Perché la cultura di Rimini patrocinata dall’amministrazione comunale è schizofrenica

Perché la cultura di Rimini patrocinata dall’amministrazione comunale è schizofrenica

«La Repubblica ... tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione». Per alcuni tesori del patrimonio di Rimini, importantissimi, la Costituzione non vale? Cominciamo a onorare la verità, partendo dai Beni Culturali. Dall'anfiteatro romano alla storia scritta... sui cubi.

Usiamo il termine “SCHIZOFRENICA” non nel senso della patologia psichiatrica e tantomeno come insulto, ma “per estensione” nel significato di “esasperata contraddizione o dicotomia fra modi di essere, comportamenti, attività di una stessa persona [o soggetto individuale e sociale, nel nostro caso l’Amministrazione Comunale di Rimini]” – Grande Dizionario della Lingua Italiana, UTET, vol. XVII, p. 2036.
Certamente la biennale del disegno è una buona iniziativa dovuta ad un ex assessore alla cultura del passato governo amministrativo, dotato di personalità culturale assodata, e la sua ripetizione va salutata come un’attività culturale di tutto rispetto. Il rinnovo del museo Luigi Tonini invece, come abbiamo denunciato, per avere presentato a pezzi il grande affresco del Giudizio universale ed averne eliminato la struttura unitaria, e soprattutto per avere esposto le opere d’arte a disposizione di un eventuale, statisticamente reale, certo come la morte, ‘sfigato’ distruttore – Quod Deus avertat – [che Dio non voglia] è una grave mancanza di prudenza necessaria alla conservazione dei Beni.
Le distruzioni dei Beni Culturali in chiese e musei sono cose terribili che capitano. Si pensi allo sfregio a martellate del viso della Vergine della Deposizione di Michelangelo in S. Pietro a Roma, o qui a Rimini i dipinti settecenteschi della Gambalunga che una banda di ragazzotti con poca testa prese a bucare con le penne a biro. In quell’occasione il direttore Piero Meldini introdusse il tesserino di frequenza.

L’UNICO ANFITEATRO ESISTENTE DELLA REGIONE
Nelle città della regione che avevano un anfiteatro esistono associazioni di studiosi e cittadini che dedicano la loro attenzione e il tempo alle reliquie e ai fantasmi dei loro anfiteatri scomparsi fino a produrre ricostruzioni digitali. Ne abbiamo contattate di recente diverse di queste associazioni per avere un appoggio o anche solo un conforto nella nostra polemica per il rinascimento dell’Anfiteatro di Rimini e non hanno nemmeno risposto, vuoi per invidia, vuoi per ignavia…
In cosa consiste la schizofrenia riminese a proposito dell’Anfiteatro?

Nell’anomia legale – mancato rispetto della legge – anzitutto. Gli amministratori dicono di rispettare la Costituzione ma nei fatti la ignorano.
La COSTITUZIONE ITALIANA articolo 8 protegge l’Anfiteatro di Rimini:
“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. TUTELA IL PEASAGGIO E IL PATRIMONIO STORICO E ARTISTICO DELLA NAZIONE.” (anche gli articoli 33-34)
E fin dal 1910 non sono mancati diversi Decreti ministeriali di protezione dell’area archeologica e nel dopoguerra numerosi interventi delle Soprintendenze archeologica e architettonica hanno cercato di ripristinare lo stato di Bene Culturale dell’Anfiteatro di Rimini, ma invano.
Dal 1946 una scuola dell’infanzia e poi primaria, il Centro Educativo Italo Svizzero, ha privatizzato il nostro Anfiteatro per quasi 3/4 impedendo la fruizione completa del Bene da parte di tutti, cittadini e turisti, e gli interventi scientifici di scavi archeologici per il suo totale recupero. L’Amministrazione Comunale non ha mai fatto niente per regolarizzare la barbarica situazione, anzi nell’immediato dopoguerra l’ha provocata.

IL “PONTE DI AUGUSTO E TIBERIO”
Il nostro ponte antico, che svolgeva il suo compito funzionale fin a qualche mese fa meravigliando Philippe Daverio per la sua millenaria funzionalità, venne deciso da Augusto nel suo ultimo anno di vita il 14 dopo Cristo e progettato da uno dei suoi architetti. Il successore Tiberio intervenne forse per moderarne l’esaltazione augustea nella decorazione, e lo ultimò nel 21 d.C. aggiungendo le due epigrafi gemelle con il nome imperiale di entrambi. A lungo lo si chiamò il ponte di Augusto e poi il ponte di Augusto e Tiberio; infine popolarmente il ponte di Tiberio, eliminando il nome dell’imperatore che lo aveva voluto. Un errore di committenza. Nel recente libro Il ponte perfetto. 2000 anni di storia del Ponte di Augusto e Tiberio che l’Amministrazione Comunale con la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio – tale è il nome complessivo e arcaico dell’unica istituzione preposta ai beni naturali e culturali dopo che il presidente Renzi abolì la Soprintendenza Archeologica autonoma – ha edito nel 2022, a cura di Angela Fontemaggi, Orietta Piolanti e Francesca Minak. Tutti gli autori di questo libro usano il titolo del ponte da noi proposto e storicamente corretto quanto alla committenza: il ponte di Augusto e Tiberio, esclusi nei loro interventi il sindaco in carica e quello precedente che lo chiamano il ponte di Tiberio.
Ma i pareri storico-archeologici dei sindaci, gli piaccia o non gli piaccia, nell’ambito culturale sono del tutto irrilevanti.

L’INTERVENTO DI TASSINARI. MANCA UN DISEGNO COMPLESSIVO DELLE “SPALLE”
L’intervento del cessato sindaco: “…cosa vogliamo che sia il ponte di Tiberio?…” è sbagliato nel verbo della citazione, perché né un sindaco né un’assemblea di cittadini può coltivare nel suo regale giardino l’erba voglio. Il verbo invece giusto era “potere”: cosa possiamo fare al ponte di Augusto e Tiberio nel rispetto della Costituzione e delle leggi e decreti che lo proteggono?
Perché il ponte e ogni altro Bene Culturale non è argilla plasmabile dalla volontà diretta o subornata di un sindaco o di chicchessia.
L’intervento dell’archeologo Cristian Tassinari che ha eseguito lo scavo sopra la rampa urbana del ponte romano, che ha preceduto il banale intervento della rotatoria dell’Amministrazione Comunale, attenua in parte la delusione per la mancata valorizzazione della rampa antica visibile per chi ha occhi per vedere, che se fosse stata affidata ad un architetto di quelli che hanno buon senso e un minimo di cultura storica e archeologica avrebbe aumentato il fascino del ponte e attirato l’attenzione nazionale e internazionale, ma agli amministratori mancano evidentemente della cultura minima per lontanamente intuire il valore dei Beni purtroppo loro affidati.
Un solo appunto all’archeologo: la “spalla” del ponte non nasce da un piedritto addossato al pilone dell’arco, la rampa del ponte nasce sopra l’inizio dell’arco verso la città e sopra quello verso il Borgo. Basta per accorgersene vedere l’andamento del cornicione corinzio dalla parte del monte dell’arco urbano e dalla parte del mare notare il paramento dei blocchi di pietra d’Istria che nella parte superiore disegna la pendenza fin sopra l’arco e l’inizio della sponda.

IL PONTE SENZA LE RAMPE E SENZA LA SUBSIDENZA NEI CUBI DELLE PIAZZE FERRARI, TRE MARTIRI E DAVANTI L’ARCO DI AUGUSTO, NELLA EX CHIESA DI SANTA MARIA AD NIVES E NEL MUSEO LUIGI TONINI
Capita spesso che l’Amministrazione Comunale di Rimini abbia a soffrire non solo per la scatenata volontà dei suoi regali sindaci del tutto privi di cultura archeologica e storica, ma anche per la scarsa cultura storica degli ‘storici’ a cui affida i suoi interventi. È il caso dell’immagine del ponte di Augusto Tiberio presentato in modelli e immagini della Rimini Romana non com’era ma com’è oggi, dopo la subsidenza che archeologi e geologi continuano a ignorare, sprofondato di circa 4 metri – si vedano gli interventi dello scrivente su Rimini 2.0 –. È grave che il modellino del ponte nelle sale sotterranee del museo lo mostri senza le rampe, che sono visibili nel corpo stesso del ponte nella loro partenza alla fine degli archi che confinano con la città e col borgo. E poi nella veduta di Rimini nel rilievo di Agostino di Duccio nel tempio Malatestiano. E poi nei tre cubi con la veduta di Rimini romana, e nella sala interna della chiesa di Santa Maria ad nives per istruire i turisti. Infine non è un ben strano fenomeno che geologi e archeologi – non dico ‘politici’ per le ragioni già esposte – non si siano accorti e non si accorgano che il ponte è a mollo nell’acqua? Che fenomeno sarà mai questo? La schizofrenia degli intellettuali e dei tecnici che gravitano nell’area pubblica consiste nel non vedere il ponte a mollo nell’acqua e nel presentarci contemporaneamente il ponte senza le rampe nei cubi, nel museo, nel visitor center e con “le spalle” ossia con “le rampe” nel libro patrocinato dal Comune.

LA VERITÀ STORICA E LA VERITÀ POLITICA, GIURIDICA, ECONOMICA, SOCIALE DEL FUTURO RINASCIMENTO DI RIMINI
Ma a questo punto qualcuno potrebbe dire: va bene abbiamo capito, quei tali sono degli sprovveduti e pazienza se la verità subisse dei vulnera, delle ferite solo nell’ambito dei Beni Culturali, pazienza se Rimini ha fatto, fa e farà la figura di un posto senza cultura. Quello che veramente conta non è dire la verità in ambiti più essenziali per la vita civile di una città? Per esempio nell’ambito dell’onestà politica, in quello sociale, in quello giuridico, in quello economico e finanziario, in quello religioso?
Certo che sì e non sarà facile, cominciamo intanto coi Beni Culturali ad onorare la verità; in futuro ci sarà un nuovo Rinascimento per Rimini. Noi siamo ottimisti: Maometto ha insegnato a interpretare i sogni con ottimismo perché i sogni si realizzano come li si interpreta Qualcosa di simile aveva detto Antonio Gramsci: pessimismo della ragione e ottimismo della volontà…

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