Come si fa a definire «invenzione» l'evento nato nel 2006? Non si fa. L'ultima parte della storia, nella quale emergono altre novità. Una abbastanza clamorosa: anche il piano strategico spunta dalle convention di Pa (Mauritius).
Ma inventore de che? Mentre vi ascoltate il brano di Umberto Tozzi datato 1981 – titolo «notte rosa» – seguite questa breve introduzione: davvero la Riviera romagnola ha inventato qualcosa con la Notte Rosa? Che ruolo ha avuto Andrea Gnassi nel conio dell’evento lo vedremo fra poco. Però l’altra domanda che va subito introdotta è questa: ciò che è stato partorito nel 2005 in un villaggio turistico di Santo Domingo e che ha preso forma nel luglio del 2006, quale originalità ha avuto? E’ un evento che può reggere “su piazza” per un periodo così lungo, oppure dopo la fiammata iniziale si sta trascinando stancamente e la senilità della Notte Rosa dovrebbe convincere i decisori che è ormai venuto il tempo di cambiare?
Cominciamo dal principio, l’ideatore del concept. Il primo punto fermo sono i documenti ufficiali. Il perno attorno al quale prende forma l’organizzazione della Notte Rosa è quello della Unione Prodotto Costa (sparita insieme alle altre Unioni a seguito della riforma della Legge 7) presieduta da Vittorio Ciocca.
E’ il gennaio del 2006 quando la macchina si mette in moto. Ciocca scrive a tutti gli assessorati al turismo delle province di Ferrara, Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini e ai Comuni coinvolti.
Colloca la Notte Rosa all’interno di un progetto più vasto che ha visto anche la nascita del portale Adriaparty. La descrive come «un’azione di riposizionamento dell’immagine del divertimento in Riviera» attraverso il coinvolgimento di tutti i comuni. Formalmente il soggetto al quale fa capo l’evento è la Provincia di Rimini, presidente (dal 1999 al 2009) Nando Fabbri, dove Andrea Gnassi è assessore al turismo fra il 2005 e il 2007. Ma il lavoro sostanziale è della Unione Prodotto Costa, dove ha sede anche il tavolo di coordinamento generale. La prima riunione operativa si tiene l’8 febbraio 2006 e la prima uscita pubblica alla Bit di Milano.
«Il tema era inventare una manifestazione che potesse dare un senso ad una notte “buona”, popolare, che avesse anche uno spirito più diffuso rispetto alla notte dei locali da ballo, partendo dall’idea di sviluppare Gradisca, tenendo quindi insieme la vocazione enogastronomica e la tradizionale ospitalità romagnola, in una dimensione che unisse nella cornice della notte, locali da ballo, musica, creatività». Gabriele Bucci, all’epoca direttore dell’Associazione albergatori di Rimini, la ricorda bene la discussione che venne intavolata a Santo Domingo nel 2005.
Toglietegli tutto ma non la Notte Rosa… invece Melucci fa anche questo ad Andrea Gnassi
Questa non ci voleva: Melucci scivola sulla Notte Rosa
«Il tutto fu favorito dal fatto che in quella convention c’erano tutti i soggetti, pubblici e privati, compresi i rappresentanti del mondo della notte. Va ricordato che il contesto dentro il quale si inseriva la Notte Rosa era il distretto turistico romagnolo. Non a caso quell’anno la riflessione verteva su una proposta di riforma della legge 7 che andava proprio in quella direzione», spiega Bucci. «Teorizzavamo una integrazione territoriale che riguardasse la Romagna, e su questa scia nascerà poi anche Visit Romagna, e pianificavamo una manifestazione che potesse riguardare tutta quest’area, un evento di sistema come lo chiamammo allora, aprendo ad un pubblico molto più vasto di quello dei tradizionali frequentatori della notte, proprio per questa ragione non blu ma rosa».
Ma chi intavolò il discorso Notte Rosa? «Fu il frutto di un lavoro di squadra, nel quale credevamo molto». E il nome da chi uscì? «Io l’ho sentito per la prima volta da Andrea Gnassi, che sia per età anagrafica che per esperienze nel mondo dello spettacolo e degli eventi, era il più addentro ad un certo di tipo di manifestazioni. Poi bisogna aggiungere che naturalmente una iniziativa come la Notte Rosa non la fa una persona sola».
Cosa hanno rappresentato quelle convention nate da Pa? «Sono state pensate per creare autentici momenti di confronto e di lavoro sui temi del turismo…».
Anche con un format particolare? «Sì, direi con una modalità informale che favorisse il dialogo e l’empatia fra i partecipanti, cosa che nei rapporti istituzionali fra pubblico e privato non è sempre facile ottenere», risponde Bucci. «Come Aia eravamo dell’idea che una associazione di categoria dovesse certamente rappresentare gli interessi dei propri associati, erogare servizi alle imprese, ma anche partecipare attivamente allo sviluppo del territorio nel quale è attiva. Questa sensibilità ci portò, non a caso, ad intervenire negli strumenti di gestione pubblico-privato (Fiera, Aeradria, ecc.) secondo una logica propositiva e di condivisione. Le dirò di più…». Prego. «Anche il piano strategico fu discusso in una delle convention organizzate da Pa, insieme ad Ascomfidi, quella del 2006 a Mauritius, e la proposta la lanciammo dall’Aia, ricordo che io feci uno studio approfondito dei piani strategici delle maggiori città europee. Poi lo proponemmo a Melucci, sempre nel 2006, quando affrontammo l’argomento anche in un ciclo di trasmissioni televisive, nelle quali ci occupammo fra l’altro di aeroporto, università, fiere e congressi, cioè dei diversi vettori dello sviluppo. Ne parlammo a tavola per la prima volta, in un ristorante di Covignano, io, Salvatore Bugli, Melucci e Maurizio Ermeti». Quindi il piano strategico nasce su impulso dell’Aia? «Sì, fu l’Associazione albergatori che propose di fare il piano strategico per la città di Rimini, in base anche ad una constatazione: una amministrazione comunale che dura in carica 5 anni, non è in grado di pianificare uno sviluppo tarato sul lungo periodo, e quindi anche le normali strumentazioni urbanistiche hanno un po’ le armi spuntate. Da qui la necessità di una visione di respiro più ampio».
Ufficialmente il percorso del piano strategico a Rimini nasce nel 2007 con la costituzione del comitato promotore formato da Provincia, Comune, Fondazione Carim e Camera di Commercio. Ai quali si aggiungeranno in seguito Regione e Università di Bologna. Ora sappiamo anche altro e diventa chiara pure la ragione della presidenza a Maurizio Ermeti: fu posta come una condizione da chi vantava una sorta di primogenitura sul piano strategico, e i rappresentanti delle categorie del turismo non fecero nessuna fatica a piazzare il loro leader (Ermeti fu presidente Aia dal 1997 al 2006) visto il feeling con Comune e Provincia. Fin qui i fatti.
Ora le opinioni. A leggere oggi il documento stilato in quegli anni che focalizza il progetto Notte Rosa, si ha la percezione di una sproporzione fra il fine immaginato e lo strumento: «Il primo week end di luglio si dà vita alla grande festa d’inizio estate della Riviera. Sullo schema consolidato delle notti bianche si da vita ad una variazione sul tema. La notte rosa è l’evento con cui la Riviera, cogliendo bisogni e cambiamenti, torna a riproporsi in Italia e nel mondo. Lo fa puntando sui suoi segni più autentici, più veri».
Anzitutto è una variazione su un tema vecchio, quello delle notti bianche. Sul quale si innesta una ambizione mai sopita ma anche mai veramente fondata su basi solide: quella di lanciare una manifestazione in grado di attirare l’attenzione dell’Italia e addirittura del mondo. Un castello costruito su fondamenta d’argilla.
La «notte rosa» deflagra in Italia nel 1981. Venticinque anni prima di quella che eccita la governance turistica della costa. Scala tutte le classifiche. E’ un album di Umberto Tozzi: Notte rosa / Sembra esplosa / Notte rosa / Dimmi chi ti ha presa / E chiariamo ogni cosa in questa notte rosa / Dammi almeno una speranza…
Ancora prima, nella seconda metà degli anni 70, Renato Nicolini, ai tempi assessore alla cultura al Campidoglio, aveva tenuto a battesimo l’estate romana, le «notti bianche», che poi si diffondono anche in Francia. Cambia il taglio ma non tanto la sostanza. Nel 2005 esplodono le notti bianche in varie città italiane a base di concerti, appuntamenti culturali, teatrali ed altro. Il caso più riuscito è quello di Napoli, ma se ne affiancano diverse altre che anticipano questo genere di concept.
Uno che il turismo l’ha studiato e analizzato in lungo e in largo, anche con numerosi rilevamenti dal punto di vista del ritorno in termini di presenze, il prof. Attilio Gardini, ha sempre sostenuto che la Notte Rosa (insieme alla Molo) – al di là delle intenzioni iniziali – non ha fatto altro che confermare Rimini in un posizionamento “negativo”, cioè «nel segmento dello sballo», portando caos per un fine settimana ma quasi nessun beneficio ai fatturati degli hotel. Ed è per questo che un comune come Riccione negli ultimi anni ha sempre più preso le distanze dalla Notte Rosa. E un po’ per la stessa ragione, Ravenna, Milano Marittima e Cesenatico non si sono mai spellate le mani per la Notte Rosa. La città che invece ne avrebbe avuto meno da guadagnare, Rimini, ne ha fatto un santo da portare in processione.
Riepilogando: la convention del 2005 di Santo Domingo (insieme ai convegni che la precedono) focalizza il parto della Notte Rosa. Andrea Gnassi porta il proprio contributo di definizione (è innegabile che ci sia stato ma è altrettanto innegabile che non si possa definire ideatore perché la “notte rosa” esisteva già e le notti bianche pure) all’interno però di un progetto “collettivo” e di spinte che venivano soprattutto dal privato (Pa, Aia, Confcommercio). La Notte Rosa è stata sotto vari aspetti una scopiazzatura, caricata di significati e obiettivi improbabili, che ha goduto di qualche alone di novità nei primi anni dopo il debutto (quando la scenografia rosa veniva almeno curata mentre in seguito tutto è stato lasciato all’improvvisazione), ma che nella sostanza si è inverata con una eterogenesi dei fini (messa in pista per rilanciare una riviera dolce, della gentilezza e dei sentimenti, ha richiamato invasioni rumorose, mordi-e-fuggi, e scarsi benefici economici per l’ossatura portante dell’economia turistica) ed è costata parecchio (si pensi solo ai concerti appaltati ai privati, per altro senza nessun bando) alle casse degli enti pubblici. La pandemia spronerà a rivedere, insieme a nuovi stili di divertimento e vacanza, anche questo prodotto un po’ stantio?
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