Il giallo di un antico stemma di matrimonio scomparso dalla chiesa di S. Martino in XX

Il giallo di un antico stemma di matrimonio scomparso dalla chiesa di S. Martino in XX

Lo rinvenne don Lazzaro Raschi. Poi qualcuno lo fece sparire. Ma ora il prof. Rimondini è risalito alla identità dello stemma.

La chiesa di S. Martino in XX ha regalato una epigrafe di notevole pregio. E a portarla alla luce è stato un Indiana Jones in tonaca, il parroco che in anni ormai lontani si prese cura di questa parrocchia, don Lazzaro Raschi. Il “pezzo” di valore che il sacerdote (a cui si deve anche il restauro, a partire dal 1986, della chiesa di S.Agostino, un lavoro gigantesco e perlopiù solitario) rinvenne nei locali della canonica durante dei lavori di ristrutturazione, è la famosa lapide federiciana, oggi custodita nel Museo della Città, mentre una copia all’interno della piccola chiesa (attualmente affidata a don Probo Vaccarini) ricorda l’importante ritrovamento che risale alla prima metà degli anni 70. L’epigrafe testimonia infatti il passaggio di Federico II di Svevia, nipote di Federico Barbarossa, da Rimini. Sull’epigrafe si legge che “Nell’anno del Signore 1231, sotto il papato di Gregorio e l’impero di Federico, nella quarta edizione, al tempo in cui l’imperatore Federico venne a Rimini e condusse con sé elefanti, cammelli e altri mirabili animali, quest’opera fu fatta e completata”. Fin qui era già tutto noto e molto è stato scritto. Ma don Lazzaro Raschi nella chiesa di San Martino in XX ritrovò anche uno stemma, purtroppo nel frattempo scomparso, che non aveva ancora una “identità”. E’ la prima volta che questa vicenda diventa di dominio pubblico.
“Lo ritrovai nella grotta di San Martino in XX – spiega – lo fotografai e cominciai a mandare l’immagine ad alcuni esperti, anche a Roma, per ricostruirne la storia ma nessuno riuscì a venirne a capo. Quando me ne andai per diventare parroco di S.Maria in Cerreto lo stemma rimase a S. Martino ma in seguito, tornando in quella parrocchia, scoprì che era sparito”. Rubato? Non si sa che fine abbia fatto. Questo mi raccontava don Lazzaro qualche mese fa. La svolta arriva quando mostro la fotografia dello stemma al prof. Giovanni Rimondini, ben noto non solo per il lungo insegnamento al liceo scientifico Serpieri ma anche per la sua competenza di storico dell’arte e dell’architettura. Il seguito lo racconta il professore (qui sotto) con dovizia di particolari, ma la sintesi è questa: si tratta dello stemma di matrimonio, dei primi decenni del 700, di Ottaviano Castelli e Ginevra Fonti. Ora, però, bisogna mettersi alla ricerca dello stemma: dov’è finito? Chi l’ha portato via dalla parrocchia? Il prossimo passo dovrebbe essere una denuncia al nucleo tutela patrimonio artistico dei Carabinieri. Stamattina ho informato don Lazzaro del giallo risolto, almeno in parte: “Sono davvero contento che siate risaliti alla identità dello stemma”, dice. “Mi affascinò molto, era bello e sarei felice di rivederlo nella chiesa di San Martino in XX”. (claudio monti)

di Giovanni Rimondini

Quando Claudio Monti mi ha mostrato una fotografia dello stemma di pietra calcare proveniente da San Martino in XX – poi scomparso -, subito si potevano formulare tre ipotesi: che si trattasse di uno stemma opera di uno scalpellino non esperto e di gusti popolari e arcaici – lo pensavo di forme cinquecentesche tarde -; che fosse un’arma ‘partita’ di matrimonio; e infine che lo stemma del marito, quello alla nostra sinistra, con un castello, potesse essere uno “stemma parlante” di una famiglia di cognome Castelli, Castello, Castellani, Castellini, Castellari e simili.
Nei due repertori di stemmi riminesi – le incisioni seicentesche del Clementini e i disegni settecenteschi del Gramignani – non c’erano i due stemmi maritali. Nello Spreti si trova uno stemma simile riferito ad una famiglia dalmata di cognome Castelli, che avrebbe ben potuto essere la nostra.
A Rimini c’era stato un vescovo Giovan Battista Castelli (dal 1574 al 1583).

La collezione di atti di Michelangelo Zanotti in Gambalunga
Ma una ricerca promettente per identificare lo stemma poteva essere intrapresa nei dodici volumi della Collezione di Atti e documenti importantissimi ad illustrare la storia patria di Rimino del notaio Michelangelo Zanotti, conservati in Gambalunga, che sono sintesi di documenti notarili riminesi, con indici nei quali cercare i lemmi “Castelli”, “San Martino in XX”, o altri.
Con una certa veloce fortuna, nell’indice del tomo V, usciva:

Eccl(esi)e A. Mariae Septem Dolorum in S. M° in vinti 114.
Alla pagina 114:
Ubaldo Antonio Marchi [notaio riminese] 31 gennaio 1737 p.44.
S.ri Ottaviano Castelli e Ginevra Fonti coniugi di Rimino alla chiesa eretta dai medesimi sotto il titolo di S. Maria dei Sette Dolori nella Con.ta di San Martino in Venti e gli obblighi ingiunti V(edi) d(etto) N(otaio) 1741 511 e reg.ti dei testamenti di detti coniugi Castelli.”

I coniugi Ottaviano Castelli e Ginevra Ludovica Fonti
Prendeva vita l’ipotesi che lo stemma fosse quello dei coniugi Ottaviano Castelli e Ginevra Fonti, posto, si può credere, sulla porta della “Ecclesiola“ da loro eretta dai fondamenti nel territorio di San Martino in XX dedicata alla Vergine Addolorata.

La donazione per la “Ecclesiola” di S.Maria dei sette dolori in San Martino in XX
Il documento originale relativo alla dotazione di beni per la fondazione in un loro terreno di San Martino in XX della Chiesa di Santa Maria dei Sette Dolori, citato e riassunto dallo Zanotti, è reperibile nell’Archivio Notarile dell’Archivio di Stato di Rimini.
Si tratta del rogito Dotatio, sive assignatio Bonorum facta, à Per. Ill(ustre) D(omino) Octaviano Castelli ad favorem Ecclesiole à fundamentis, ab eo errecta, in Contrata Santi Martini in Venti.
La chiesa non è detta cella ma Ecclesiola, chiesetta, come se si trattasse di un edificio sacro piccolo sì, ma del genere chiesa.
L’altro indizio importante, che ci servirà per definire il committente, è nel titolo di Perillustre datogli dal notaio, ben attento a non stuzzicare le sensibilità di status dei patrizi cittadini e forestieri, a Ottaviano Castelli, che è come attribuirgli l’identità di quasi nobile; magari a casa sua nello Stato Veneto gli sarebbe toccato il titolo di Illustrissimo che si dava solo ai nobili noti. Insomma il notaio gli attribuiva il massimo di riconoscimento – perillustre era superiore al semplice illustre che si dava normalmente ai “cittadini” o borghesi; era come dire: quasi ce l’hai fatta ad entrare nella lobby dei nobili -.

La donazione del 31 gennaio 1737
L’atto è del 31 gennaio 1737. Il notaio è Ubaldo Antonio Marchi. Il fine dell’atto è dotare di alcuni beni la nuova Chiesa dedicata alla Madonna dei Sette Dolori.
La cosa strana, che meriterebbe un approfondimento nell’Archivio Notarile presso l’Archivio di Stato di Pesaro, è che l’Instrumento di Fondazione era stato steso da Carlantonio Imperi “Notaro di Pesaro e Cancelliere della Curia Vescovile di detta Città” il 1 luglio 1733.

Finché durerà il mondo“, la chiesa della Madonna Addolorata sarebbe stata il luogo della periodica celebrazione di un certo numero di S. Messe a suffragio delle anime dei coniugi e dei loro parenti, ma anche per “far spiccare sempre di più il fervore della loro divozione verso la Gran Madre di Dio, e lasciarne una perenne memoria a loro posteri.” Il tutto naturalmente “con licenza di Monsignor Illustrissimo, e Reverendissimo Renato Massa Degnissimo Vescovo di Rimino.”

I beni di dotazione della chiesa “Per Fondo dell’Opera Pia” – ci tenevano a che fosse considerata “Cosa meramente laicale” non si riducesse consistevano in cinque piccoli appezzamenti di terra: e in quattro casette, una delle quali con orto e “Celletta situata nell’angolo di terra vicino alla Strada“:

“Un pezzo di Terra arativa, e frascata di tavole quaranta in circa posta nel territorio di Rimino, in Contrada di San martino in Venti; ladi la via publica e da tre i beni del nominato S.re Ottaviano Castelli ecc.” Terra acquistata da Ginevra Fonti (rogito del notaio riminese Paolo Scarponi 5 IV 1698).

“Parimente altro pezzo di Terra vignata, e frascata d’una Tornatura e Tavole dieci posta nella Contrada e Cappella suddette, in fondo le Mandriole, o Carpenete.” Già terra acquistata da Pietro castelli, padre di Ottaviano (rogito del notaio riminese Carlantonio Martinelli 18 II 1687).”

“Due Casette fabricate a pian terreno poste nel Borgo San Giuliano di questa Città, in Contrada detta del Fiume, ladi la Via publica, il Fiume Marecchia.” Acquisto di Ginevra Fonti (rogito del notaio riminese Urbano Urbani del 27 XI 1733).

“Item un’altra Casetta posta in detto Borgo di san Giuliano, la Via pubblica, il sudetto Fiume, el due Casette sopradescritte.” Acquisto di Ginevra Fonti ( rogito del notaio riminese Ubaldo Antonio Marchi del 28 IV 1734).

“In oltre un pezzo di terra arativa, pergolariata, frescata e fruttifera di Tornature due in posta in Contrada, e Cappella di S.Martino in venti in fondo Mandriole.” Acquisto di Ottaviano Castelli (rogito del notaio riminese Ubaldo Antonio Marchi del 16 Marzo 1735).

“Parimenti una casetta di deu Stanze una a solaro, e l’altra a pian terreno con Tavole quatordici di Terra Ortiva, e cortiva, e frascata con sopra una Celletta situata nell’angolo di Terra vicino alla strada […] Contrada e Cappella di San Martino in Venti”. Acquisto di Ottaviano castelli (rogito del notaio riminese Giuseppe Antonio Sperindio dell’ 11 VIII 1735).

“Itema altra pezza di Terra arativa, vignata, cannetata, e frascata di [una?] Tornatura in circa posta in detat Contrada e cappella, fondo Mandriole.” Acquisto di Silvestro Fantini (rogito di Ubaldo Antonio Marchi del 28 IV 1736).

“E finalmente, altro pezzo di Terra vignata, arativa, cannetata, e frascata di Tavole cinquanta posta in detta Contrada e Cappella”. Acquistata da Antonio Venturi “pro persona nominanda” (rogito del notaio riminese Giuseppe Antonio Sperindio del 16 VI 1736).

Il fine dell’“Opera pia”
Il fine di tali donazioni all'”Opera Pia” – distinta dall’identità di “Capellania overo beneficio Ecclesiastico” – era il seguente:

“Accioché con le rendite di detti Beni sempre, et in perpetuo annualmente nella detta Chiesa ad onore della beata Vergine de Sette Dolori, et in Suffraggio delle loro Anime, e de loro Parenti Defonti si celebrin nel giorno Festivo della Beatissima Vergine de Sette Dolori quattro Messe, cioè trè lette, et una cantata, e succesivamente ad ora competente si canti il Vespero, e le Littanie della Beatissima Vergine, spiegandosi di comprendere in dette quattro Messe le trè già fissate nell’Instrumento dell’errezione di detta Chiesa; in oltre vogliano, che nella medesima Chiesa si celebri una Messa in cadauno de Venerdì di Passione; et in caso, che per qualche accidente di pioggia, o neve non potesse celebrarsi anche l’altra obligata in tal giorno; Vogliono altresì, che sia celebrata una Messa in tutte le prime Domeniche d’ogni Mese dell’Anno, et un’altra Messa in cadaun giorno festivo della Purificazione di Maria Vergine, della sua Annunciazione, della sua Visitazione, della sua Assunzione, della Sua Natività, e della Concezione della medesima, nella Feste di San Giovanni Battista, e di S.Anna, e se in una delle dette prime Domeniche del mese accadesse la Festa di pasqua di Resurrezione, o di Pentecoste, nelle quali solennità non è lecito celebrare in detta Chiesa, per essere state colla Festa del Santissimo Natale eccettuata da Monsignore Illustrissimo, e reverendissimo Vescovo nel Rescritto dell’errezione, vogliono, che debbasi una tal Messa rimettere in altro giorno scelto a commodo, e piacimento di chi dovrà adempiere un tal Obbligo […]”

L’assegnazione dei beni doveva aver inizio dopo la morte dei due coniugi; seguiva poi una complesso passaggio agli eredi maschi primogeniti e, in mancanza di eredi maschi primogeniti, altri maschi e poi gli eredi delle figlie e infine, in assenza di eredi tutto sarebbe passato al parroco o rettore pro tempore della chiesa di S. Martino in XX. Oltre alla celebrazione delle Messe, i beni dovevano provvedere alle riparazioni, agli ornamenti e agli arredi della chiesa.

Poiché i coniugi Castelli Fonti avevano avuto quattro femmine, l’erede maschio era designato nel in nipote Giovanni Evangelista Pasinetti della Terra di Vignano, presso Bergamo, territorio dello Stato di Venezia.

Individuazione della chiesetta
Non sarà facile individuare i terreni, la chiesa o chiesetta – “l’Opera Pia de Signori Coniugi Ottaviano Castelli e Ginevra Ludovica Fonti” -, e il “Casino per villeggiare” dei coniugi Castelli Fonti, che non doveva sorgere lontano dall’edificio sacro. Già nel Catasto Calindri, del 1813, conservato presso l’Archivio di Stato di Rimini, non sembrano essersi conservate tracce immediatamente identificabili. Bisognerà condurre ulteriori ricerche per individuare i passaggi di proprietà.
Nei testamenti dei due coniugi veniamo a identificare i componenti ed eredi della loro famiglia.

Lo stemma di Ottaviano Castelli nei sigilli di ceralacca
Sui fogli di consegna del testamento di Ottaviano vi sono diversi sigilli di ceralacca rossa con il suo stemma inquartato: in primo e quarto si vede il castello ‘parlante’ dello stemma di pietra, mentre in secondo e in terzo è raffigurata un’aquila ad ali spiegate.

Il primo testamento di Ottaviano Castelli 26 Maggio 1732
Il 26 maggio 1732 veniva datato il testamento autografo e la sua consegna al notaio Ubaldo Antonio Marchi:
“Considerando Io Ottaviano Castelli nato in questa Città di Rimini et figlio del quondam Pietro Castelli della Terra di Gandino Diocese di Bergamo Stato di Venezia, la certezza della Morte e l’incertezza del Giorno e punto di esso.”
Non sono del tutto comprensibili le divisioni ereditarie. Ci sono due foglie maritate, una si chiama Chiara, che è moglie di “Antonio Pasinetti nella Terra di Vigano Diocese di Bergamo”.

“Altra mia figlia Anna Maria Ginevra maritata nel Signor Antonio Mangili del Bergamascho overo Stato di Milano”. A loro toccherebbe la parte di non meglio specificati “Beni Infiteotici”.
Si afferma che Giuseppe, lo zio paterno di Ottaviano Castelli, della Terra di Gandino, avrebbe pagato le doti e le avrebbe lasciate proprietarie, alla morte dei genitori “di un grosso capitale di cinque in sei milla scudi”. Apprendiamo di seguito l’esistenza di altre sorelle “povere” da maritarsi, ma ce n’è una sola. Un’altra figlia è “Annunciata Francesca mia figlia maritata nel Signore Giovan Domenico Zavagli” – il nome del marito sembra riminese -, la quale pur essendo “caricha di sei figliole o sette figliole” riceve l’intimazione: “ Non possi mai pretendere cosa alcuna della mia eredità” salvo “ qualche piccola Legitima, per essere stata da me Dotata di suficienza”.

Erede universale usufruttuaria è al momento la moglie Ginevra Fonti nei Castelli, la quale convive con la figlia nubile Maria Antonia Castelli. Il padre provvede alla dote della figlia nubile e a sostituire gli eredi e i curatori testamentari nel caso che la moglie gli premuoia.

Il nuovo testamento di Ottaviano Castelli 5 Marzo 1740
In un codicillo, se non nuovo testamento, del 5 marzo 1740, sempre negli atti del notaio Ubaldo Antonio Marchi “perché la mente degli Uvomini è ambulatoria”, viene nominato erede il “Signor Giovanni Evangelista figliuolo del Signore Antonio Pasinetti della Terra di Vigano diocesi di Bergamo e della Signora Chiara Marina Carissima defonta figliuola e mio dilettissimo Nepote”.
A questo vengon riservati “tutti i singoli mobili, suppellettili e Massaricie e Ori Argenti [più] quadri e vasi di cantina che si ritroveranno in essere tanto nella Casa di mia solita abitazione in Rimino che nel mio casino di campagna posto nella villa e Parochia di Sa.° Martino in venti Barigelato di Rimini doppo la morte della Signora Genevra Lodovica Fonti mia Consorte amatissima et in oltre il solito casino di mia solita Villeggiatura capanna corte et orto contigui; e più tutto il tereno che comprai da Girolamo Prudolli per instromento rogato dal Signor Ubaldo Antonio Marchi Notaro li 12 Febraro 1732 et il Podere con casa sopra e Colombaro posto in Villa e Contrada si Sa.° Martino in Venti in luogo chiamato comunemente Rueto.”

Il nipote Giovanni Evangelista Pasinetti di Vigano [Vigano San Martino]
Il nipote però in cambio di tanta generosità avrebbe dovuto “abitare conforme voglio et li comando, continuamente in Rimino et assumere l’arma et il cognome del mio casato et non abitando continuamente in Rimino non assumendo il mio cognome et arma adesso per alora il privo del comodo del sudetto legato et sostitutione et il dichiaro ipso fatto et ipso Iure decaduto del sudetto Legato […]” con passaggio dei beni alle altre figlie ed eredi di esse.
Il fine della generosità col nipote della figlia primogenita (?) era quindi quello di “trattarsi con decoro et mantenere in questa Città la memoria del mio casato”.

Il testamento di Ginevra Ludovica Fonti 26 Maggio 1732
Il testamento d Ginevra Ludovica Fonti per gli atti dello stesso notaio Ubaldo Antonio Marchi del 26 maggio 1732 – scritto e consegnato lo stesso giorno del primo testamento del marito – contiene una curiosa dimenticanza:
“Item istituischo Erede Universale con la Benedicione del Signore Idio e mia le mie quatro figliole cioè le Marta Antonia Anunciada [?] Chiara Marina et Anna Maria Genevra tutte miglie figliole e del Signor Ottaviano Castelli mio marito e in caso che morisse qualche duna di esse vadi alli suoi figlioli e figli de miei Nepoti con questo però che detta mia figlia non possino alienare cosa alcuna ne’ suoi Mariti in pregiudizio delli suoi figlioli; quando vivranno in tal dicisione lascio che siino tenute in egual Porcione e non altrimente né in altro modo,”

Strano che tra i nomi delle “quattro” figlie manchi quello della figlia nubile che avrebbe dovuto vivere con lei, Maria Antonia.

Abitazione e sepolcri a Rimini
La Donatio del 31 gennaio 1737 è rogata nella casa dei Castelli:
Actum Arimini Domi praedictorum Dominorum Jugalium de Castellis, sita in parochia S. Simonis, et Thadei, iuxta etc.” [rogato a Rimini nella casa dei predetti Signori coniugi Castelli nella Parrocchia dei santi Simone e Taddeo presso i suoi noti lati]. Il sepolcro Castelli era nella Chiesa di san Francesco [Tempio malatestiano] e quello dei Fonti, dove Ginevra Ludovica vuole essere sepolta in altro luogo non nominato.

Ulteriori ricerche
Nell’Archivio parrocchiale di San Martino in XX o nell’Archivio diocesano di Rimini.
In particolare dirette all’identificazione della “Ecclesiola” della Vergine dei Sette Dolori o Addolorata, che una ricerca misteriosa identifica con una cella esistente, di origine settecentesca ma ricostruita e dedicata di recente alla Vergine.

– Biblioteca Gambalunga di Rimini [BGR], Michelangelo Zanotti, Collezione di Atti e Documenti importantissimi ad illustrare la storia patria di Rimino, t. V MDCCC, Parte II, SC-MS 287, Ecclesie S. Mariae Steptem Dolorum in S. M° in vinti, p. 114.
– Archivio di Stato di Rimini [ASR], Archivio Notarile [AN], Ubaldo Antonio Marchi, Atti notarili, 1737, v. 3835, cc. 44 e ss.
– ASR, AN, Ubaldo Antonio Marchi, Atti 1732, v. 3839, cc-513 e ss.
– ASR, AN, Ubaldo Antonio Marchi, Atti 1732 , v. 3839, cc.513 e ss.
– ASR, AN, Ubaldo Antonio Marchi, Atti 1732, v. 3839, cc. 525 e ss.

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