Il progetto di isolamento dell'Arco d’Augusto con risanamento delle zone adiacenti e la sistemazione della viabilità, risalente al 1937, verrà solo parzialmente realizzato, anche a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale. Ma la visione d'insieme e le soluzioni ipotizzate avevano i connotati della lungimiranza. Questo modo di pensare in grande e pianificare con un occhio al futuro è ormai un lontano ricordo.
La città di Rimini degli anni ’30 fu interessata da grandi progetti e trasformazioni, che però in parte non giunsero al termine per diversi motivi. Il paesone di provincia ambiva alla modernizzazione, ad una migliore qualità della vita e ad accreditarsi sempre più come località turistico-balneare di pregio e di rilevanza internazionale.
Dopo avere narrato i lavori che si svolsero per il miglioramento della situazione sanitaria e viaria del Borgo S. Giuliano (qui) e (qui), cercheremo di affrontare ciò che avvenne nell’intorno dell’Arco d’Augusto. Lo faremo in modo riassuntivo perché la storia si svolge nell’arco di vari anni, ed è ricca di documentazione, prendendo in considerazione la relazione generale del progetto, redatta dall’Ufficio Tecnico comunale, dal titolo: “Progetto di isolamento dell’Arco d’Augusto con risanamento delle zone adiacenti e del quartiere Bufalini e sistemazione della viabilità nella parte orientale del vecchio nucleo urbano”.
L’elaborato tecnico datato 14 gennaio 1937 a firma dell’Ingegnere capo Virgilio Stramigioli, era suddiviso in capitoli a seconda del loro peculiare contenuto.
Il primo capitolo, “natura e scopo dell’opera”, si apriva con la retorica del tempo inneggiando all’Impero Romano ed al nuovo che lo voleva erede, ricordando l’episodio in cui in precedenza il Duce, in visita a Rimini, diede il “primo colpo di piccone alle casupole che nel corso dei tempi sono venute addossandosi al monumento, sino quasi a soffocarne la mole maestosa”, e la contestuale cospicua elargizione di Lire 500.000 per il finanziamento del primo lotto dei lavori.
Nel prosieguo si affrontava la situazione legata al risanamento sanitario, fenomeno effettivamente reale rispetto al precedente. Siamo in pieno centro della città, ma allora la consistenza edilizia nei quartieri circostanti l’Arco era definita “…le accennate casupole esistenti a ridosso dell’Arco, fanno parte di uno dei più vecchi, sudici e malsani quartieri della Città”, ed era perimetrato nella zona compresa fra i Vicoli dell’Onestà e Voltone, e il Corso d’Augusto da un lato, e le vie Bertani e Guerrazzi dall’altro. Si apprende che in effetti quelle abitazioni erano umide, malsicure, sovraffollate, costruite con materiali poveri, soggette a scarsa se non inesistente manutenzione e spesso prive di latrine che, allorquando esistenti, scaricavano a dispersione nel terreno o nella fossa Patara detta anche dei Molini, ed erano allocate anche “a diretto contatto con le camere” o nelle cucine, oltre spesso servire a più persone di diversi nuclei familiari se in spazi cortilizi. In alcune di esse mancava l’acqua o la corrente elettrica, ma anche entrambi i servizi in molti casi. Risulta inoltre che sia se di proprietà o affittate, in entrambi casi i proprietari per indigenza o altro non investivano denari per il miglioramento edilizio.
L’altro aspetto negativo, oltre la totale mancanza delle fognature, era costituito dalle strade strette e mal tenute, che rendevano difficile la viabilità e la salubrità dei quartieri. Lo scopo sociale era quindi ben concretamente motivato, a dispetto del resto.
L’ambizioso progetto che faceva parte del Piano regolatore dell’epoca, di cui costituiva uno stralcio, era suddiviso in 12 lotti e complessivamente doveva essere ultimato nella sua totalità in cinque anni a partire dal 1937. Il primo lotto, quello dell’isolamento dell’Arco, del valore di Lire 1.050.000, si doveva compiere entro il 1937, anno di celebrazione del bimillenario Augusteo. L’importo totale di tutta l’operazione ascendeva a Lire 10.300.000, pari a circa 10.311.904 di Euro.
I lavori principali previsti consistevano in:
– Dotazione di larghezze alle vie, sufficienti ad espletare i normali requisiti igienico-sanitari. (In sostanza la ristrettezza delle vie non permetteva una corretta ventilazione e insolazione delle case);
– La creazione di isolati con cortili spaziosi;
– La rettifica del Corso d’Augusto verso Piazza Giulio Cesare – ora Tre Martiri – con l’allargamento di alcuni tratti;
– Il collegamento del Corso e tutta l’area con la Via Tripoli per mezzo della costruzione di una nuova strada detta Viale Silvio Pellico che scavalcava il Borgo S. Giovanni;
– L’apertura di una direttrice viaria tra la via XX Settembre e la Circonvallazione, per snellire il traffico;
– L’ampliamento della larghezza del ponte sull’Ausa.
Il progetto poi si occupava anche della costruzione di case popolari, modernamente realizzate con cucina e servizi igienici, ambienti quindi ben definiti e separati tra loro, dove alloggiare le famiglie che sarebbero rimaste senza abitazione, a causa degli espropri e successive demolizioni delle dimore in cui risiedevano; e date le loro misere condizioni finanziarie, queste previste nel nuovo viale Silvio Pellico, ma prima ancora realizzate in via Balilla dove attualmente esistono ancora.
Veniva anche affrontato il successivo passo per la ricostruzione delle aree liberate rimaste fabbricabili, indicando di coinvolgere per questo enti e ditte private incentivandole con l’esenzione venticinquennale delle imposte sui fabbricati perché, già allora, nelle zone periferiche i lottizzatori erano usi a costruire per poi lasciare “… al Comune il gravoso onere delle sistemazioni stradali e dell’impianto dei varii servizi, fognature comprese”.
Inoltre si sarebbe restaurato il monumento principale, e dotato di degna illuminazione per il suo risalto.
Questi gli aspetti salienti, di un progetto completo in ogni suo aspetto per quelle che furono le esigenze di allora.
I fabbricati espropriati furono 17 per una spesa totale stimata in progetto di Lire 500.000 comprensivi di Lire 71.900 per spese di stipulazione e registrazione dei contratti, ed imprevisti vari. Con quasi tutti i proprietari si andò ad un accordo bonario, ma con alcuni si invocarono le leggi n. 2359 del 25 giugno 1865 ed affini relative allo stato di pubblica utilità, peraltro chiesto già in principio dal Comune di Rimini, ed ottenuto in seguito.
Il progetto ebbe il parere positivo del Consiglio Superiore della Sanità, di quello delle Stazioni di Cura, del Ministero degli Interni oltreché dei Lavori Pubblici, Cultura Popolare, e la supervisione dell’architetto ingegnere Gustavo Giovannoni (Roma, 1º gennaio 1873 – Roma, 15 luglio 1947) molto in voga al tempo, e consulente in diverse parti d’Italia per varie operazioni intorno ai monumenti.
Completato il primo lotto tutto si arrestò a causa dell’entrata in guerra dell’Italia, che comportava scarsità di risorse ed altre ovvie problematiche. Il Comune di Rimini, in data 29 ottobre 1942, chiese quindi una proroga di cinque anni per il completamento del progetto, “dalla data di cessazione dell’attuale stato di guerra”, poi ridotta a quattro anni con la successiva deliberazione podestarile del 18 dicembre 1942. Riconosciute valide le giuste motivazioni contingenti, la richiesta fu accolta e sancita con decreto reale di Vittorio Emanuele III del 4 marzo 1943.
A guerra finita, però, il progetto non ebbe più alcun seguito.
Già allora si sapeva che l’Arco d’Augusto non era mai stato un monumento trionfale isolato, ma da sempre inserito in un contesto urbanistico; non ne aveva la struttura, e del resto i contrafforti murari lasciati e rimasti ai suoi lati lo dimostrano. Ma l’esaltazione di miti organici al regime, ritennero giustificata l’operazione con molta forzatura. Forse oggi si procederebbe ad un risanamento dell’esistente, magari incentivando i proprietari tanto per mantenere un tessuto urbano proveniente dalla storia.
Ma lasciando per un momento perdere ideologie e opinabilità, si possono constatare alcuni aspetti positivi del progetto. Oltre a quello sanitario e di miglioramento della vita dei cittadini, specie delle classi meno abbienti, merita anche attenzione l’idea di una strada – Viale Silvio Pellico – che avrebbe già tolto del traffico nel Borgo S. Giovanni, e l’altra accennata che doveva snellirlo nella direzione verso la S.S. Adriatica.
Proseguendo in maniera obiettiva e scevra da ideologie a guardare i due grandi progetti, quello del Borgo S. Giuliano accennato in apertura e quello trattato nel presente articolo, seppur – ripeto – opinabili e come sempre oggetto di soluzioni alternative, emerge però un aspetto importante: la lungimiranza degli amministratori di allora che avevano una visione futura della città, affrontando le sue problematiche in modo complessivo, anche con operazioni temerarie e radicali, ma non sconnesse tra loro.
Già a quell’epoca si voleva fronteggiare il problema del traffico, sebbene ben più ridotto di quello attuale, cercando il più possibile di non far transitare i veicoli dal centro della città, ma di allontanarli al suo intorno. Oltre ad altri importanti temi quali l’igiene pubblica e la migliore vivibilità creando nuove infrastrutture, pur con i mezzi a disposizione di allora.
Amministratori d’altri tempi dicevo, perché nel bene o nel male diversi dagli odierni. Oggi si pianifica poco per il futuro, si naviga a vista con interventi a “spot” e molta improvvisazione in base al momento. Si modificano assi viari già mutati in un recente passato, si insiste su un sistema di trasporto cittadino – Metromare – superato perché pensato lustri or sono, e si continuano a magnificare le rotatorie sulla nuova circonvallazione, quando invece altrove si adottano i cavalcavia per far scorrere meglio il traffico di passaggio; poi i problemi irrisolti dei parcheggi, del doppio senso di marcia nei viali delle Regine già al collasso; per concludere infine con l’apoteosi dell’assurdo: il traffico dirottato in quartiere Clodio, per non avere voluto dar seguito ad un’alternativa alla chiusura del Ponte di Augusto e Tiberio. E qui mi fermo.
E tutto ciò porta alla considerazione che, facendo tutte le debite tare e i paralleli del caso, forse la Rimini del passato fu città più moderna di quella attuale.
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