Rinchiudono la statua di Cesare nel Museo

Rinchiudono la statua di Cesare nel Museo

L'Esercito (la rassicurante presenza dei militari mancherà ai riminesi) è stato di parola: quando è venuto il tempo di lasciare la Caserma il condottiero è stato riconsegnato alla città. Ma l'amministrazione comunale cosa fa? Lo relega nel lapidario romano e lascia in piazza Tre Martiri la copia della copia.

E alla fine il gran giorno è arrivato. Anche se caratterizzato da un velo di rammarico perché la riconsegna alla Città della statua di Giulio Cesare da parte dell’Esercito Italiano, coincide con gli ultimi giorni di permanenza dei militari a Rimini. La loro è, o meglio era, una presenza rassicurante che mancherà ai cittadini, abituati a una convivenza sempre serena e di massimo, reciproco rispetto. Giusto quindi, prima di arrivare al nucleo del tema del giorno, dare un brevissimo resoconto della più che ottuagenaria esistenza della “Giulio Cesare” al civico 66 di via Flaminia. Il presidio per gran parte del periodo di servizio ha ospitato e conservato con cura, rispetto e senza retrivi pregiudizi ideologici, il bronzo del Condottiero. Dunque, la caserma fu consegnata al Ministero della guerra il 3 febbraio 1936. Al primo reparto, il 26 reggimento ippotrainato (in caserma sono ancora visibili le vecchie scuderie), nel tempo si sono succeduti il 56° reggimento artiglieria, il 35° reggimento da campagna e dal1954 i reparti di artiglieria contraerei, vale a dire il 18° reggimento, il 3° e il 2° gruppo del 121° reggimento, ultimo reparto che ha chiuso il 26 settembre 2019. Dal giorno successivo ha lavorato il “nucleo stralcio” della caserma Giulio Cesare (che ha provveduto alla completa dismissione dei mezzi e dei materiali in essa presenti, compresi i cimeli storici), composto da Artiglieri dell’ex reparto, comandati dal Tenente Colonnello Danilo Gallo che tra pochi giorni compirà l’ultimo atto in tale veste: la cessione della struttura al Demanio Pubblico. “Fine”.

L’attualità è invece questa.
Sono le 11:30 di questa mattina, venerdì 14 maggio, quando inizia la cerimonia ufficiale della consegna della statua di “Caius Iulius Caesar” alla città di Rimini da parte degli Artiglieri dell’Esercito Italiano. Quella odierna è una data che entra di diritto nella storia di Rimini perché questo passaggio si spera rappresenti l’ultimo atto della travagliata saga della statua. Ciò in attesa che torni in via definitiva nell’unico luogo che le spetta per storia, per tradizione e per volontà popolare: piazza Tre Martiri. Alla cerimonia partecipano i pochi militari ancora rimasti in presidio, alcuni rappresentanti di associazioni culturali e militari, storici, esperti d’arte, esponenti del mondo culturale riminese e naturalmente il padrone di casa (di caserma) Tenente Colonnello Danilo Gallo e l’assessore alla Cultura del comune di Rimini, Giampiero Piscaglia. La breve conferenza avviene all’aperto sotto un benevolo sole, ma soprattutto sotto l’occhio acuto di Giulio Cesare.

Nell’occasione, a onore e tutela del loro Generale, tre valorosi combattenti della Legio XIII Gemina – Rubico che come allora ancora oggi non lo abbandonano. Tra tante persone presenti, solo il protagonista assoluto della manifestazione è dispensato dall’indossare la mascherina: Giulio Cesare. La portano anche i tre rappresentanti dell’associazione culturale di rievocazione storica e archeologia sperimentale. Anche se forse il Divo Giulio avrebbe preferito che per l’occasione fossero di tessuto color porpora di Tiro e bordate di cuoio leggero, ma “la guerra è guerra” e non si va troppo per il sottile.

Dopo una breve ricostruzione delle vicende del bronzo romano (fonderia Laganà), il Colonnello passa la parola all’assessore Piscaglia che a sua volta ripercorre la “Via Crucis” (parole sue) del condottiero, ringrazia i militari per l’ospitalità data al Cesare in lega di bronzo e stagno e dalla trama della mascherina, prima di terminare il conciso discorso, fluiscono parole che annunciano un’inusitata novità sul destino di Cesare. Là per là, vuoi per l’audio non ottimale all’aperto, vuoi a causa delle “museruole” di stoffa, vuoi alla minorata capacità uditiva del sottoscritto, non afferro in pieno le parole. Si sale al primo piano in un ufficio in cui avviene la firma congiunta della consegna ufficiale della statua che dalle mani dell’Esercito Italiano torna nella disponibilità della Città di Rimini. Foto di rito, brindisi e commiato dopo la piacevole parentesi finale offerta dal Colonnello. Non faccio quasi in tempo ad arrivare a casa che leggo una notizia appena battuta dal Comune di Rimini. È la conferma di quanto speravo di avere inteso male: “Formalizzato il ’passaggio’ della statua di Giulio Cesare dalla omonima caserma al Lapidario Romano del Museo comunale” (qui).

Ma come? C’è in progetto (avanzato, dicono) di restaurare il Cesare del 1996 (copia della copia) e pure quello del 1933 e dove si decide di posizionarli? O meglio, dove la Soprintendenza dispone che vadano posizionati, come sostiene Palazzo Garampi. Quello più giovane e obiettivamente meno artisticamente valido (pur ringraziando mille volte la generosità del Rotary) lo destinano in piazza Tre Martiri, mentre la “copia originale” della famosa fonderia Laganà viene relegato nella corte del lapidario romano all’interno del Museo di Città, celato alla vista della maggior parte dei cittadini riminesi e dei numerosi turisti che ogni anno ci si fanno fotografare davanti. Che non sia il caso, semmai, di invertire le collocazioni? E comunque, siamo ancora al punto che “la statua è attualmente sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologia per valutare il percorso di recupero, gli aspetti della sicurezza legati al trasporto e l’iter autorizzativo”. Qualcuno mi dica che è stato tutto uno scherzo. Ma basta!

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