La seconda vita del “Sant’Agostino” e le sorprese venute alla luce col restauro

La seconda vita del “Sant’Agostino” e le sorprese venute alla luce col restauro

Nuove funzioni per l'ex cinema, dopo un lungo lavoro costato mezzo milione di euro. La sistemazione complessiva è arricchita da due chicche: il portone d’ingresso e un capitello che risale alla fondazione del complesso. Domani l'inaugurazione alla presenza del vescovo e del prefetto.

Quando sette anni fa don Vittorio Metalli, arrivava per la prima volta come nuovo parroco a Sant’Agostino (che ha riunito le sette chiese del centro di Rimini) il sacerdote ha vissuto, come dice lui stesso, momenti di gioia e insieme di frustrazione. Gioia per il nuovo incarico pastorale ma anche frustrazione per avere ritrovato il cinema (che aveva frequentato da giovane appassionato cinefilo e non più in uso da un quindicennio) nonché le sale della canonica al limite dell’agibilità ma soprattutto senza sapere dove girarsi per trovare ambienti adatti all’attività pastorale. In particolare al piano sopra il cinema, dove ora ci sono ampie e luminose sale da catechismo ed altre attività, c’era un solaio con avvallamenti di tre-quattro centimetri e una stabilità che lo faceva assomigliare più a un ponte di giunchi e canne sul fiume che a uno stabile pavimento di un edificio cittadino.

Un paio di anni fa in aiuto al senso di frustrazione del sacerdote è arrivata la Provvidenza, che, come dice don Vittorio, “ha smentito la mia poca fede”. A volere fare i pignoli, non me ne voglia il parroco, diciamo che si tratta di un po’ di esagerazione e di una concezione un po’ troppo manzoniana della Provvidenza, sta di fatto che una donazione testamentaria di due donne che è giusto citare qui (una volta tanto si fa bene a fare i nomi) ha rimesso in piedi un progetto di ristrutturazione che ha restituito alla parrocchia, ma anche alla città, una sala polivalente (che a quanto ci risulta ha già in calendario appuntamenti e convegni autunnali per conto di ordini e organizzazioni laiche) e ampie sale per l’attività pastorale. Dicevamo delle donazioni, che portano la firma di Carla Nora e Giulia Mandolesi. In particolare la prima ha lasciato alla parrocchia soprattutto titoli, per un corrispettivo di circa 300mila euro mentre la seconda di circa 100mila euro. Insomma una bella somma che, seppur insufficiente e con l’integrazione della diocesi che ha utilizzato, su indicazione dell’attento economo diocesano don Danilo Manduchi, i fondi dell’8 per mille, ha permesso di concretizzare due progetti a Rimini. Uno di questi appunto riguarda Sant’Agostino, l’altro alla chiesa dei Salesiani adiacente a piazza Alberto Marvelli.

L’intervento di restauro e recupero, durato circa un anno, è costato in effetti circa mezzo milione di euro ed era pronto per l’inaugurazione già nella primavera ma, come si sa, è arrivato il lockdown causato dal Covid 19 a guastare i piani. L’appuntamento è per domani, 12 settembre, nel pomeriggio al termine della messa delle 16,30. Ci saranno il vescovo Francesco Lambiasi e il prefetto Giuseppe Forlenza (che nel luglio scorso ha sostituito Alessandra Camporota) mentre il sindaco ha delegato un suo sostituto. Il team di tecnici responsabili dell’intervento è formato dai fratelli Marco ed Emanuele Panzetta, Daniele Cenni per gli impianti elettrici, Alessandro Versari e Dario Bizzocchi per gli impianti di condizionamento. Ma oltre che al recupero di questi spazi i lavori di restauro hanno riservato alcune sorprese interessanti che hanno permesso peraltro di approfondire la storia di questo complesso architettonico di cui la città di Rimini può a ben diritto andare fiera e che forse potrebbe essere ancor maggiormente valorizzato in chiave turistica.

Emanuele Panzetta e don Vittorio Metalli

Considerate che la prima piantina del complesso è del 1811. La chiesa invece risale al 1247, quando papa Innocenzo IV concesse l’indulgenza ai fedeli che avrebbero aiutato i frati agostiniani, insediati a Rimini per edificare una grande chiesa dalle forme romaniche. Risale sempre al XIII secolo l’acquisizione a cura dei frati di alcuni isolati e della vicina chiesa dei santi Giovanni e Paolo. Si tratta della chiesetta, ora inglobata da Sant’Agostino, dove vengono celebrate le messe nella stagione invernale. Tra il 1618 e il 1626 l’interno della chiesa viene rinnovato secondo le indicazioni architettoniche e liturgiche del Concilio di Trento mentre l’aspetto odierno (ad esclusione del gioiello più prezioso e cioè l’abside affrescata dai maestri giotteschi della scuola riminese del Trecento) viene realizzato nel 1720. Nel 1672 e nel 1786 due disastrosi terremoti costringono i frati alla decisione di rifare l’intero convento, intervento non terminato a causa di un altro tipo di terremoto, non meno disastroso, quello causato da Napoleone che soppresse, a Rimini come in tutta Italia, gli ordini religiosi e cacciò gli agostiniani. Il tesoro e il capolavoro del Trecento riminese nell’abside tuttavia riaffiorò solo nel 1916 a causa di un altro evento tellurico. Sul Trecento riminese altri meglio di me potranno suggerirvi i motivi per cui vale assolutamente la pena una visita alla chiesa. Vi suggerisco in proposito di leggere gli scritti di Piergiorgio Pasini e, nello stesso sito sul quale state leggendo, Giovanni Rimondini. Ma proprio lo scorso anno la SilvanaEditoriale ha pubblicato uno splendido volume dal titolo Il Trecento riscoperto. Gli affreschi della chiesa di Sant’Agostino a Rimini a cura di Daniele Benati con fotografie di Gilberto Urbinati e saggi dello stesso Benati, di Antonio Paolucci e Alessandro Giovanardi, che io credo valga davvero tutti i 35 euro del costo. Ma detto questo è utile fare anche un accenno alla proprietà del complesso, che naturalmente, fin dalla nascita in pieno medioevo era dei frati agostiniani. Verso la metà dell’800, il vescovo di allora, con la formula dell’enfiteusi (sostantivo desueto usato per denominare una sorta di patto affittuario), con cui fu concesso l’uso del convento (ovviamente non della chiesa che fu anche cattedrale di Rimini dal 1798 al 1809) al Comune. Infine verso la metà del secolo scorso il Vescovo di allora ne cedette al Comune la proprietà.

Ora vi chiederete quali siano queste sorprese affiorate durante i lavori… La prima la troverete di fronte a voi una volta entrati nella parete dietro il palco: si tratta di una colonna che risale proprio alla fondazione del complesso, probabilmente una colonna d’angolo di uno dei chiostri del complesso. Il capitello è sorprendentemente comparso dopo i colpi di martello col quale il muratore stava scrostando l’intonaco. Trattandosi di un reperto prezioso e antico i progettisti hanno deciso, una volta ripulita, di lasciare la colonna in vista. Ed in effetti si tratta di una felice sistemazione. Fra l’altro questi lavori hanno permesso di ricostruire che proprio dove ora sorge la sala recuperata c’era anticamente l’ingresso del convento. Ma un’altra sorpresa viene dal portone d’ingresso dell’ex cinematografo. Si tratta di un portone (che un tempo si apriva solo dall’interno) che giaceva impolverato contro un muro fin dalla costruzione del cinema tra gli anni ’50 e ’60. Nel restauro s’è constatato che il meccanismo di ferramenta del portone risale all’età malatestiana, mentre nella serratura è stata ritrovata una moneta con l’effige di Vittorio Emanuele II che indica un restauro del periodo ottocentesco risorgimentale. Infine al piano superiore, murato in un’intercapedine, è stato ritrovato un affresco sul quale ieri è rimasto un po’ di riserbo. Forse si vuole ancora studiarne l’origine e la datazione. Ma indiscrezioni sostengono che si tratta di un’immagine quattrocentesca (probabilmente una Madonna) devozionale a cui i fedeli di allora erano molto legati.

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