Verdi di rabbia: alberi abbattuti, rasati all’Umberta e “in vendita”

Verdi di rabbia: alberi abbattuti, rasati all’Umberta e “in vendita”

Rimining non ha il pollice verde, ci scrive una lettrice che segnala l'abbattimento di sei pini. Verifichiamo e ci spiegano che è stato autorizzato. Poi ci sono le potature "a spazzola" e delle bizzarre pubblicità. Le piante non hanno vita facile in città. Ma, come si può ammirare nel parco Fabbri, dimostrano una grande voglia di vivere, nonostante tutto e tutti.

Capita che in redazione arrivino lettere di lettrici e lettori indignati che segnalano abbattimenti di piante. Questa che pubblichiamo è l’ennesima denuncia/protesta di una lettrice contro l’irrefrenabile canto delle seghe. Riferisce fra l’altro che a poca distanza da piazzale Kennedy «si sta edificando una palazzina. Sono stati tagliati 6 pini così da lasciare completamente libero accesso al detto immobile. Ora, dato che è previsto l’abbattimento anche da parte di privati che ne facciano richiesta, vorrei sottoporre all’attenzione il gravissimo danno patrimoniale e soprattutto ambientale, dovuto alla perdita di tali elementi. Non da ultimo la mancanza totale di informazione rispetto al diritto che abbiamo quali cittadini dalla scomparsa di alberi centenari magari sostituiti con “bastoni frondosi” di dubbia origine». Per concludere: «Eggià #rimining è “meno verde più cemento” sempre e ovunque come un mantra, ma diabolico. Mi auguro davvero che si possa sensibilizzare verso una migliore gestione del verde urbano in questa zona di marina centro. Ringrazio e auguro buon lavoro». (Segue firma).

Raggiungo quindi per telefono un tecnico comunale per chiedere lumi sulla questione dei pini, ma anche sui tigli di Viserba (dove ne sono appena stati recisi 4). La risposta è la medesima per entrambe le situazioni. Riassumo e riferisco: purtroppo i pini hanno un apparato radicale superficiale e molto diffuso e quando sono posti vicino al confine di un privato, ai sensi del codice civile, ma sempre che abbia adeguati titoli edilizi, questi può intervenire e tagliare le radici che sono entro la proprietà privata. L’ufficio comunale competente fa sempre verifiche e prove strumentali per capire se sia possibile salvare le piante. Va detto che se al privato viene data facoltà di intervenire sopprimendo parte delle radici, gli alberi diventano automaticamente pericolosi. Va da sé che la pubblica amministrazione debba abbatterli. Gli esemplari eliminati vengono subito inseriti tra quelli da ripiantumare, questa volta stando quanto più possibile lontani dalla proprietà privata. Lo stato delle cose dipende dagli errori che si facevano tanti anni fa perché non si conoscevano bene le alberature. Pini, come in questo caso o platani messi a dimora in spazi così stretti, ha significato condannarli. Malauguratamente la situazione va affrontata per come è oggi e pur cercando di abbatterli come “estrema ratio”, quando diventano pericolosi si è costretti a intervenire.
Questo è quindi quanto mi è stato spiegato. Credo che molto vada cambiato, sia in àmbito privato che pubblico. E in proposito, premesso che molti privati cittadini non hanno affatto rispetto del verde (quindi di sé stessi), eccoci a ricordare a chi non ha ancora partorito un “Piano del verde” che il territorio di Rimini lo sta aspettando, ma invano, da anni. Questo giornale continuerà a farlo presente, fino allo sfinimento, ogniqualvolta si ragioni di alberi.
Ora vorrei fare alcune considerazioni e mostrare le fotografie che sono scaturite dall’escursione “pedibus calcantibus”, fatta per raggiungere il viale indicato nell’e-mail, dove si è consumato l’ennesimo collasso arboreo multiplo. Scordatevi, e lo dico agli alberi, di avere vita facile a Rimini. In meno di mezz’ora, durante la camminata di avvicinamento al luogo del delitto, transito in zona Palazzo dei Congressi e in seguito attraverso parco Cervi dove ho occasione di scattare immagini che mostrano quale cura alcuni riservino agli alberi. Se ne vedono a bizzeffe, ma la potatura “all’umberta” osservata in un paio di giardini privati sotto gli occhi di tutti, sono sintomatici di un modo di agire disinvolto e ahinoi temo non sufficientemente contrastato.

Va detto che il Corpo Forestale dello Stato, ora assorbito dall’Arma dei Carabinieri per mano di una scellerata scelta politica (opinione che so essere condivisa da molti) è sotto dimensionato. Se non sono male informato, gli agenti che coprono l’esteso territorio della provincia di Rimini sono solo 4, mentre le Guardie Ecologiche Volontarie, bontà loro, fanno quello che possono. Naturalmente la cittadinanza è ugualmente grata a entrambe le divise. Non sono certamente loro, l’anello debole. Accade, qui come altrove, che nella fase precedente le elezioni, la politica ponga in gran luce il “tema del verde”. È tra i propellenti elettorali più gettonati, ma appena tacciono i retrorazzi di atterraggio, normalmente questo passa in secondo o terzo piano. Vedremo se, differentemente dalla precedente amministrazione, la questione del comparto del verde sarà una priorità dell’attuale giunta, la “Gnassi ter”, come battezzata dai soliti malpensanti. Quindi, i presupposti appaiono fiacchi.

Torno al “tour”. Partendo dall’ingresso nel parco davanti all’arco d’Augusto, camminando in direzione mare noto un giovane alberello. Sull’impalcatura di protezione spicca un chiassoso cartello rosso, in evidente contrasto con il colore dominante del luogo. C’è scritto “IN VENDITA”. Va a finire che Palazzo Garampi, anziché piantare 160mila alberi come ha promesso, ha deciso di vendere l’intero comparto arboreo così ci mette sopra un bel pietrone e non ci pensa più, mi dico. Quando mi avvicino e leggo l’intero testo, riemergo dall’apnea. Si tratta dell’improbabile annuncio di qualcuno che ritiene utile e possibile sistemarlo come e dove gli garba. Notare la marca da bollo. Va bene tutto, ma a rigor di logica, ritengo che non sia permesso mettere un cartello del genere in un parco cittadino. Noi lo oscuriamo, ma compare anche il numero di telefono dell’estroso inserzionista. Chissà se un impiegato comunale, un agente della Polizia Locale oppure dello Stato o un carabiniere, qualcuno insomma che lo abbia notato e avendone facoltà, vedendolo, si sia preso la briga di fare una telefonata per conoscere il nome del venditore per poi prendere provvedimenti. Voglio chiudere citando un “sacerdote della botanica”. Fortunatamente, come sostiene Stefano Mancuso, componente dell’Accademia dei Georgofili e direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale, «l’intelligenza è stata a lungo considerata “ciò che ci distingue dagli altri esseri viventi”, ma se la risoluzione dei problemi è una buona definizione di intelligenza, allora dobbiamo riconoscere che le piante hanno sviluppato un’intelligenza che consente loro di svilupparsi e rispondere alla maggior parte dei problemi che incontrano nella loro vita». Il loro adattarsi ai problemi e mutare rigenerandosi è incredibile. Beh, molti avranno notato che nel parco Fabbri, in direzione mare prima del sottopasso, sulla sinistra ci sono almeno due alberi fracassati da una tempesta di vento e riprodottisi dal misero mozzicone di tronco rimasto. Da questo potente segnale di voglia di vivere, ognuno tiri le conclusioni che crede. È bene sapere, condensando le indicazioni di Macaluso, che a lungo andare, se non si cambia il modus operandi (codici o non codici civili), dato che viviamo grazie a loro (gli alberi) e che noi animali tutti quanti insieme siamo lo 0,3% della biomassa mentre le piante ne rappresentano l’85%, abbattendole, sapete cosa ci tagliamo?

Voglia di vivere. Nel parco Fabbri.

La proposta di Mancuso
«Il problema del riscaldamento globale dipende dall’anidride carbonica e si affronta in due maniere: da una parte non se ne deve produrre più, ma questo lo sappiamo; dall’altro sappiamo anche che l’anidride carbonica già presente nell’atmosfera può essere sottratta attraverso le piante. Se noi piantassimo un numero sufficiente di alberi, potremmo riportare indietro l’anidride carbonica non a livello preindustriale ma comunque ridurre di due terzi il disavanzo cioè il surplus rispetto al periodo preindustriale» sostiene lo scienziato. Già un paio di anni fa, Mancuso propone di piantare 60 milioni di alberi, uno per ogni italiano, per combattere la crisi climatica. È segnale meramente simbolico, ma utile per cominciare. E aggiunge: «Sessanta milioni di alberi sono un’inezia. Al pianeta, oggi, servono mille miliardi di alberi. Dove li mettiamo? Quanto costano? Il costo non ci dovrebbe interessare perché qualunque sia la cifra sarebbe comunque una frazione irrilevante rispetto ai danni che subiremo se non mettiamo a dimora questa quantità. L’altro tema è: abbiamo abbastanza spazio? La risposta è sì. Se dividessimo questi mille miliardi per gli abitanti del pianeta a noi italiani toccherebbe metterne a dimora due miliardi. Sembra un’enormità ma pensate che se solo utilizzassimo le terre abbandonate dall’agricoltura dagli anni Novanta ad oggi, potremmo mettere a dimora, in Italia, fino a sei miliardi di alberi».

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