Il piccolo Tempietto ha una storia grandiosa

Il piccolo Tempietto ha una storia grandiosa

Due epigrafi spiegate dal prof. Rimondini ci conducono ad una inedita "visita" all'«antichissimo tempio». La base ottagonale, il terremoto, la nuova costruzione e come è diventato di proprietà del Comune.

Un giorno il caro amico Gianni Rimondini mi invia due fotografie di epigrafi, con tanto di trascrizione del testo in latino e la traduzione in italiano, e mi dice di averle prese nel tempietto dedicato a Sant’Antonio in piazza Tre Martiri. Le ricordo bene perché più volte ho scritto in tema del vergognoso e umiliante stato a cui è soggetto quel piccolo gioiello d’arte, (qui) (qui) peraltro di proprietà del Comune di Rimini ma, sinceramente, non mi ero mai soffermato a leggerle e comprenderne la storia che narrano; ma questa è l’occasione buona per farlo.

AD HONOREM DIVI ANTONII LISBONEN(SIS)
EMINENTISS(IMVS): ET REVERENDISS(IMVS): D(OMINVS)
D(ECANUS) S(ACRAE) R(OTAE) CARD.IACOBVS ROSPIGLIOSVS
IN SIGNVM PROTTECTIONIS ET PIETATIS
AEDEM HANC ANTIQVISSIMAM
ET CELEBRISS(IMO) EVCARESTIAE PRODIGIO INSIGNEM
SED TERREMOTV IN CVLMINE DETVRBATAM
TEGIT STATIM, ET INSTAVRAVIT ANNO 1672
HNC SODALITAS AD HONOREM EMINENTISS(IMAE) LIBERALITATIS
ET CONFRATRVM MEMORIAM VT FVTVRIS SAECVLIS
SICVT HODIE(M) ET QUOTIDIE(M) PRO PIISS(IMO) BENEFACT(OR)E ORENT
DENVO POSVIT ANNO 1683.

In onore di S. Antonio da Lisbona, l’eminentissimo e reverendissimo signore decano della Sacra Rota Giacomo Rospigliosi, in segno di protezione e di pietà nel 1672 subito coprì e fece restaurare questo antichissimo tempio, insigne per il celeberrimo miracolo eucaristico, ma per un terremoto privato della cupola.
La confraternita in seguito nell’anno 1683 pose una seconda memoria ad onore della liberalità del cardinale e dei confratelli, affinché nei futuri secoli e oggi e ogni giorno si preghi per il piissimo benefattore.
Il testo della prima epigrafe degli stessi anni, scomparsa, nel vol. VI della Storia di Rimini del Tonini, II parte, pp.577 e ss.:

IN HONOREM DIVI ANTONII
IACOBVS CARDINALIS ROSPIGLIOSIVS

In onore di S. Antonio Giacomo cardinale Rospigliosi.

Il cardinale Giacomo Rospigliosi (1628-1684) era prefetto del tribunale della Segnatura, uno dei tre tribunali della curia romana, diverso dal tribunale della Sacra Rota. Fonte (e fotografia) Wikipedia. Forse i frati sbagliarono nell’attribuzione, indicandolo come decano della Sacra Rota.
In seguito incontro Gianni e subito gli chiedo un approccio sulla storia del “tempietto” di S. Antonio da Padova a pianta ottagonale: «Che fosse ottagonale lo documenta Raffaele Adimari già nel 1518 ad opera di un Ricciardelli, superiore della Società di S. Antonio.»

Si conosce l’autore di questo primo tempietto?
«Un’attribuzione selvaggia dei primi del ‘900 lo assegna al Bramante, ma non è possibile. Tuttavia siamo nel momento della fioritura del secondo Rinascimento riminese dopo quello malatestiano – palazzo Monticoli del ravennate Bernardino Guiritti di forme peruzziane degli anni 1508-1512, dello stesso autore la chiesa della Colonnella 1510-1514; palazzo Maschi-Lettimi del 1513 di Francesco da Carpi attivo anche a Penna Billi.
Ma fai caso, Salvatore, la scelta di una pianta centrale nel vasto vuoto del “Campo del Foro”, fa parte della nutrita discussione sulla pianta centrale nella ricostruzione della basilica di S. Pietro a Roma. Nell’affresco sistino della consegna delle chiavi del 1481-1483, il Perugino ricrea il tempio di Gerusalemme di forma ottagonale coperto da una cupola, un grande modello che la nostra chiesina riproduce in piccolo. Nel 1502 Bramante progetta la basilica di San Pietro con una pianta centrale e realizza il tempietto di San Pietro in Montorio a Roma, cilindrico e cupolato. Raffaello nello Sposalizio della Vergine di Brera, nella parte alta definisce il tempio di Gerusalemme a pianta poligonale con nel tamburo sottostante la cupola una teoria di grandi finestre.»

Doveva essere una meraviglia il nostro tempietto sorto nel tempo di tali capolavori locali e nazionali; è rimasto niente di questa costruzione del 1518?
«No, nemmeno un’immagine, solo la base, oggi invisibile, che è poi stata usata per la nuova costruzione. Il terremoto del 1672 distrusse tutto.»

Ma come, l’epigrafe non dice che il cardinale Rospigliosi fece coprire la parte della cupola distrutta dal terremoto?
«Sì è vero, l’epigrafe dice così, tuttavia una precisa perizia di Giovanni Francesco Nagli detto il Centino – ma non credo per Cento patria del Guercino, c’è un Cento più vicino nel cesenate -, che in tale documento si firma come architetto di professione, afferma che il terremoto ha fatto piazza pulita della primitiva costruzione. Il manoscritto dovrebbe essere depositato in Gambalunga; ma non è di facile reperimento. Al momento Maria-Cecilia Antoni, che ha scoperto uno sconosciuto inventario dei manoscritti, lo sta cercando. Fortuna volle che Carlo Tonini l’ha pubblicato nel VI volume della Storia di Rimini.»

Il Nagli non è l’architetto della nuova costruzione?
«Per esser franchi nella perizia non lo dice, ma sembra assai probabile che l’abbia costruito lui, probabilmente ispirandosi alle forme dell’edificio distrutto.»

Lo puoi provare?
«No. Tuttavia sullo sfondo un quadrone del Nagli, conservato nel Museo, rappresentante David che sta per tagliare la testa del gigante Golia, su un costone roccioso è rappresentata una città. Dietro alle mura quasi nel mezzo si vede un edificio a base ottagonale cupolato con colonne negli spigoli, in grande la stessa struttura del nostro tempietto.
Adesso guardiamolo meglio. Sembra che l’autore si sia ispirato più che agli esempi architettonici nominati a modelli di oreficeria, come ostensori, reliquiari e turiboli. Lo schema dell’edificio è formato da un solido a base ottagona con colonne sugli spigoli e cupola separati da una trabeazione dai contorni rilevati sulle colonne, e da un attico. La cupola attuale è di rame che col tempo ha preso un colore verde; la cupola originale era coperta di piombo e col tempo doveva essersi imbiancata. Sul davanti tutta la parete è occupata dalla porta sormontata da un timpano spezzato dai monconi ridotti e scavati a baccello. Sopra c’è una vela per una campana conclusa con un piccolo timpano intero. Nelle due pareti ai lati della porta ci sono due finestre aperte; nelle rimanenti cinque pareti le grandi finestre sono chiuse da lastroni di pietra. Ma solo sei lati sono di pietra d’Istria; i tre dietro con due colonne sono di pietra di San Marino, meno pregiata.»

Nell’interno sull’intradosso della cupola si vedono i resti di un affresco.
«Infatti, fu scoperto nei lavori del restauro del 1922. Purtroppo non è completo, e forse non è un affresco ma una tempera. Le colonne sono di ordine toscano – ossia etrusco – una variante del capitello dorico, che vediamo nella sua forma originaria e archeologica nella casa di Bonvillo qui di fronte, dei primi dell’Ottocento, assai probabilmente disegno di Giuseppe Achilli.»

Ma passiamo alla seconda epigrafe.

AERE CIVIUM /
AD SOLEMNEM MEMORIAM /
EUCHARISTICI CONVENTUS /
ITERUM INSTAURATUM /
A(NNO). D(OMINI) MXMXXII

COL DENARO DEI CITTADINI.
A SOLENNE MEMORIA DEL CONVENTO EUCARISTICO
PER LA SECONDA VOLTA FONDATO
NELL’ANNO DEL SIGNORE 1922

Il tempietto affidato ai Minimi e il loro ristabilimento a Rimini nel 1922, dopo la soppressione napoleonica dell’ordine e confisca dei loro beni avvenuta nel 1797. Ma non fu solo quella la cronologia delle vicende a cui furono soggetti i Paolotti o Minimi di San Francesco da Paola, e Gianni me le elenca:
PRIMA SOPPRESSIONE: 1797 NAPOLEONICA
PRIMA RIAMISSIONE 1821: RESTAURAZIONE PONTIFICIA
SECONDA SOPPRESSIONE: 1866 GOVERNO NAZIONALE ITALIANO
SECONDA RIAMMISSIONE: 1922 (come è scritto nella seconda epigrafe)

Gianni in tutto questo andirivieni di date, come mai ora il Tempietto è di proprietà del Comune?
«Al proposito esistono dati certi e incerti. La decisione della costruzione del 1518, e quindi la proprietà, spetta alla Società di S. Antonio di cui era capo e promotore della costruzione Pietro di Guido Ricciardelli. Dieci anni dopo un Pietro di Ugolino Ricciardelli lascia nel suo testamento la somma notevole di 50 ducati per la fabbrica non ancora finita. Altri confratelli avevano offerto denari per la cappella, ma nel 1542 la famiglia Ricciardelli ne risulta proprietaria. Nel 1672 è il cardinale protettore dei Minimi che offre il denaro per il restauro, in realtà per un rifacimento; sembra di capire che la proprietà sia dei Minimi o Paolotti. Dopo la prima soppressione del 1797 il tempietto divenuto di proprietà del Demanio, potrebbe essere stato acquistato dal Comune. Venne poi restituito ai Minimi nel 1821 (?). Di nuovo fu acquistato dal Comune dopo il 1866 e non più donato ai Minimi (?). Quest’ultima parte caratterizzata da incertezze, meriterebbe un approfondimento specifico.»

Poi mi invita a documentarmi sulla “la storia della Chiesa dei Paolotti”, di Arturo Menghi Sartorio, circa la presenza e il culto di S. Antonio da Paola in Rimini, di cui testualmente si riporta un breve tratto dell’articolo apparso su Ariminum Anno XIV – N.6 – Novembre/Dicembre 2007. Vi è da premettere che a San Francesco da Paola si era attribuita particolare assistenza ed intercessione per la risoluzione di vari fatti gravi che avevano afflitto la città e colpito i suoi cittadini. Tanto che la Magistratura (giunta comunale di allora) in segno di riconoscenza, propose al Consiglio di enumerare il Santo fra i protettori della città. La delibera solenne fu presa per acclamazione il 24 aprile 1745.
Nel 1613 il Padre Romualdo Cristoforo di Ravenna chiese all’autorità comunale di Rimini a nome dell’ordine dei Padri Minimi da lui rappresentato, che ai frati «essendo spesso di passaggio in questa nostra città, per occasione dei loro monasteri, che hanno nella Lombardia e nella Marca, … fosse concesso, aiuto a favore di poter acquistare un luogo in questa città da potersene servire almeno per ospizio dei loro passeggeri». Il Consiglio il 16 novembre 1613 aderì alla richiesta e nominò una commissione di quattro membri – dottor Giacomo Bianchelli, dottor Ascanio Tortorini, signor Leonardo Astolfi e signor Raffaele Adimari – affinché trovasse un luogo acconcio.
Ricorre quindi il centenario della riapertura del Convento dei Minimi di San Francesco da Paola. L’ordine ha una caratteristica ‘moderna’, i frati fanno il voto di perenne astinenza: non mangiano né carne né derivati della carne burro, latte, uova ecc. Oltre all’anniversario degli 800 anni del passaggio da Rimini di S. Antonio da Padova.
In quest’ultimo caso non si trattò di un semplice insignificante transito, ma lasciò dietro di sé ben due miracoli: quello della mula e quello dei pesci; fatti storici conosciuti non solo a Rimini, ma pure in altre parti d’Europa e del mondo, considerato anche che il Santo era di origine Portoghese.
Doppio e coincidente evento, meritevoli di quella attenzione, che una città attenta avrebbe dovuto tributare; invece no.
E anche questa volta – ovviamente – nessuna iniziativa intrapresa dai nostri preposti alla cultura de noantri, tutti protesi ad organizzare mediocri e asfittici presunti capodanni più lunghi del mondo, di cui l’apoteosi consiste nell’incendio del castello, sciatta banalità ritrita che neppure a Disneyland va più in scena.
Ringrazio Gianni e guardo il tempietto, pensando che fortunatamente non è stato più danneggiato da eventi tellurici; ma, purtroppo, profondamente segnato dall’incuria umana e dalla mancata consapevolezza del suo valore.

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