La vera novità dell'anno scolastico appena iniziato a Rimini è una realtà formativa inedita nel panorama locale e probabilmente anche nazionale.
La vera novità dell’anno scolastico appena iniziato a Rimini non è la scuola di Villaggio I Maggio che odora di fresco. Un edificio nuovo è pur sempre un buon segnale perché significa che qualcuno investe nella scuola. Ma la vera novità è una realtà formativa inedita nel panorama locale e probabilmente anche nazionale. E’ una piccola cosa. Una bambina da nulla, direbbe Péguy. Piccola, piccola. Una scuola con soli sette studenti. Ma che deborda di una speranza gigantesca, che stupisce perché è venuta alla luce forte solo di una scommessa educativa e di una amicizia condivisa in nome di un bisogno. Magari silenzioso, il più delle volte non pronunciato, ma ben presente e che attendeva una risposta come questa.
Una scuola senza tante sovrastrutture e investimenti milionari, con poche risorse economiche e strutturali ma con tante risorse umane. Se gli studenti sono sette, gli adulti che hanno deciso di affiancarsi a loro sono una quarantina, praticamente tutti volontari. Accade a Rimini? Anno Domini 2014? Yes.
Non è incredibile che una bambina da nulla buchi le incrostazioni della scuola italiana, della burocrazia imperante e della crisi a briglie sciolte dei nostri giorni?
Si chiama “la città dei maestri” e quel che i sette ragazzi hanno cominciato a frequentare dal 15 settembre è un istituto professionale alberghiero. Per dirla esattamente: Istituto professionale non paritario per i servizi enogastronomici e dell’ospitalità alberghiera.
Al numero 108/a di via Coletti (telefono 0541.52903) si va a scuola dai maestri, cioè ben più di professori che aprono i rubinetti del sapere su vergini menti che spesso e volentieri si dimostrano impermeabili. Qui la scuola ha l’ambizione di somigliare a quel che è stata in origine, l’incontro fra un giovane e un adulto capace di suscitare il desiderio della conoscenza. Il rapporto fra un discepolo e un maestro alla cui scuola si era introdotti nella vita, non appena alla acquisizione di un pacchetto di nozioni. Scuola, nel senso pieno del termine, non può che essere quella che dà frutti quando un giovane incontra un adulto e scopre, inaspettatamente, un insegnamento appagante e attrattivo, al punto da decidere di seguirlo liberamente, e anzi con entusiasmo, mettendo in gioco intelligenza, passione, talenti.
In questo caso la sfida aperta è quella di investire sui mestieri artigianli, sul talento della manualità. Per il momento puntando su gastronomia e settore alberghiero, ma con una lampadina già accesa per incamminarsi, appena sarà possibile, su altre aree di indirizzo professionale. “La scintilla iniziale è nata dal desiderio di creare una scuola nella quale il ragazzo che incontra difficoltà nell’approccio concettuale, possa essere accolto e valorizzato partendo dall’insegnargli un lavoro”, spiega Ida Tucci, coordinatrice di tutto il progetto, insegnante di comunicazione e ospitalità.
I locali della scuola, con un’aula per le lezioni e un laboratorio, sono stati messi a disposizione da uno chef professionista, Alessandro Garattoni, che è anche uno dei tanti adulti che accompagnano questa iniziativa.
“Tutti coloro che si sono messi insieme per far nascere la scuola hanno a cuore quelle che Papa Francesco a maggio, nella “giornata sulla scuola”, ha chiamato le tre lingue: la lingua della mente, del cuore e delle mani”, racconta Ida Tucci,. “Auguro a tutti voi, genitori, insegnanti, persone che lavorano nella scuola, studenti, una bella strada nella scuola, una strada che faccia crescere le tre lingue, che una persona matura deve sapere parlare”, ha detto il papa.
E le parole di Francesco sono diventate subito un concreto approccio per l’impostazione della scuola, fino a impregnare di questa visione il progetto educativo e il piano dell’offerta formativa.
Nel primo collegio dei docenti, che si è riunito il 21 giugno, insegnanti, professionisti e adulti in genere che hanno aderito con entusiasmo alla sfida, si sono chiesti: cosa vuol dire accogliere un ragazzo e utilizzare un metodo di insegnamento basato sulla operatività della professione? Non è comune affrontare la scuola con queste domande. E men che meno con queste risposte: “Prima di tutto una scuola c’è quando ci sono degli adulti che hanno qualcosa da comunicare, quindi è decisivo il gruppo degli insegnanti. L’insegnante è uno che ha passione per sé, desidera conoscere il mondo attraverso un settore”. Fra i tanti presenti, anche Daniele Biondi, manager in una società di comunicazione e organizzazione eventi: “Gli adulti che hanno dato vita alla città dei maestri, insegnanti e non, non fanno un’opera caritatevole ma hanno individuato, io compreso, in questa realtà una opportunità di crescita per se stessi. E’ questo l’elemento che lega tutti”.
La scuola dal punto di vista della struttura è speculare ad un istituto statale alberghiero. Le materie sono quelle di un normale istituto statale per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera, ma “è il metodo che ha la pretesa di diventare innovativo in tutto”, commenta Ida, “oltre al maggiore spazio riservato alla manualità, alle ore di laboratorio rispetto a quelle teoriche”.
La manualità, si diceva. Al fondo della scommessa educativa di questo Istituto professionale c’è la convinzione che la manualità non è una competenza di serie B. Su una strada così disegnata, le esperienze degli adulti si sono inserite con facilità e con libertà. E un aspetto assolutamente nuovo è che tutti gli insegnanti (tranne uno), preside e vicepreside comprese (rispettivamente Marisa Falzoni e Laura Bizzocchi), dedicano il loro tempo gratuitamente.
E insieme a loro tanti altri: “Per il lavoro di programmazione in ogni materia si sono coinvolte tre o quattro persone e non solo insegnanti”.
L’avvio con sette studenti, dunque, ma c’è la possibilità di salire fino a 15 perché gli attuali locali lo consentono e questo prevede l’autorizzazione di cui la scuola dispone. I tavoli da lavoro sono stati costruiti appositamente e su misura per favorire al meglio l’attività laboratoriale.
La retta è bassa (“non vogliamo che costituisca uno sbarramento all’ingresso”) e certamente non copre le esigenze economiche. E per questo sono state attivate tutta una serie di sinergie (con Illumia, ad esempio, che sostiene l’opera fornendo l’energia a costo zero) oltre a rapporti con imprenditori e sponsor, una ricerca che continua: “La scelta di chi sostiene economicamente ci aiuta anche a tenere serrato il rapporto tra mondo dell’impresa e mondo della formazione”, dice Daniele Biondi, che significa anche iniziare a spalancare le porte del lavoro agli studenti che usciranno da qui pronti per intraprendere una professione.
Fra i professori che hanno messo in comune la loro lunga esperienza nella scuola, per far crescere la nuova creatura, c’è anche Daniele Celli, preside del liceo scientifico “Georges Lemaitre” e da quest’anno anche del liceo classico “Dante Alighieri” di Rimini: “Ci sono cinque verbi che chi fa scuola dovrebbe imparare a memoria perché sono indicatori di un metodo: osservare, ascoltare, paragonare, pensare, parlare. Incontrare l’altro, vederlo, perché è dall’incontro che scatta un paragone/rapporto/confronto che mi interroga. Affinché cresca in me una domanda devo imbattermi in qualcosa che c’è. Da questo deriva la capacità di giudizio.
Parlare, cioè scrivere, cioè agire, mettersi in moto. Ci interessa che i ragazzi diventino capaci di azione, cioè protagonisti. Così si verifica che lo scopo si sta realizzando. Il mezzo è il mondo. Il modo è seguire una comunità, un noi. Seguire qualcuno che è più grande. S’impara seguendo, facendo e sbagliando”. La città dei maestri ha preso il largo.
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