Finalmente questa mattina al Grand Hotel si è rivisto qualcosa che somiglia agli stati generali del turismo di molti anni fa, grazie alla iniziativa di Mauro Santinato e allo studio di Sociometrica. La coscienza del problema sembra condivisa. Ma adesso c'è da recuperare il tempo perduto.
«Rimini ha successo quando ha successo il modello alberghiero nel turismo e il modello alberghiero nel turismo ha successo nella destinazione in cui c’è un continuo rinnovamento, anzi una nascita (o rinascita) continua di alberghi che si distinguono per la loro capacità di interpretare il mercato, offrire nuove opportunità alla clientela e, in generale, dettare il “canone” di una destinazione turistica». E’ un dato incontrovertibile che emerge dal report realizzato da un gruppo di lavoro di Sociometrica, guidato da Antonio Preiti, in collaborazione con Teamwork Hospitality, ovvero Mauro Santinato. Se ne è discusso questa mattina nella sala “Tonino Guerra” del Grand Hotel. Titolo catalizzatore forte e diretto: “lo sviluppo che manca”. Sottotitolo: Rimini e la leadership nel turismo.
«Abbiamo iniziato questa ricerca sull’impatto economico della mancata riapertura di molti alberghi a Rimini e ci siamo presto trovati di fronte a questioni molto più generali che riguardano la capacità complessiva di Rimini di mantenere il suo ruolo di guida sul mercato turistico italiano, o almeno in quello balneare». Qui sta il punto.
Pubblico delle grandi occasioni, come si dice in questi casi, numeroso e qualificato. Dai presidenti di Confcommercio e Aia, Gianni Indino e Patrizia Rinaldis, poi Giovannino Montanari (Fiavet) passando per il deus ex machina del turismo a Rimini, Maurizio Ermeti, a vari albergatori (anche riccionesi), Giuliano Ghirardelli, l’ex direttore di Aia Gabriele Bucci, Maurizio Melucci e Sergio Gambini che di turismo si sono occupati a lungo, rappresentanti del mondo bancario. Miracolo, quasi, la presenza anche dell’amministrazione comunale, che in passato non aveva mai preso parte a momenti di confronto sul turismo proposti dallo stesso Santinato: è intervenuta l’assessora Roberta Frisoni, assente invece il sindaco.
I dati illustrati, non nuovi, sono impietosi: circa 300 alberghi chiusi e derelitti, ma probabilmente anche qualcosa di più, il numero di hotel che è precipitato dai 1.580 del 1980 (erano 1.640 nel 1976) a 1.050-1.090 di oggi. Hotel 5 stelle 2, come sempre, 4 stelle 72, 3 stelle 592.
«Nel 2014 il totale degli esercizi alberghieri era di 1.093, si tratta perciò di circa 500 strutture in meno rispetto ai “tempi d’oro”, perciò circa un terzo degli alberghi è “scomparso”, senza che ci fosse alcun accorpamento, perché nel 1998 c’erano sul mercato 41.227 camere e nel 2021 solo 34.993, perciò gli alberghi hanno chiuso e basta, senza recupero delle camere perdute in strutture più grandi o con nuove strutture. Certo hanno chiuso soprattutto le strutture minori, ma l’offerta alberghiera complessiva si è comunque ridimensionata». E la decrescita infelice del numero di circa 500 hotel era stata segnalata da Rimini 2.0 nel luglio del 2021.
«Quanto pesa, in termini di reddito annuale, la mancata riapertura degli alberghi chiusi?» si sono chiesti gli autori del report. «L’impatto sull’economia cittadina può essere stimato in 350 milioni di euro all’anno, quanto la città di Rimini avrebbe potuto generare se avesse solo sostituito le camere alberghiere chiuse negli ultimi anni».
Rimini «vanta un brand formidabile», è stato sottolineato, «poiché ha iniziato la storia del turismo balneare non da ieri, ma da decine e decine di anni», per troppo tempo però è rimasta seduta sugli allori e sulla rendita di quel formidabile brand. E nel frattempo in Italia e nel mondo sono emerse destinazioni e nuove località balneari «tutte desiderose di farsi notare con alberghi attraenti e sorprendenti».
Molti nodi sono venuti al pettine in modo lampante durante la pandemia, quando «le prestazioni di Rimini sono state inferiori alla media delle principali venti destinazioni balneari italiane, mentre addirittura tre comuni hanno ottenuto più ospiti rispetto al 2019. Ciò ha permesso all’area di Jesolo di superare l’area della Riviera Romagnola come valore aggiunto complessivo». Morale: eravamo la capitale europea del turismo, poi siamo diventati la capitale italiana, ora siamo la capitale della Romagna.
Almeno dal 2018 Mauro Santinato è una vox clamantis in deserto su questi argomenti, sempre soffocata dai fautori del va tutto bene madama la marchesa. Chi ci crede ancora nel turismo a Rimini? Era il contenuto di un momento pubblico all’hotel Savoia le cui provocazioni affogarono nella palude.
Non sfugge ormai più a nessuno la dimensione del problema, e questa è forse la sensazione diffusa che si è potuta cogliere tra i presenti. Il problema, dopo essere stato nascosto sotto al tappeto per troppo tempo, emerge ora alla coscienza di tutti, soprattutto dopo l’ultimo decennio nel quale si è messo mano al waterfront dimenticandosi totalmente che un’offerta alberghiera qualitativamente e quantitativamente bassa tale rimane anche con un bel lungomare (senza contare il gigantesco guaio dei parcheggi). Realisticamente, però, se a questa coscienza si è giunti con vent’anni di ritardo, quanto tempo occorrerà per passare dalla consapevolezza del limite alle azioni concrete per risalire la china? Il momento storico segnato dalla tempesta internazionale e dalle ripercussioni ben note sui bilanci delle aziende, non è nemmeno particolarmente propizio.
E’ stato toccato anche il capitolo colonie, non meno preoccupante se solo si pensa al degrado che sono diventate, segnando in negativo le zone turistiche che le ospitano, come insegna anche troppo bene la Murri. Maurizio Ermeti, a capo del piano strategico, ha ammesso il disastro colonie.
«È quasi una legge fisica: non si può essere leader essendo una piccola destinazione, o pensando di raggiungere una leadership costruita intellettualmente sul concetto di “decrescita felice”. Rimini, per la sua storia e per la sua realtà urbana, non può giocare solo sul tasto della quantità, ma neppure su quello della qualità. Il segreto del suo successo è stato sempre quello di aver coniugato i due termini con originalità e successo, senza seguire gli altri, ma facendosi inseguire dagli altri», è un altro passaggio dello studio. Rimini però «un futuro luminoso» può ancora agguantarlo mettendosi sulla strada giusta.
«Rimini ha il suo valore distintivo proprio nella sua capacità di offrire una ricettività ricca di servizi, comprensiva di ristorazione e opportunità di intrattenimento, in modo economicamente accessibile. Ciò non esclude, anzi impone, che abbia anche una parte di hotel di alta qualità, che siano un modello per tutte o molte destinazioni balneari, e non solo per quelle. Sul mercato attuale, considerate le dimensioni di Rimini, non c’è un solo segmento da seguire, ma sicuramente ogni segmento avrà bisogno di un tratto distintivo per qualsiasi categoria di clientela. Per Rimini, il tratto distintivo, da sempre, è l’identità alberghiera».
Per gli alberghi ormai defunti e per quelli che tra non molto li seguiranno occorrono soluzioni, naturalmente, pur rimanendo nell’alveo di una destinazione turistica ed escludendo la trasformazione in residenziale. Si può sondare la strada degli accorpamenti per far nascere hotel con numeri significatici dei camere, che mancano del tutto. Ci sono da attrarre investitori italiani e stranieri. Bene l’idea della mappatura degli hotel ormai fuori mercato che è stata proposta ma che sia rapida, anche perché l’analisi ormai è chiara. Probabilmente occorrerà strutturare un ambito di lavoro, tra pubblico e privato, coinvolgendo enti, banche, associazioni. C’è tanto da fare, una volta interiorizzato il concetto che lodarsi in casa propria senza mettere mano alle sfide ormai ineludibili non porta da nessuna parte.
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