Non pronunciare il nome della democrazia invano

Non pronunciare il nome della democrazia invano

Enrico Letta lancia l’allarme: con la Meloni il paese è a rischio. Ma è davvero così? Il centrodestra è un pericolo? Rischiamo di diventare come l’Ungheria di Orban? Una discussione surreale, ma che va affrontata nei fatti per capire che la nostra è una bella, sana e incasinata democrazia. Se non fosse così, dopo 75 anni, vorrebbe dire che siamo dei bei pataca.

Enrico Letta è una brava persona, simpatica e preparata. Purtroppo la politica non è il suo mestiere. Per ragioni familiari e di curriculum gli è “toccato” questo lavoro, ma sembra quel cugino che arriva nei salotti alla domenica e, dopo essere stato per un po’ zitto, comincia a spiegare che lui è stato a Londra, Parigi, Hong Kong e San Pietroburgo e poi, intromettendosi sempre più nella discussione, inizia a risolvere a parole tutti i problemi della famiglia, del condominio, del Comune, della Regione, della Nazione, del Mondo e dell’Universo. Solo che tutti intuiscono che al cugino, di risolvere questi problemi, interessa poco. Per lui conta che gli dicano “bravo”. La sua premura autentica sarebbe quella di guardare la partita del Milan e di giocare a Subbuteo.
Il nonno, in questo caso di orgine veneta, che ha inquadrato il tipo, liquida il nipote con arguzia: “Bravo, bravo. Viagiar descanta, ma chi parte mona torna mona”. E da dietro il cuginetto Matteo, novello Franti, ghigna maleficamente e con un tranchant “Enrico stai sereno” seppellisce le sue ambizioni.
Era andata così, ma si sa, i democristianoni hanno la pelle dura e se il fatto diventa personale, assieme al sorriso, sfoderano gli artigli e cercano di tornare in ballo. E quindi, per fatto personale, di ripicca e anche perché era l’unico decente, ci ritroviamo un virgulto dell’Azione Cattolica come leader del partito della “sinistra”. Il che la dice lunga su che senso abbiano le parole destra e sinistra.
Ora il nostro Enrico si trova di fronte ad una bella gatta da pelare in una campagna elettorale che, alla luce dei sondaggi, dovrebbe consegnare alla coalizione di centrodestra una maggioranza solida alle prossime elezioni. Così solida che, secondo alcune previsioni, potrebbe garantire al centrodestra una maggioranza di due terzi sia alla Camera che al Senato.
Questa diventa una questione di una certa importanza perché, sulla base dell’articolo 138 della Costituzione, una maggioranza di due terzi dei due rami del Parlamento (maggioranza qualificata), può modificare la Costituzione evitando anche l’eventuale referendum popolare che è possibile chiedere solo se la revisione passa con una maggioranza assoluta (50% +1).
Bene, di fronte a questo scenario, cosa fa il nostro Enrico? Assume lo sguardo “occhi di tigre”, che nel suo caso è uguale a quello “occhi da gatta morta”, e comincia a gridare che la democrazia è in pericolo perché se vincesse Giorgia Meloni l’Italia potrebbe prendere la strada delle “democrazie illiberali”, copiando il modello dell’ungherese Viktor Orban.
Ora, al di là di facili ironie, il discorso ha una sua importanza. La democrazia è un meccanismo che va mantenuto con cura quotidiana ed è meglio evitare certe situazioni.
Il punto, quindi, è capire se: 1) Giorgia Meloni, il suo partito e il centrodestra sono una minaccia per la democrazia? 2) Cosa potrà modificare della Costituzione il centrodestra?
Punto uno: se tutto il gruppone del centrodestra fosse una minaccia per la democrazia bisognerebbe intervenire subito e sbatterli in galera o metterli nelle condizioni di non nuocere. In realtà, per tutte le istituzioni italiane, europee e mondiali, il centrodestra ha diritto di fare politica e di concorrere alla guida del paese perché rispetta norme e regole del gioco democratico. Basti pensare che la gran parte della classe dirigente di questi partiti ha svolto, svolge e presumibilmente continuerà a svolgere ruoli politici, istituzionali e amministrativi senza che nessuno, dai presidenti della Repubblica in giù, abbia avuto alcunché da ridire. Quindi la prima obiezione non esiste: il centrodestra può piacere o non piacere, ma può e deve fare politica non rappresentando alcun pericolo per la democrazia. Non ci sarebbe neppure bisogno di dirlo se qualcuno non tirasse fuori inopportunamente, a pochi giorni del voto, la questione per evidenti motivi elettorali, cioè evitare che alcuni suoi potenziali elettori votino M5S e il duo Calenda-Renzi.
Punto due, cosa può cambiare della Costituzione un eventuale governo di centrodestra? La nostra Carta, la più bella del mondo come dicono tutti, è difficile da modificare. Giustamente. Ci sono stati molti tentativi, pochissimi riusciti. La forma repubblicana, l’unità, l’indivisibilità del nostro Paese e gli articoli fondamentali (1-12) non sono modificabili, quindi su questo punto siamo a posto. In realtà è stato modificato un articolo fondamentale (il 9) ma in senso migliorativo e nessuno ha avuto nulla da ridire. Non può essere riformato il partito fascista, e anche qui siamo a posto. Un tema di cui si è molto discusso è il rapporto Stato-Regioni, ma su questo punto la presenza della Lega in un eventuale futuro Governo impedirebbe modifiche troppo stataliste e la presenza di Fratelli d’Italia impedirebbe autonomie troppo spinte.
Alla fine della fiera si discute di un tema: il presidenzialismo.
Grandi stati democratici hanno regimi presidenziali o semipresidenziali, in Italia abbiamo due istituzioni come i Comuni e le Regioni che potrebbero essere visti come modelli di un’eventuale forma di presidenzialismo (il “sindaco d’Italia”, il “governatore d’Italia” sono le formule usate). Qui la discussione e il giudizio diventano complessi. Il mio parere è che bisognerebbe evitare la concentrazione di troppi poteri in una sola persona. La realtà però ci dice che abbiamo già imboccato questa strada. La politica è sempre più incentrata sui (presunti) leader. Le esperienze degli ultimi decenni parlano di un presidenzialismo di fatto. Pensate a Berlusconi, Prodi, Monti, Renzi, Conte e soprattutto Draghi. Nei fatti il governo amministra e legifera e il parlamento ratifica, il suo ruolo principale è concedere o meno la fiducia alle proposte dell’esecutivo. Insomma, siamo un pezzo avanti sul presidenzialismo, anche se questo presidenzialismo di fatto non garantisce ancora la stabilità dei governi.
L’esigenza di prendere decisioni rapide ha portato a questo stato di fatto. Anche in questo caso può piacere o no, ma si marcia sempre più verso questa strada e, in caso di riforma, ci vuole l’accortezza di mettere i giusti paletti per evitare il pericolo “donna/uomo troppo forte”. Su questo punto si potrebbero registrate tentazioni autoritaritare e si sono già registrate, basti pensare che recentemente, per lunghi mesi, ci sono state negate alcune libertà fondamentali. E’ un problema delle democrazie moderne di non semplice soluzione. Bisogna essere veloci, autoritari, con governi stabili ed efficienti o si deve marciare più lenti, sentendo tutti ma con meno stabilità ed efficacia? Per me l’ipotesi due tutta la vita, ma io non faccio testo. Invece sembra che nel Paese la soluzione uno sia più gradita. La discussione politica serve a risolvere problemi come questo.
Il futuro presidente del Consiglio e i ministri dovranno passare il vaglio del presidente Mattarella e poi giurare sulla Costituzione e se la vorranno cambiare dovranno superare paletti molto robusti e vincere sensibilità molto forti. Per i prossimi mesi il futuro governo dovrà tentare di risolvere le conseguenze di problemi internazionali ed economici così forti che avrà poco tempo per riforme costituzionali il cui iter dura anni.
Se poi il timore è quello di una svolta autoritaria sui mezzi d’informazione personalmente sono abbastanza tranquillo. Un giro di vite come in Ungheria sui media è difficile da mettere in atto in Italia. La vittoria del centrodestra ridarà slancio e forza ai mezzi d’informazione vicini al centrosinistra e farà venire meno quell’autocensura di alcuni formidabili colleghi che si getteranno con maestria nel trovare anche la più piccola magagna di un eventuale governo di centrodestra.
Insomma, la nostra è una bella, sana e incasinata democrazia, nata dal sangue e dai sacrifici dei nostri nonni e padri. Ma non facciamola troppo tetra, è fatta anche di risate, allegria, cultura, canzoni e preghiere. Se dopo 75 anni dovessimo rifare tutto da capo vorrebbe dire che siamo proprio dei pataca.

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