L’ingarbugliata matassa del Ceis e dell’Anfiteatro romano

L’ingarbugliata matassa del Ceis e dell’Anfiteatro romano

Lo scossone arrivato con gli accertamenti edilizi svolti nell'asilo italo-svizzero è solo l'inizio. Restano ancora molte cose da chiarire e da fare. Mettiamo in fila la situazione attuale delle costruzioni con e senza titolo edilizio. E arriviamo al nodo cruciale: senza una decisione politica (che significa anche risorse messe a bilancio) di palazzo Garampi, e in primis del sindaco, al momento non pervenuta, per un rapido trasferimento della sede, l'area archeologica rimarrà ancora a lungo così come si trova da 70 anni.

Per capirci qualcosa nella vicenda dei padiglioni del Ceis edificati e modificati in varie epoche storiche sull’area archeologica dell’Anfiteatro romano, bisogna partire dagli accertamenti svolti dall’ufficio edilizia del Comune di Rimini lo scorso luglio. Per ora sono l’unico punto fermo.
Ma in premessa diciamo subito una cosa: “Tra Arturo Clari, primo sindaco di Rimini dopo la liberazione, e Andrea Gnassi, ne è passato di tempo”, come ha fatto notare il consigliere Gennaro Mauro l’altro giorno in commissione, eppure se si è arrivati a far luce sul tema dei titoli abilitativi relativi all’asilo italo-svizzero, lo si deve solo al lungo pressing svolto dall’opposizione e, in particolare, ad una interrogazione presentata dal capogruppo di Forza Italia Carlo Rufo Spina, che ha permesso di attivare le verifiche. Altrimenti non sarebbe successo nulla e il Ceis avrebbe probabilmente continuato a svolgere la propria attività (da tutti riconosciuta come molto importante e assolutamente meritevole di proseguire), come ha fatto dal 1946 ad oggi, sull’Anfiteatro. Godendo di un trattamento benevolo da parte delle amministrazioni che si sono succedute, con il sindaco che nomina addirittura alcuni rappresentanti nel consiglio di amministrazione del Ceis. E con esponenti del Ceis che si sono candidati, in occasione delle elezioni comunali, in liste a sostegno delle giunte di centrosinistra. Sta di fatto che anche in anni recenti sono state rilasciate autorizzazioni edilizie dal Comune di Rimini e pareri favorevoli della Soprintendenza, senza che nessuno si accorgesse della assenza di titoli “primari” per diversi padiglioni. E questo accade in un Comune che si vanta di essere sul “pezzo” nel contrasto al fenomeno degli abusi edilizi e che nel 2018 ha registrato un boom di verifiche: 2.275 accertamenti svolti per il controllo dei cantieri e/o immobili, 605 in più del 2017 e 790 in più del 2016. “Se un privato qualunque costruisce un capanno nel forese, poco dopo arriva l’ufficio urbanistica e fa il verbale, questo è quello che succede ai poveri cristi, qua invece sono stati tollerati gli abusi”, ha detto il capogruppo della Lega Marzio Pecci. “Perché in 70 anni non è stato fatto nulla di fronte agli abusi che si consumavano su quell’area? Questo comportamento fa si che ci siano delle responsabilità politiche, amministrative e penali”.

Come è stato possibile che in tutti questi anni ai “controllori” del Comune sfuggisse la situazione del Ceis? “Provo ad azzardare una risposta”, sono state le parole del dirigente Piacquadio in commissione, “probabilmente per una diversa cura, all’epoca, nella istruttoria dei titoli, che evidentemente non prevedeva una verifica dello stato legittimo, ma agli effetti pratici non è che questo tipo di disattenzione garantisca più di tanto una legittimità”. Nel senso che “aver autorizzato una manutenzione straordinaria non mette il fabbricato in condizione di essere legittimo”.

Ripartiamo dalle verifiche. Il quadro che tracceremo sugli immobili con o senza titolo edilizio deriva dalla relazione di accertamento illustrata dal dirigente Piacquadio, passibile di aggiustamenti (di cui naturalmente daremo conto non appena saranno resi noti) perché il Ceis sta preparando una memoria difensiva nella quale metterà nero su bianco le proprie ragioni.

La “mappa” che pubblichiamo qui sopra descrive sostanzialmente lo stato di fatto attuale dell’area Ceis. Secondo la relazione redatta dall’ufficio controlli edilizi e illustrata qualche giorno fa all’interno delle commissioni consiliari IV e II riunite in forma congiunta, alla presenza anche degli assessori Frisoni e Morolli e dei tecnici interessati, l’assenza di titolo riguarda: il padiglione 1, il padiglione 2a e l’appendice 2b, il padiglione 4a. Per il padiglione 7 “non è stato reperito atto formale di licenza”, per il piano terra del padiglione 8a e per il vano A manca il titolo e per il primo piano si parla di “difformità dal titolo”. Privi di titolo sono anche il manufatto B (ripostiglio) e il manufatto C (tettoia per il riparo delle biciclette). Il padiglione 6 è invece “conforme ai progetti presentati” ma tale conformità si basa su un parere favorevole espresso dal ministero della Pubblica istruzione il 30 maggio 1950, che il consigliere Rufo Spina contesta e chiede che il ministero si esprima sulla autenticità dell’atto (in quanto redatto su un foglio senza firma né protocollo) e l’ing. Piacquadio in commissione gli ha risposto che la materia è di competenza della Soprintendenza. Con titolo sono i fabbricati 2, 3, 4, 5 e 8. C’è poi quella che l’amministrazione comunale considera la madre di tutte le autorizzazioni: la famosa delibera comunale del 12 aprile 1946 che autorizzerebbe l’insediamento originario di 13 baracche in legno (poi invece arriveranno anche le strutture in cemento armato di tre piani): “l’amministrazione comunale si assume l’onere del collocamento in opera, della sistemazione dell’area assegnata nella zona dell’Anfiteatro Romano, della fognatura, acquedotto, luce ecc., colla spesa di lire 2.980.000 finanziata dal Provveditorato regionale OO.PP.” Secondo Gioenzo Renzi (Fratelli d’Italia) tale atto “non può essere considerato una concessione edilizia, che non sarebbe stato possibile rilasciare in quanto area vincolata che non consentiva alcun tipo di costruzione”. Secondo l’ingegnere capo dello sportello unico per l’edilizia residenziale e produttiva di palazzo Garampi, ing. Carlo Piacquadio, invece, “sulla base della delibera di consiglio comunale del 1946, che approva un’opera pubblica o comunque di interesse generale di post ricostruzione bellica, buona parte dei manufatti che oggi risultano insediati sull’area dell’Anfiteatro possono considerarsi in presenza di titolo”.

Prima di proseguire, un’altra constatazione legata ai componenti (padiglioni o casette) del villaggio voluto da Margherita Zoebeli. In una recente (2015) pubblicazione reperibile online, dal titolo “Il Centro educativo Italo Svizzero di Rimini: un esempio di educazione attiva nella natura… in città”, a firma del direttore Giovanni Sapucci, si trovano le planimetrie che pubblichiamo qui sotto, con l’avvertenza che “l’attuale configurazione spaziale è rimasta sostanzialmente identica al progetto originario”. Se si mettono a confronto, però, non sembra che tutto sia rimasto sostanzialmente identico al progetto originario.

Pur in assenza dei titoli “primari”, per i vari padiglioni esistono – sempre stando alla relazione dell’ufficio edilizia – autorizzazioni rilasciate nel corso degli anni. Facciamo l’esempio del padiglione 1. “Non si rilevano titoli edilizi che legittimano la realizzazione del padiglione”, ha detto Piacquadio in commissione, ma esiste un nulla osta del 1966 “a firma del sindaco per il trasferimento di un padiglione dalla sede stradale all’interno dell’area recintata del complesso edilizio dell’asilo, a seguito del quale non risulta essere stata presentata regolare concessione a carattere di provvisorietà come invece scritto nella nota stessa. Si presume che tale nulla osta possa riferirsi al padiglione 1 in quanto nella planimetria allegata al progetto ne viene rappresentata la consistenza prima sulla sede stradale poi all’interno dell’area”. Sullo stesso padiglione esiste anche una pratica che risale al 1997 ed è una autorizzazione edilizia rilasciata per opere di rifacimento del manto di copertura, con parare favorevole della Soprintendenza archeologica di Bologna (1995)”. “Si presume”, è un’espressione che ritorna più volte nella relazione. “Non c’è una contraddizione stridente fra una istituzione che rivendica un ruolo culturale ed educativo e che allo stesso tempo si trova in conflitto con uno dei massimi beni culturali della città e della storia di Rimini? Per non parlare della casa della sua fondatrice, Margherita Zoebeli, che è stata costruita sopra un torrione romano e delle mura medievali…, sono successe cose turche in questi 70 anni al Ceis”, ha tuonato Gioenzo Renzi in commissione.

Il mistero della proprietà superficiaria. Il proprietario dell’area del Ceis è il Comune di Rimini. Ma nella relazione dell’ufficio edilizia è indicato il Ceis come soggetto della proprietà superficiaria. Ora, il diritto di superficie è il diritto a fare e mantenere una proprietà sul suolo di proprietà di altri. “Se c’è una proprietà superficiaria vuol dire che ci deve essere stato un atto con cui è stato ceduto questo diritto, vorrei averne copia: quando è stato fatto l’atto di cessione del diritto di superficie al Ceis?”, ha domandato Rufo Spina in commissione. “La dicitura che si trova sul catasto (diritto di superficie) molto probabilmente è solo una valutazione catastale, al momento non abbiamo trovato all’interno del nostro archivio riscontri sulla effettiva costituzione di un diritto di superficie”, gli ha risposto Piacquadio. “Se lei mi dice che non c’è nessun diritto di superficie a favore del Ceis, bisogna capire chi ha fatto questa comunicazione al catasto o se si tratti di un errore, io andrò in procura a far notare questa cosa, ma se sono stati compiuti degli abusi a danno del Comune, in teoria si dovrebbe procedere alla demolizione nel più breve tempo possibile. E’ vero o no?”, ha ribattuto Spina. “Io ho solo detto che dalle ricerche fate all’interno dell’archivio edilizio non risulta alcun rogito per la costituzione del diritto di superficie, non ho detto che non esiste ma che non l’abbiamo trovato. E’ una questione di natura squisitamente patrimoniale che riguarda un approfondimento che va fatto in un altro settore”, ha aggiunto Piacquadio. E Spina: “Da un anno aspetto le risposte dall’ufficio patrimonio”. Al momento, insomma, c’è un punto interrogativo anche per quanto riguarda questo tassello.

Ma nel bilancio 2019 non è stato messo un euro per Anfiteatro-Ceis e l’area della stazione avrà tempi lunghissimi. L’apertura fatta dall’assessore Roberta Frisoni in commissione sul recupero dell’Anfiteatro, è per ora solo una buona intenzione. Mancano gli atti amministrativi, coi quali una pubblica amministrazione si esprime. Alle insistenti domande poste da tutta l’opposizione per sapere se da qui al 2021 si metterà mano al trasferimento del Ceis, non ci sono state risposte. “Non vorrei che il sindaco pensasse di non decidere nulla, lasciando tutto a chi verrà dopo di lui”, ha detto Gioenzo Renzi. “Voglio vedere alzare le mani anche dal nostro sindaco su questo tema, propongo che ci ritroviamo prossimamente in un consiglio comunale tematico sull’Anfiteatro”. Perché la realtà è che “nel bilancio che abbiamo approvato meno di un mese fa non si è parlato minimamente di risorse da destinare per trasferire il Ceis, e sull’area della stazione non c’è ancora un protocollo sottoscritto, sono tutte chiacchiere al vento”. Anche in maggioranza c’è chi batte i pugni sul tavolo e chiede di fare presto, come il consigliere di Patto civico Davide Frisoni. Ma l’impressione è che sia solo nel gruppo civico a fare la voce grossa e non è per niente chiaro quanto vorrà tirare la corda. Dal Ceis, per bocca del direttore Sapucci, si spiega che è già partito l’impegno a reperire in autonomia (senza l’aiuto del Comune) le risorse economiche per cambiare sede. Non sarà una passeggiata e non avrà tempi brevi. Di questo passo l’anfiteatro rimarrà ancora a lungo sepolto. Però i toni sono cambiati rispetto a quando la presidente del Ceis sosteneva (era il 2016) quanto segue: “Se ci fosse la possibilità di spostarci lo faremmo. Ma per farlo, il Comune ci deve mettere a disposizione un’altra area e una struttura che sia adeguata alle nostre esigenze. Il Ceis non ha soldi da investire. Diamo lavoro a 143 persone, accogliamo 350 bambini. I nostri soldi vanno tutti nelle nostre attività, quando va bene chiudiamo in pareggio. Noi non abbiamo mai preso in considerazione l’idea di spostarci, se lo faremo dovremo avere in cambio delle garanzie. Il Ceis sorge su un’area di proprietà comunale, ma tutte le strutture sono nostre. Non è che si può pensare di spostare una scuola come la nostra da un giorno all’altro”.

I tempi del procedimento. Il 2 luglio scorso è stato svolto l’accertamento tecnico delle opere eseguite in via Vezia sull’area del Ceis. Ma l’avvio del procedimento è datato 26 novembre, quasi 5 mesi dopo. Perché è trascorso così tanto tempo, è stato domandato in commissione all’ing. Piacquadio. “Per poter fare tutte quelle verifiche d’ufficio legate all’archivio per recuperare atti, sia nell’archivio edile e sia nell’archivio generale dell’amministrazione comunale”, ha risposto. Al Ceis “sono stati dati 15 giorni dal momento dell’avvio del procedimento per poter presentare eventuali memorie”. I quindici giorni sono scaduti intorno al 12 dicembre. “Ci risulta una richiesta di accesso agli atti da parte del presidente del Ceis datata 4 dicembre, che ci fa capire che il soggetto ha avviato quanto meno questa azione di valutazione, ad oggi non ci risulta ancora presentata alcuna memoria”. Così diceva Piacquadio il 7 gennaio in commissione. Per motivare il tempo trascorso, il dirigente ha anche parlato di “alcune centinaia di abusi che stiamo perseguendo”. Ma, ha concluso, “nelle prossime settimane provvederemo alla emissione della diffida”. Secondo lo stesso dirigente, nel caso del Ceis “a parte i reati che riguardano l’assenza di collaudo statico (che interessano pochissimi manufatti, ndr), tutti gli altri reati – se di reati si tratta – sotto il profilo edilizio sono sicuramente andati in prescrizione”.

Margherita Zoebeli è nata a Zurigo nel 1912. E’ morta a Rimini nel 1996. Quando il Ceis, asilo italo-svizzero, era già una realtà matura dal punto di vista pedagogico e “urbanistico”. In buona parte erano già stati costruiti i padiglioni che oggi vengono classificati in “assenza di titolo”. C’è chi ha parlato di “svizzeritudine” per definire il carattere ordinato, ligio al dovere, civico, rispettoso delle regole e della legge che contraddistingue gli svizzeri. Giudicate voi la “svizzeritudine” del Ceis.

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