Rimini dove vai, se un piano industriale della destinazione turistica non ce l’hai?

Rimini dove vai, se un piano industriale della destinazione turistica non ce l’hai?

Le vere scelte strategiche devono ancora essere messe in cantiere.

Dibattito molto istruttivo e altrettanto utile ieri sera al Far (per merito di Zeinta di Borg) fra due bravi docenti universitari: Attilio Gardini e Sergio Brasini. Purtroppo in prima fila ad ascoltarli non c'era chi ha in mano le sorti politiche della città. Peccato. Avrebbe potuto imparare molto. Parco del mare, presenze turistiche, rete commerciale, Trc. Temi decisivi, affrontati in un'ottica nuova. Di ampio respiro. Noi c'eravamo.

“Rimini sta investendo molto nel recupero del patrimonio storico, ma un centro storico morto non valorizzerà questi investimenti”. Poche parole per mettere nella giusta luce il gran daffare del sindaco (e degli illuminati che gli stanno facendo da supporter) intorno a Galli, Castelsismondo e ponte di Tiberio. Sassi nello stagno li ha definiti il prof. Attilio Gardini, uomo di rara preparazione e visione che la città non sa purtroppo valorizzare a dovere, che ieri sera ha fornito squarci di realismo ma anche proposte concrete per il destino del commercio e del turismo a Rimini. L’occasione è stata creata dal primo degli incontri (al Far) promossi da Zeinta di Borg (applausi per l’iniziativa e una proposta: raccolga gli interventi di ieri sera e li mandi a tutti gli amministratori pubblici e alla classe dirigente che si arrabatta ogni giorno, si faccia un consiglio comunale aperto sugli stessi temi), riflessioni sul commercio e sul ruolo del terziario a Rimini. “C’è bisogno di una organizzazione complessiva della nostra offerta turistica. Si stanno facendo molte cose ma il punto è che manca un piano industriale della destinazione, senza il quale è impossibile pensare ad un intervento anziché ad un altro”. Tutto quello che si fa resta sconnesso e, alla fine, inutile. Per dirla chiara: il grande impegno del giovane sindaco rischia di girare a vuoto. “Manca un elemento che colleghi e trasformi in valore aggiunto tutto ciò che si sta facendo, in valore commerciale, manca un brand valorizzabile sui mercati. Rimini è un grande brand perché lo è stato, questo valore aggiunto del passato rimane tuttora una grande marca ma la stiamo distruggendo piano piano, perdiamo quote di mercato ogni anno, e questo per l’azienda Rimini è un indicatore drammatico”.

Sassi, alcuni molto appuntiti. “Lo shopping è considerato oggi una delle motivazioni più forti del turismo esperienziale, apprezzato e richiesto dalla maggioranza dei turisti”, ha aggiunto il professore. E allora come la mettiamo con il doppio impoverimento della piccola rete commerciale avvenuto a Rimini, cioè la chiusura a raffica dei negozi del centro storico e l’offerta scadente che fa bella mostra di sé niente meno che sul lungomare della città e che il docente universitario ha detto senza mezzi termini che nella stragrande maggioranza dei casi sarebbe meglio chiudere perché dequalifica l’offerta turistica della riviera? Gardini non ha dubbi: “E’ indispensabile investire nella creazione di un brand commerciale, veicolato anche sul mercato turistico, una operazione però non banale che richiede anche una forte motivazione da parte degli operatori”. Mentre a Rimini “abbiamo a che fare con un ceto imprenditoriale alberghiero che probabilmente non è molto sensibile a questa dimensione della promozione turistica. Ha in mente ancora un turista che esce dalla camera d’albergo per andare in spiaggia e poi torna in camera”.

I due relatori, il prof. Sergio Brasini, coordinatore del Campus di Rimini, e Gardini, moderati da Giorgio Tonelli, hanno messo messo sul tavolo numeri ma anche valutazioni assai controcorrente rispetto alla vision che il sindaco Gnassi sta imprimendo alla città.

Sul parco del mare, ad esempio, Brasini ha detto che esprime un “ottimismo volontaristico”. Un tentativo che non poggia su gambe solide. Si pensa che sia sufficiente mettere la prima pietra e il resto verrà da solo, ma non sempre funziona così: “E’ importante che qualcuno metta la prima pietra, e che ci sia una progettazione che potrebbe portare un domani Rimini a diventare la capitale mondiale del wellness, ma non è scontato che questo accada”. Ad esempio una condizione necessaria sarà la “qualità” e la “solidità” dei protagonisti che si affiancano all’amministrazione comunale. Ancora più diretto Gardini: “Il parco del mare non riuscirà ad attivare dei processi virtuosi perché quello che manca è un progetto globale”. Il suo ragionamento è stato il seguente: “La qualità dell’offerta turistica riminese rimane tuttora abbastanza bassa, non è ancora stato avviato un processo di innovazione e io credo che non sia possibile avviarlo senza un piano complessivo, perché nessun albergo riesce a riqualificarsi se attorno ha delle struttura di qualità bassa che svolgono un certo tipo di concorrenza”. Rimini, ha spiegato ancora meglio, ha bisogno di un “piano industriale della città, perché una destinazione turistica è un prodotto e nel caso specifico il prodotto è Rimini”.
Non se ne uscirà senza una organizzata pianificazione complessiva “che individui gli investimenti convenienti, sostenibili, in grado di portare valore aggiunto, senza scelte urbanistiche che consentano di cambiare assetto del territorio”.
Gardini ha concluso questo capitolo raffreddando gli entusiasmi di chi festeggia per l’andamento della stagione turistica: “In questa città e in questa regione ci si affida a delle strane forze automatiche che credo non funzionino e non funzioneranno mai e questo è il motivo per cui anche quest’anno abbiamo assistito ad un aumento della stagionalità, cioè della instabilità produttiva, che è una specificità negativa della costa adriatica”. Favoriti peraltro dal fattore terrorismo. Il turismo a Rimini resuscita (ha usato questo termine il prof. Gardini) grazie ad occasionali fattori esterni favorevoli, ma sono fuochi di paglia. “L’aumento delle presenze in questa estate è un fenomeno contingente, non avrà durata, e i problemi torneranno fuori tutti se non si interverrà con un progetto tarato sulla destinazione”.

Mentre il regno di Gnassing II autocelebra praticamente ogni giorno il nuovo Rinascimento di Rimini, secondo i professori le vere scelte strategiche devono ancora essere messe in cantiere. “Siamo una città molto ferma e il comparto turistico è quello più conservativo e statico”, sono state le parole di Gardini. Che ha anche demolito il Trc: “E’ necessaria la mobilità costa-entroterra, costa- città, non lungo la costa, perché in una destinazione come Rimini caratterizzata da una sostanziale uniformità nel paesaggio, è inutile e noiosa. Il turismo che cerca esperienze sarebbe invece favorito da una mobilità verticale, verso l’entroterra”.

Che fare? Nella cornice del piano induatriale della destinazione Rimini, Gardini e Brasini hanno lanciato molte proposte interessanti, sull’esempio di esperienze nate in Europa, come “Shopping in Paris”, l’urban branding, lo street branding. Con una premessa: spetta alla politica darsi una mossa, e serve una risposta di sistema. Il piccolo commercio è stato ucciso dalla crisi economica, dalla tenaglia costituita dalla grande distribuzione organizzata da una parte e dal commercio elettronico (non a Rimini però, che risulta all’83esimo posto fra le province italiane per numero di ordini online: 27,4 acquisti ogni 100 abitanti; la posizione più bassa in Romagna: Ravenna 61 posto, Cesena e Forlì 73 posto) dall’altra, ma forse soprattutto dalle non scelte della pubblica amministrazione. “In varie città europee si è capito che la valorizzazione dei centri storici è anche lo strumento per uno sviluppo economico sostenibile, per un equilibrio sociale, per fronteggiare quei processi di degrado che la marginalizzazione di intere categorie sociali, portatrici fra l’altro di competenze e saperi, tende ad accentuare”, ha chiarito Gardini.

Fra i temi sollevati, anche quello dell’utilizzo dei ricchi proventi della tassa di soggiorno per rivitalizzare il commercio. In Italia dal 2007 al 2016 sono morte circa 90 mila imprese (il dato su Rimini non è stato fornito). Più colpiti dalla crisi i negozi del comparto tessile e dell’abbigliamento, ridotti di un quinto. Dal 2011 al 2016 il commercio al dettaglio ha registrato una diminuzione del proprio giro d’affari di circa 7,7 miliardi di euro.

Con un nota bene finale. La perdita di posti di lavoro derivante dalla chiusura del commercio al dettaglio non è compensata dalle assunzioni nella grande distribuzione. “Che tendono a privilegiare delle forme di occupazione di tipo precario, con meccanismi che provocano una perdita progressiva di diritti da parte dei lavoratori. Stiamo mettendo in movimento una piccola bomba a orologeria, non intervenire porterà anche ad un inasprirsi delle tensioni sociali. Il sistema paese così si indebolisce”, ha detto Brasini. Tutti avvisati. Ora non si può dire: io non lo sapevo.

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