La testa mancante della scultura di Pino Castagna giace in un disordinato deposito

La testa mancante della scultura di Pino Castagna giace in un disordinato deposito

L'opera "decapitata" da circa quarant'anni fa bella mostra di sé in piazzetta Teatini. Ce ne siamo già occupati in passato, ma ora è possibile svelare dove si trova la parte che non è al proprio posto. E non si capisce come e perché la trascuratezza possa raggiungere queste vertiginose altezze.

Questo giornale si è occupato già in passato della scultura di Pino Castagna (1932 – 2017) che da una quarantina di anni è piantata là, in piazzetta Teatini, mancante di una delle teste della scultura Due figure.
Di recente, l’opera è stata ripulita da alcune scritte fatte con bomboletta spray da un abile “creativo” di passaggio. Qualche ingenuo si illudeva che con l’occasione l’assessorato alla Cultura avrebbe provveduto a far riattaccare la testa e riunire finalmente l’immobile coppia. Niente da fare. Il destino del secondo elemento della composizione lapidea è di rimanere dispiccato dal resto. A proposito di questa non trascurabile parte del tutto, siamo sicuri che esista ancora? E nel caso, dov’è? La risposta è sì. C’è ancora ed è conservata, come meglio non si potrebbe, in un luogo prestigioso. Ma sarò più preciso dopo un doveroso accenno all’autore. E più sotto segnalerò un filo rosso che lega una lontana nazione con il reperto in oggetto. Devo fare un paio di necessarie considerazioni.

È lecito e comprensibile che non tutti i riminesi condividano stili o percorsi artistici da cui non si sentono coinvolti. Per contro, chi amministra, e ciò vale per qualsiasi città, ha il dovere di conservare il patrimonio artistico cittadino nel migliore dei modi e volendo dirla tutta, anche esporlo alla vista di chi lo ha finanziato. Vale a dire, nel caso di specie, i riminesi. In merito a questo aspetto, dovrei snocciolare un elenco troppo lungo per essere considerato in questa occasione. L’inventario a cui alludo, per quanto ben conosciuto, è olimpicamente ignorato dalla cabina di regìa di chi è stato votato per gestire la cosa pubblica. Durante una conferenza, lo ha ricordato recentemente anche il professor Pier Giorgio Pasini, noto e stimato storico dell’arte riminese. Reazioni? Zero. Fine della premessa.

Giuseppe Castagna in una immagine di Michele Mascalzoni che pubblichiamo per gentile concessione dell’architetto Alberto Vignolo, direttore della rivista ArchitettiVerona.

Giuseppe Castagna è stato uno scultore prolifico, sempre concretamente partecipe e attento alla realtà circostante. Nato a Castelgomberto in provincia di Vicenza, nei quasi settanta anni di attività artistica, studia, lavora e sperimenta un gran numero di materiali: utilizza ceramica, cemento, marmo; quindi il vetro, ma si cimenta anche con le fibre tessili per arazzi e tappeti; passa dalla lavorazione del legno all’uso della ghisa, dell’acciaio e dell’oro e naturalmente del bronzo. Lo scalpello brandeggiato da Castagna, usato a volte per incidere come denuncia e che arriva a spendersi anche in campo psichiatrico, definisce la statura morale e l’impegno civile dell’uomo e dell’artista. «Questo spino deve essere grande, perché tutti devono vedere quello che tanti non hanno voluto vedere e sapere in quegli anni di guerra e di vergogna». Le parole appena citate sono quelle con cui l’artista commenta Filo spinato, un monumento dedicato alla Shoah che dal 2009 si trova in piazza Isolo a Verona, città a cui rimarrà sempre legato.

La scultura “Lo spino del filo spinato” di Pino Castagna in Piazza Isolo a Verona (di Cacao90 tratta da Wikipedia).

Tra le mani e le meningi di Castagna, l’inerzia degli elementi si trasmuta in opere d’arte, talvolta monumentali, sempre universalmente apprezzate. E considerate a tal punto che lo scultore veneto partecipa a un notevole numero di esposizioni personali e collettive in ogni parte del mondo, compreso il Giappone, dove nel ’77 espone la serie di sculture Canneti presso la rinomata galleria d’arte Wako/Wako Hall di Tokyo che dal 2023 ha cambiato sia proprietà che denominazione.

Opere dell’atelier di Castagna. Foto di Michele Mascalzoni gentilmente concessa dall’architetto Alberto Vignolo, direttore della rivista ArchitettiVerona.

Infatti, ora si chiama Seiko House Ginza Hall, come precisa chi replica alla mia e-mail quando tento di rintracciare specifico materiale fotografico dell’epoca. Il referente si è detto molto dispiaciuto, ma non ha trovato la documentazione che cercavo. Peccato, ma ritengo che a distanza di quasi mezzo secolo, la cosa sia comprensibile. Comunque, da Tokyo ho avuto risposta nel giro di cinque giorni appena. Sono rimasto molto colpito dall’efficienza e dalla cortesia nipponica, peraltro entrambe proverbiali. Ciò si pone in netto contrasto con il modo di agire locale che per mia esperienza, in diversi casi definirei affatto simile a quello dell’Impero del Sol levante. Ora arrivo al filo rosso.
L’otto di luglio del 1978 si inaugura a Rimini la mostra personale all’aperto di Pino Castagna. Tra le opere in mostra figurano anche i Canneti (non so se fossero gli stessi, ma il tema sì) che furono esposti con grande successo l’anno precedente a Tokyo. Ed ecco perché, come visibile in foto, nell’elegante spazio antistante il pregevole deposito (all’interno, l’ambiente sarà certamente ionizzato) sono stati posizionati a mo’ di installazione i fiammanti risciò a simbolo e ricordo del significativo viaggio in Giappone. Una sorta di collegamento totemico con il Paese dei ciliegi. Dunque, il filo rosso è questo.

Risciò all’ingresso del deposito comunale che annovera anche la testa mancante delle “Due figure”.

Pare che il risciò (Jinrikisha) sia stato inventato nel paese del Sole nascente nel 1869. Va anche sottolineato che l’intero impianto scenico, frutto di contaminazioni del panorama circostante, si giova della benevola indulgenza di Casa Madiba, da un decennio stabile sede di occupanti senza alcun titolo. Il comune di Rimini ha avuto occhio lungo e pugno di ferro. È riuscito a conservare una pregiata enclave nell’ex area sede della caserma dei pompieri. Ironia a parte, ma serve come antidoto per arginare lo sconforto, superato lo spazio esterno si entra in un locale invaso da polvere, disordine e disorganizzazione di cose accatastate senza criterio, a partire da alcuni pezzi di scenografia di un film di Fellini.

Scavalcando ferri, plastiche e oggetti vari, si arriva a un bancale di legno su cui figurano due strati di materiale lapideo divisi da un cartone (antiurto!) sul quale, in un angolo si legge: tutto Santa Colomba tranne il framm. sotto, dove per framm. si intende la testa appartenente alla scultura Castagna, ma poi, subito a fianco, un sagace ripensamento: solo la sfera è di Santa Colomba. Tra tutto questo sudicio bailamme, non una targhetta di riconoscimento con un minimo di descrizione, non un numero di catalogo, non un accidente di richiamo che conduca ad una sorta di libro mastro o che altro. Nulla. Come si possa definire un modus operandi del genere, lo lascio volentieri alla fantasia del lettore. La mia ha esaurito i termini che rientrino nei canoni della decenza di linguaggio. Tornando alla disgraziata Due figure di Pino Castagna, e soltanto per desiderio di consolazione, speriamo che tanto più lunga sarà l’attesa, maggior soddisfazione si riceverà nel momento in cui verrà tirata la cordicella atta a svelare l’agognato restauro, durante l’inaugurazione. Visti i tempi di reazione e i sofisticati meccanismi decisionali a cui siamo stati abituati, chissà che godimento, per i nipoti dei nipoti dei nostri nipoti.

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