per portare alla luce quanto è rimasto nascosto finora serve un ulteriore sforzo. A questo proposito la sovrintendente Federica Gonzato ha assicurato di avere già attivato la sua struttura per chiedere un cospicuo finanziamento al Ministero. Significativa al riguardo la puntualizzazione di Giovanni Villa: «Già da questi frammenti si può intuire l’importanza del ritrovamento per la conoscenza della pittura del ‘200 e ‘300 che è giunta fino a noi in misura davvero misera: si calcola che non rappresenti neppure il 3 per cento». Poi ha sottolineato come le istituzioni e gli enti pubblici e privati preposti, da Assisi a Padova, creando tra loro una rete, siano stati capaci di conquistare per i loro cicli pittorici (giotteschi in primis ma anche di altri pittori di quel periodo) l’ambito riconoscimento di “patrimonio dell’umanità” dell’Unesco. Villa ha concluso che «anche in Valmarecchia fino a Rimini e nelle Marche abbiamo una buona possibilità di mettere in atto questa rete, per esempio con le rocche malatestiane e il ciclo delle pitture della scuola riminese del ‘300». In particolare la scuola pittorica riminese del ‘300, come scriveva nel 1995 Antonio Paolucci ministro per i beni culturali e ambientali nel suo libro dedicato al Trecento riminese tra Romagna e Marche, “merita di essere riconosciuta come realtà espressiva autonoma di alto livello che tra il 1300 e il 1350 costituì felice variante dello stile giottesco”. Così la Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, come ha spiegato il presidente Mauro Ioli, «ha fatto suo questo progetto di valorizzazione e vuole continuare ad intervenire su questo solco».

Infine va evidenziato che questo ritrovamento ha anche permesso di continuare l’indagine a proposito del crocifisso duecentesco issato sopra l’altare e smontato per un restauro. Al suo posto ora c’è una copia. Come si può facilmente intuire si tratta di un’operazione che complessivamente richiederà un ampio spazio temporale e notevoli risorse economiche.

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