Il mercato coperto tra occasioni perse e un futuro tutto da decifrare

Il mercato coperto tra occasioni perse e un futuro tutto da decifrare

Con le proposte più volte emerse, sfociate anche in esposizioni e concorsi di idee, di collocare la struttura di vendita in piazzale Gramsci, e la scelta compiuta dalla giunta comunale di optare per un nuovo mercato sul sedime attuale, si chiude la storia dei progetti (spesso rimasti solo sulla carta) cominciata negli anni Venti. Che avevano però molta più visione strategica di quanta se ne possa cogliere oggi.

Negli anni ’90 l’allora compagine che amministrava Rimini organizzò una mostra dal titolo “Rimini Terzo Millennio: dal progetto al cantiere, incontri con la città futura”, con la quale mostrava le intenzioni progettuali per la città che sarebbe venuta. Pertanto la presentazione iniziava con una premessa: “Rimini si proietta nel futuro, ridisegnando se stessa. E lo fa senza dimenticanze, ripercorrendo le tracce della memoria. Dalle origini romane agli splendori malatestiani. Dalla ferita spirituale e materiale dell’ultimo conflitto mondiale alla ricostruzione caotica e selvaggia. Non è semplice nostalgia, ma uno sforzo autentico e consapevole per non scivolare in una modernità senza identità. La sua storia millenaria è un ancoraggio sicuro che deve impedire alla città di rimanere ingabbiata negli stereotipi dell’effimero balneare.” Era uno spunto per aprire una discussione su cosa effettivamente la città avrebbe voluto essere in futuro, con una pianificazione ad ampio raggio e non “a toppe” come invece avvenne in seguito.

Planimetria del progetto di proposta della sistemazione dell’area, tratta da “Rimini Terzo Millennio”.

L’IDEA DI QUEGLI ANNI
Nel contesto dell’iniziativa ricadeva anche il Mercato Coperto che si prevedeva di spostare nell’attuale Piazzale Gramsci, vero e proprio “non luogo”, demolendo poi quello esistente a costruzione avvenuta. Da lì quindi, partendo dall’Anfiteatro finalmente valorizzato, si sarebbe creato un percorso fino al Duomo, e poi verso gli altri monumenti storici locali. Nell’area liberata si prevedeva la costruzione di vari fabbricati per riedificare gli originali allineamenti, ma anche i giardini interni sia quelli ricalcati sugli antichi chiostri e orti del Convento di San Francesco, per permettere visuali verso il Tempio Malatestiano, ipotizzando anche parcheggi interrati; ipotesi quest’ultima non facilmente percorribile date le certe presenze archeologiche nel sottosuolo. Era comunque un’idea, che aveva il merito di ammendare l’errore di avere costruito un edificio commerciale, neppure esteticamente piacevole, in un’area monumentale e a ridosso di un capolavoro del Rinascimento.

Indice di spessore stratigrafico del centro storico su quota romana.

Nella sostanza si intendeva restituire il tessuto urbano anteguerra, con i volumi allora occupati dagli edifici civili religiosi e dalla caserma militare.

L’area prima delle distruzioni belliche (immagine tratta da “Rimini Terzo Millennio”).

La Giunta allora presieduta dal Sindaco Marco Moretti cadde sotto il fuoco amico, e tutto si vanificò. Altra occasione persa, dopo quella del 1926 (qui), per dare alla zona ben altra dignità. Ripeto, il progetto era opinabile, migliorabile o da modificarsi, ma poteva costituire un elemento di valida discussione cittadina, che avrebbe portato ad un arricchimento di interesse per le cose storiche e – forse – ad un risultato condiviso ai più. Allora la città si sentiva più partecipe alle scelte che la coinvolgevano e, come nel caso del Teatro Galli, negli anni successivi ci fu grande mobilitazione. Poi a distanza di un decennio circa calò il tetro buio dell’autoreferenzialità.
Nonostante tutto ciò che concerne la vetustà dell’edificio, le sempre più evolute norme igienico-sanitarie occorse nel tempo, il nostro Mercato Coperto ha assolto il suo importante compito fino ad oggi, quand’è ormai prossimo alla demolizione. Confrontando le due soluzioni, del 1926 e quella attuale, possiamo riscontrare che, mentre la prima aveva come punti essenziali il rispetto per le vicine evidenze storiche, Duomo e ciò che allora era l’ex convento di S. Francesco, ma anche la logistica grazie alla perimetrazione di quattro strade viarie, la seconda fu scelta in modo riduttivo date due sole strade utili, e a ridosso di un importante monumento cittadino, di cui, peraltro, se ne volevano demolire le testimonianze residue (qui); ma anche nel sedime di una zona di intenso interesse archeologico, come abbiamo visto ricca di probabili testimonianze fin dalla Rimini Romana.

Il 20 settembre 2017 il Rotary Club Rimini Riviera, in un convegno presentazione, promosse un’iniziativa dal titolo “Abitare a Rimini, concorso di idee per gli spazi urbani”. Il tema era come rigenerare quello che a ragione, Largo Antonio Gramsci, veniva definito un “non luogo”; tra i soggetti patrocinanti l’evento, vi era pure il Comune di Rimini.
Emersero diverse idee ad opera di studi tecnici di architettura e di urbanistica, che avevano in comune lo spostamento del Mercato coperto in quell’area, l’utilizzo a vario titolo della sede, o sedime, attuale e la generazione di un percorso che partendo dall’Anfiteatro riqualificato, collegava tutti i monumenti riminesi. Questo in sintesi il risultato, che ricalcava in larga parte l’idea della Giunta Moretti.
Ma siccome la politica locale non abbisogna di suggerimenti da alcuno, ostentando sempre autosufficienza e autoreferenza, anche questa occasione per una riflessione cadde nel vuoto. Perché, come il detto recita, sanno sbagliare molto bene da soli senza bisogno di aiuto.

L’ULTIMA OCCASIONE PERSA
Sembra che per quell’edificio commerciale aleggi una sorta di fato avverso, ossia che, tranne per la pausa degli anni ’60, il Mercato Coperto debba essere affidato all’iniziativa privata.
E arriviamo quindi ad oggi. Nonostante i fiumi di denaro – mal spesi – piovuti a Rimini per grazia ricevuta, ma anche ai fondi che si sarebbero potuti reperire tramite il programma PNRR, i regnanti attuali hanno ben pensato di affidare la ricostruzione del complesso commerciale ad un soggetto privato; è una sorta di tradizione che si perpetua sui beni riminesi che non ricadono nella sfera della “cultura istituzionale” – figliastri direi – e quindi destinati a disfarsene; ad esempio, anche il Palazzo Lettimi Maschi, vergogna della città e fulgido esempio dell’incuria di chi l’amministra, ha subito vari tentativi di cessione a questo o a quell’ente con altrettanti relativi insuccessi. In altre parti casi analoghi sarebbero paragonabili ai “gioielli di famiglia”, ma qui da noi sono solo tediose seccature.
Ma cosa si poteva fare? Come abbiamo visto erano emerse nel tempo delle idee, ma ancora oggi sarebbe stato possibile ripensare ad una vera qualificazione della zona, con la realizzazione del nuovo Mercato in Piazzale Gramsci, parcheggi sotterranei compresi; oltretutto risulta che quell’area, ex caserma, sia di minore interesse archeologico rispetto a quella attuale. Ma ciò, evidentemente, non è stato neppure preso in considerazione.
Questo inoltre avrebbe significato che durante i lavori per la nuova costruzione, l’attuale Mercato poteva continuare ad espletare la sua funzione. Poi ad opera conclusa, di lì il trasferimento dei commercianti nella nuova sede. La sequenza logica avrebbe portato ad eliminare i disagi sia per gli operatori commerciali che per la clientela. Al contrario oggi si prospetta il temporaneo trasferimento del Mercato nell’area adiacente il cinema Settebello, in affaccio su una via Roma già all’irreversibile collasso quotidiano, specie nei giorni di mercato ambulante, con tutti i disagi del caso e con la probabile perdita di utenti per gli operatori commerciali.

Il trasferimento temporaneo del Mercato coperto è previsto nella zona del “Settebello” che affaccia sulla trafficatissima via Roma, che nei giorni del mercato ambulante diventa congestionata.

Una volta demolita la struttura la sua sede sarebbe potuta divenire un’importante sito archeologico, oggetto di scavi che avrebbero restituito alla città tante importanti testimonianze del passato, e sistemati in una sorta di piccolo parco a disposizione della cittadinanza. Poi i residui del convento opportunamente sistemati, sarebbero stati benissimo utilizzabili per spazi museali, ripristinando l’antica funzione anteguerra. Vi è da dire che la città soffre per la mancanza di luoghi espositivi di tal genere, per ospitare i molti importanti reperti chiusi nei magazzini e che mai nessuno vedrà; anche perché allorquando esistenti, sono stati utilizzati assai impropriamente per il loro contesto.
Si aggiunga inoltre che il tutto sarebbe stato nell’asse di transito dalla Stazione, porta della città, che reca al Centro; un ottimo biglietto da visita per coloro che raggiungono Rimini in tale modo, e proprio per questo utile anche per allestire in sito un Visitor Center, ora inspiegabilmente collocato in un luogo non facile da raggiungere; ma anche, perché no, un presidio della P.M.. Questo sarebbe stato restituire alla città una parte importante di territorio, da tempo immemore negato.
Prescindendo per un momento dall’avversione istituzionale locale per ciò che riguarda il nostro passato, il futuro sembra andare, come sempre, in direzione opposta al buonsenso.

RICAPITOLIAMO
Nella terza puntata di questa storia avevo raccomandato di ricordare alcuni passi della narrazione, quanto mai rimasti attualissimi ed inascoltati, ai quali ne aggiungiamo un altro riportato in precedenza. Rammentiamoli.

“… e per delicatezza del servizio che non suggerisce cessioni ai privati, e perché tali gestioni sono largamente attive e fonte di sicuro reddito per le finanze comunali…” e “anche in questo campo, signori della Giunta ci vogliono provvedimenti coraggiosi che diano valore sostanziale alla parola democrazia”.
Mario Macina, nel 1959 membro del Consiglio Comunale e capogruppo consigliare del P.S.D.I.

“…per non parlare della poco opportuna collocazione (del Mercato Coperto, ndr) accanto ad uno dei più famosi monumenti del mondo (il Tempio Malatestiano, ndr)”.
Mario Zuffa, dall’ottobre 1954 fino al 1970 diresse la Biblioteca comunale Gambalunghiana di Rimini e gli istituti annessi, l’Archivio storico e il Museo civico, di cui avviò negli ultimi anni la separazione dalla Biblioteca. A Rimini si dedicò anche a scavi archeologici e studi di storia locale.

“…Per l’importanza che in una città turistica come la nostra riveste la conservazione e la valorizzazione del patrimonio storico ed artistico oltre che per la sua rilevanza culturale…”
Mario Macina e Benito Lombardi, Consiglieri del Comune di Rimini negli anni ’50.

In conclusione, chi amministra la città non la conosce, non comprende quindi la sua storia, figuriamoci poi se sa prendere in considerazione e far tesoro dei suggerimenti di validi personaggi locali trascorsi e presenti. Solitamente gli errori passati valgono da insegnamento affinché non si ripetano; ma a Rimini, al contrario, no, si persevera negli stessi.
Non entro poi nel merito se l’operazione comporterà maggiori canoni d’affitto per gli esercenti, e di conseguenza a discendere sui consumatori; è una dinamica il cui l’esito si vedrà a conclusione. Ma intanto, come accennato, sarà chiaro lo smodato disagio che Rimini subirà – si dice – per almeno un biennio.
Il problema è la solita mancanza di una visione lungimirante della città e, forse, anche di ciò che significhi interesse pubblico; oltre al metodo confusionale adottato e che pure non guarda al passato per progettare la città del futuro, che si palesa con il continuo mettere in piedi interventi estemporanei del momento e scollegati tra loro.
Se sessant’anni fa si era nella scia della ricostruzione con tutti i pregi e difetti di quel periodo, oggi invece viviamo una situazione assai diversa, e ci si sarebbe attesa una pianificazione più attenta. L’operazione avrebbe dovuto essere ponderata meglio, inquadrandola in un contesto dialogico con la cittadinanza e con i personaggi di cultura che essa esprime. E, ne sono certo, sarebbe stata cosa gradita a molti, e la sintesi sarebbe stata certamente condivisa ai più e senz’altro ricca di apporti costruttivi nuovi e diversi. Ma purtroppo siamo a Rimini, dove la politica ha da anni cancellato la partecipazione dei cittadini alle scelte della città, e dove gli stessi quindi si sentono avulsi e lontani da ciò che accade. Questa è la storia di un episodio che, seppure mirato, ci insegna molte cose.
Molte città italiane furono pesantemente danneggiate dagli eventi bellici della seconda guerra mondiale, ma la politica locale seppe salvaguardare e ripristinare il tessuto urbano storico e le testimonianze del passato, in modo da conservarle; Bologna è un esempio a noi vicino.
A Rimini la politica fece tutt’altro e, oltre ad avere permesso tante successive immotivate demolizioni, non seppe neppure ripristinare e conservare degnamente ciò che rimaneva in piedi. E di conseguenza, tranne in sporadici casi nel tempo, in cerca di consensi a buon mercato (non coperto) non fu capace di infondere la cultura del rispetto verso ciò che rappresentava il nostro passato. Ed ancora oggi assistiamo a questo copione in una città che ambisce a divenire capitale della cultura.
Sarebbe sufficiente essere una città di cultura, perché lo “status” non s’improvvisa dalla sera alla mattina con un comitato o con quattro eventi della circostanza, ma viene da lontano credendoci veramente. Cosa che, come abbiamo visto e vediamo ancora oggi, è assai latitante. L’impressione è che l’ambizione sia solo finalizzata, come al solito, a fini commerciali ovvero all’attrazione di un turismo e non altro, visto i modelli principali che si propongono rispetto alle vere e solide potenzialità che ancora nonostante tutto la città potrebbe esprimere.
Chissà se allorquando necessiterà di demolire anche il Mercato che verrà, Rimini avrà amministratori più illuminati tanto da comportarsi diversamente, facendo tesoro della storia e dell’ennesima occasione persa che si profila?
Correva l’anno 1959: “Anche in questo campo, signori della Giunta ci vogliono provvedimenti coraggiosi che diano valore sostanziale alla parola democrazia”.
Mario Macina, nel 1959 membro del Consiglio Comunale e capogruppo consigliare del P.S.D.I.

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