Troppi improvvisati esperti sull’Anfiteatro romano

Troppi improvvisati esperti sull’Anfiteatro romano

A proposito dell'intervento che il Carlino oggi pubblica col rilievo della prima pagina e che cerca di accreditare la tesi del "modesto valore" dell'Anfiteatro. Smentito da fior di archeologi e soprintendenti.

Il Carlino oggi pubblica in prima pagina un intervento di Luigi Franchini dal titolo “Anfiteatro e impostura”. Lo si può leggere in fondo a questa pagina. L’argomentazione lascia interdetti e anche la scelta di dedicargli tanto rilievo. Viene riproposta la tesi, di segno contrario a quanto vanno ripetendo da decenni veri esperti in materia, che l’Anfiteatro romano di Rimini sarebbe di “modesto valore” e che chi reclama il trasferimento del Ceis e la piena riscoperta dell’area archeologica in realtà starebbe conducendo solo una battaglia contro il sindaco e l’asilo italo-svizzero. Quando invece chi si batte per il recupero dell’Anfiteatro va ripetendo in ogni occasione che il Ceis rappresenta una esperienza educativa che deve essere assolutamente salvaguardata. E quando anche esponenti della maggioranza, non certo quindi “ostili al sindaco”, vanno ormai annoverati fra i sostenitori della valorizzazione dell’Anfiteatro. Scrive addirittura Franchini che coloro che non sono disposti a sganciare qualche soldo per realizzare i sondaggi (evidentemente perché chi firma quel pezzo ritiene che sotto il Ceis non ci sia nulla che meriti di essere portato alla luce) e, udite udite, contribuire al progetto della nuova sede dell’asilo, farebbero bene a tapparsi la bocca.
D’altra parte la storia cementificatrice di Rimini ci regala anche un progetto che prevedeva di costruire una lottizzazione nell’area dell’Anfiteatro, ma fortunatamente ci fu chi avversò quella sciagura (Vittorio Belli) e riuscì a stopparla. L’ha ricordato di recente l’archeologo Marcello Cartoceti prendendo la parola nella commissione consiliare che ha affrontato l’argomento, sostenendo non solo che nel sottosuolo c’è materiale che merita di essere valorizzato, ma che per dimensione l’Anfiteatro non sfigura se messo a confronto col Colosseo e che il nostro è l’unico recuperabile fra quelli presenti in regione e uno dei pochi nel nord Italia, il terzo monumento pubblico della città dopo Arco d’Augusto e ponte di Tiberio.
Con tutto il rispetto per Luigi Franchini, voci ben più autorevoli hanno sostenuto da tempo che l’Anfiteatro romano merita, eccome, di essere scavato e che nel sottosuolo si troverebbe molto. Fra tutti vale la pena di essere citato il prof. Jacopo Ortalli, il quale ha chiarito che “nel sottosuolo ci sono significativi resti delle fondazioni murarie”. A breve Rimini 2.0 darà la parola ad un altro pezzo da novanta in fatto di archeologia e si aggiungeranno ulteriori sorprese per Franchini e per chi la pensa come lui.
Al di là di ogni valutazione, più o meno autorevole, resta poi l’oggettiva presenza di due vincoli sull’area dell’Anfiteatro, uno archeologico e uno monumentale, e anche l’intoccabile Ceis non può continuare a rimanere in quel sito doppiamente vincolato a dispetto del santi.
Pubblichiamo di seguito l’articolo che Cartoceti scrisse per Ariminum nel 2014, che così veniva introdotto: “La pianta del monumento è completamente ricostruibile” e “Rimini è l’unica città dell’Emilia Romagna ad avere un’opera così grande e in un’area tale da permetterne un recupero”.

La questione dell’Anfiteatro romano

di Marcello Cartoceti

Vi sono alcuni argomenti “tabù”, che per il quieto vivere cittadino forse non andrebbero toccati. Ma tacere rende complici ed è altrettanto sbagliato. Ogni tanto qualcuno ci prova, o ci riprova e questa cosa va avanti da lungo tempo. Mi riferisco alla questione anfiteatro.
Rimini possiede alcuni tra i monumenti romani più importanti e meglio conservati del nord Italia. È l’unica città dell’Emilia Romagna ad avere un anfiteatro così grande e in un’area tale da permetterne un recupero. Questo, una volta valorizzato, potrebbe rappresentare una grande risorsa culturale da inserire in un percorso cittadino assieme all’Arco d’Augusto, il Ponte di Augusto-Tiberio, il Tempio Malatestiano e Castel Sismondo ecc..
Ho assistito a discussioni tra appassionati cittadini alcuni dei quali dicono che l’anfiteatro non val la pena di essere recuperato perché a loro dire nella parte sottostante l’attuale Centro Educativo Italo Svizzero – CEIS – non vi è più nulla.
Questa è una loro opinione solo in parte suffragata da alcuni pochi dati non esaustivi per cui effettivamente da dei sondaggi eseguiti nella prima metà del Novecento si è visto che in alcuni punti le strutture dell’anfiteatro presentano i segni di distruzione dovuti ad un incendio avvenuto in epoca antica. La Seconda Guerra Mondiale con le sue bombe ha sicuramente peggiorato la situazione e l’avervi poi costruito sopra strutture in cemento armato non ha contribuito, ma lo spessore dei depositi di terreno e macerie che in alcuni casi arriva a 3-4 metri di profondità, rispetto al piano attuale, ha sicuramente aiutato a salvaguardare parte delle strutture antiche e l’anfiteatro nella sua pianta è completamente ricostruibile. Ciò in un paese sensato dovrebbe bastare.
La scelta del primissimo dopoguerra di edificare temporaneamente sopra all’area dell’anfiteatro il CEIS, al di là della innegabile importanza che questa istituzione aveva ed ha tuttora, fu il frutto di necessità contingenti ma anche di quel clima di insensibilità culturale (da un punto di vista storico, architettonico, archeologico e artistico) e politica che portò alle assurde demolizioni del Kursaal, di gran parte del Teatro, di Palazzo Lettimi ecc.. solo per citare alcuni dei casi più eclatanti. La decisione di inserire delle costruzioni, prima temporanee e poi in cemento armato, sopra un monumento così importante non era e non è in alcun modo giustificabile. E non intendo con questo ferire la sensibilità di chi in quel luogo ha potuto vivere una bellissima esperienza umana e didattica. L’inconsistenza delle istituzioni preposte alla tutela ovviamente fu altrettanto grave. Fu una scelta sbagliata. Basti pensare che l’area era utilizzata anche come discarica di macerie e a livello locale veniva tollerato… Ma indietro non si torna.
Le ultime Amministrazioni Comunali sono impegnate in un processo di valorizzazione del centro storico, e questo è un bene. In poco tempo abbiamo assistito alla riqualificazione dell’area attorno all’Arco di Augusto, al restauro del Tempio Malatestiano, al restauro di parte di Castel Sismondo, alla riqualificazione di Piazza Tre Martiri, alla valorizzazione della Domus del Chirurgo, all’incremento degli spazi museali e culturali e all’avvio dei lavori di ripristino del Teatro Galli ecc… e questi interventi ci danno l’idea che chiaramente Rimini ambisce ad esser sempre più bella.
Oggi si parla giustamente di valorizzare l’area attorno al Ponte di Augusto-Tiberio e il porto canale; si sta finalmente pensando di mettere mano, in maniera concreta, alla riqualificazione dell’area di Piazza Malatesta, anche se per la cosa più importante, ovvero il recupero e lo svuotamento del fossato del Castello mi sembra che le parole spese siano volutamente poche. Ma non si può fare tutto subito e le parole son veloci… i problemi da risolvere invece richiedono tempo. Sistemare una parte importante come Piazza Malatesta comporta dei sacrifici e delle scelte che non sono indolori ma il futuro del centro storico di Rimini è questo, altrimenti non sarebbe “storico”… e lo status quo non sarà sostenibile anche per gli anni a venire.
L’idea di portare il mercato ambulante in piazza Gramsci e dintorni personalmente non mi sembra sbagliata, è ovvio che sarà importante rendere altrettanto funzionali e appetibili queste aree per gli operatori economici e per coloro che le andranno a frequentare. L’area rischia di essere molto congestionata, e già lo è. Proviamo però a pensare ad una serie di interventi che potrebbero migliorare le condizioni per tutti.
L’anfiteatro, che in epoca romana, lambiva la costa si viene a trovare in una posizione estremamente strategica. Diventa un punto di accesso al centro per chi lascerà l’automobile nei vari parcheggi lungo via Roma e potrebbe diventare punto di riferimento per tutti coloro che provengono dal mare passando a piedi o in bicicletta attraverso il parco.
Qualche giorno addietro parlavo con un tecnico di grande esperienza e questi mi diceva che si potrebbe valutare la fattibilità anche di interrare, in parte, via Roma così da dare continuità al parco e trovarsi con l’anfiteatro dentro a questo. Sì, ci sono l’Ausa e sicuramente altri mille problemi, ma forse non è impossibile, almeno per un breve tratto… In tante altre città ci sono sottopassi-gallerie più o meno lunghi. Sarebbe più facile far passare sotto alla strada le biciclette e i pedoni ma sicuramente è meno bello.
Anche le mura romane e medievali nel parcheggio delle ex Ferrovie Padane potrebbero essere valorizzate con un intervento minimo e di grande effetto dando all’area un aspetto straordinario. Ma queste opere dovrebbero prevedere uno spostamento del CEIS, spostamento ovviamente concordato e consensuale, tale da valorizzare questo tipo di esperienza in un luogo, magari vicino, altrettanto bello. Credo anche che non sia impossibile costruire un nuovo CEIS con le stesse strutture e la stessa organizzazione logistica.
Sicuramente vi sono dei costi ma in un futuro, speriamo non troppo lontano, è una operazione che vale la pena di portare avanti.

Anfiteatro e impostura
Un passatempo per legionari, operai e contadini costruito alla meglio sulla sabbia, in riva del mare. Un circo di piccole dimensioni, circa la metà del Colosseo ma senza i fantastici ordini, arcate e porticati che hanno reso famoso quello romano. La storia dell’anfiteatro e di quello che ne rimane è arcinota, raccolta nei documenti custoditi nell’Archivio Storico Comunale dove si parla anche di scavi condotti da un muratore, Stefano Innocenti, scavi interrotti perché la ricerca “non tende ad altro che a liberare la Città da un’impostura che corre su questo Anfiteatro”. Un’impostura storica. Per i riminesi curiosi e mai contenti, in biblioteca è disponibile l’opera di Luigi Tonini che il secolo scorso raffreddò le fantasie della borghesia ottocentesca riminese descrivendo dettagliatamente quel circo di modesto valore. Dalla storia sappiamo quindi già che quel posto, di cui restano gli avanzi abilmente restaurati con mattoncini stuccati a vista, fu deposito di massacri circensi, lazzaretto medievale e infine (1945) deposito di macerie. A chi per capriccio vorrebbe investire una cifra iperbolica per restaurare il circo, demolire il Ceis e spostarlo alla stazione io dico che un miliardo forse basterebbe. Vale tanto quello schieramento di temporanei appassionati di archeologia ostili al sindaco, al Ceis e a quella scuola magistrale che ha forgiato la metà dei riminesi laici? Non credo. La farebbero loro una colletta per contribuire almeno prima a ricerca e sondaggi e poi alla progettazione del nuovo Ceis? Ce lo dicano per favore e in caso contrario facciano ‘basta’! Luigi Franchini

Fotografia: l’area dell’Anfiteatro in una immagine del 1935, libera da costruzioni, come si spera di tornare a vederla a breve (Ariminum, sett-ott. 2014)

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