Centrale eolica offshore: tra fede nel turismo green e schiaffoni alla Riviera

Centrale eolica offshore: tra fede nel turismo green e schiaffoni alla Riviera

Abbiamo letto i documenti che accompagnano il procedimento di valutazione di impatto ambientale. Si arriva a sostenere che un territorio fortemente antropizzato e contrassegnato dalla presenza di «strutture alberghiere e balneari per aspetti tipologici e architettonici simili a quelli tipici delle peggiori periferie urbane», e comunque «totalmente indifferenti rispetto alla natura dei luoghi e alla vicinanza del mare e delle spiagge», molto difficilmente può piccarsi di rifiutare le pale eoliche per il loro impatto ambientale. Invece il progetto andrebbe nella direzione di attrarre i nuovi turisti «di oggi e ancora di più di domani».

Premessa necessaria. I contenuti ai quali si fa riferimento in questo articolo sono consultabili sul sito del ministero della Transizione Ecologica (qui): risultano circa 130 documenti. E’ quindi impossibile fornire un quadro completo (tanto meno in un solo articolo) dell’intera materia, peraltro molto complessa. Cominciamo ad occuparcene entrando in alcune delle più spinose questioni che riguardano il progetto di posizionamento delle pale eoliche nel mare antistante la Riviera tra Rimini e Cattolica.
La Società Energia Wind 2020 srl, il 26 maggio scorso ha chiesto al ministero della Transizione Ecologica (ai sensi dell’art.23 del D.Lgs.152/2006) l’avvio del procedimento di valutazione di impatto ambientale per la centrale eolica offshore “Rimini”, di 330 Mw, progetto presentato il 30 marzo 2020. L’obiettivo è noto: produrre energia elettrica mediante lo sfruttamento della forza del vento in ambito marino.

I primi passi del progetto
In ambito locale la proposta non è stata inizialmente accolta con favore. Tante le voci critiche da parte di sindaci e associazioni direttamente e indirettamente interessate. Alcune di queste voci hanno anche cambiato “timbro”, come quella dell’ex sindaco di Rimini, Andrea Gnassi, che da palazzo Garampi si era nettamente opposto, mentre in tempi più recenti e in particolare durante la campagna elettorale ha sostenuto che «in questa fase di emergenza dico sì al rigassificatore di Ravenna e dico anche sì ai due parchi eolici, compreso quindi quello davanti a Rimini» (qui).
Si legge nell’avviso pubblico redatto da Energia Wind 2020 (il riferimento è sempre agli atti che si trovano sul sito del ministero della Transizione Ecologica): «A febbraio 2021 il progetto ha superato la prima fase Istruttoria relativa alla Concessione Demaniale Marittima (art. 36 del Codice della Navigazione) ed è stato ritenuto ammissibile; hanno partecipato alla consultazione e al procedimento 34 tra amministrazioni e Enti pubblici e 11 portatori di Interesse; in Conferenza dei Servizi sono stati acquisiti i pareri e contributi istruttori direttamente o per silenzio assenso.
Il progetto presentato per la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) recepisce le osservazioni e prescrizioni della prima fase istruttoria conclusa e pone all’attenzione dei partecipanti al procedimento delle alternative di localizzazione degli aerogeneratori; il progetto è stato elaborato a livello di “progettazione definitiva”».

L’abc della centrale eolica offshore
E veniamo alla sostanza. L’energia elettrica dovrebbe essere prodotta da 51 aerogeneratori di 6,45 MW di potenza ciascuno (per complessivi 330 Mw), di altezza massima dal medio mare compresa in un range di 210/220 metri, con diametro del rotore di 180 m.
La distanza minima degli aerogeneratori dalla costa varia da 6 Mn (11,2 km) a 9,5 Mn (17,6 km) a seconda delle alternative proposte e l’impianto si estende verso il largo sino a 18 Mn (33,3 Km). Lo specchio d’acqua in cui ricadono gli aerogeneratori nelle diverse configurazioni proposte, ha una profondità compresa tra -15 e -43 m.
Gli aerogeneratori si dispongono lungo 3 archi che si protendono verso il largo. In «tutte le configurazioni proposte l’area di impianto è transitabile e aperta ad altri usi del mare».
L’energia prodotta verrebbe trasferita dagli aerogeneratori con cavi sottomarini interrati sino a una stazione elettrica su piattaforma marina (distante dalla costa 9,5 Mn – 17,6 km) in cui la tensione viene elevata da 66 kV a 380 kV.
«La transizione mare-terra del cavo avviene con la tecnica della perforazione teleguidata; il bypass parte in mare a 930 m dalla battigia e dopo un tracciato di 1,45 km il cavo riemerge su terra ferma a monte della ferrovia e della linea MetroMare, nello slargo compreso tra Viale Siracusa e il sottopasso di Via Portofino. Il cavo arriva in una buca giunti interrata dove avviene la congiunzione tra il cavo marino e quello terrestre. Il cavo 380 kV terrestre è interrato prevalentemente lungo viabilità esistente, e dopo un percorso di circa 11,6 km raggiunge la Stazione Utente prevista in progetto, prossima alla Stazione TERNA San Martino in Venti, esistente, ove è prevista la connessione alla Rete di Trasmissione Nazionale».
Dalla Stazione Utente, di dimensioni pari a 5600 mq, parte un breve tratto di linea aerea (circa 350 metri), sorretta da due tralicci, di collegamento con lo Stallo 380 kV.
Queste le informazioni essenziali che però danno subito l’idea dell’imponenza del progetto e del coinvolgimento di varie parti del territorio, oltre che del mare, occupato dalle pale, dalla rete elettrica che le collega, dalla piattaforma che ospita la stazione elettrica di trasformazione, dall’elettrodotto sottomarino.
Ma il grande interrogativo che accompagna l’opera è quello dell’impatto che queste pale eoliche potrebbero avere. Diciamo subito che secondo i promotori «in base agli studi effettuati il progetto non sembra arrecare impatti ambientali significativi di segno negativo né di lunga durata che possano comportare perturbazioni permanenti o effetti residui sul sistema ambientale di riferimento, che necessitano di essere riequilibrati da misure compensative; tuttavia il progetto prevede una serie di azioni di valorizzazione tese a rigenerare l’habitat marino, a favorire la ricerca scientifica, le attività didattiche, il turismo, la pesca artigianale e sportiva, l’acquacoltura, le tecnologie innovative (fotovoltaico galleggiante, idrogeno etc) e a implementare l’efficienza energetica di edifici e spazi pubblici».

La frittata ribaltata
Queste le conclusioni sintetiche, ma spulciando le carte, emergono elementi degni di nota.
Partiamo da quello più “caldo”. Viene spiegato che sono state studiate quattro ipotesi di layout, cioè di inserimento delle 51 pale. Ma su due è caduta la preferenza: il cosiddetto “layout a” e il “layout b”. Il primo è quello già ben noto perché se ne discusse parecchio già in fase di progetto preliminare, e si sviluppa entro le 12 Mn delle acque territoriali. Invece il “layout b” è quello che, detto brutalmente, ha fatto tesoro dei rilievi sull’eccessiva vicinanza alla costa, spostando le pale fino alle 18 Mn. A parere di Energia Wind 2020 quest’ultima «rappresenta la configurazione che meglio risponde a tutti i requisiti».
Anzitutto è «la proposta che occupa il minor campo visivo all’orizzonte da tutti i punti di vista», poi la stazione elettrica di transizione pur essendo identica in entrami i layout, nel caso “a” si trova in una posizione intermedia tra due archi, nel “b” posizionata di testa definendo il punto iniziale del parco.
Leggendo la vasta documentazione si ha l’impressione che domini la preoccupazione di fornire una comunicazione positiva, in grado di convincere anche i più riottosi. La selva di pale eoliche viene definita come «nuovo paesaggio marino di qualità sia per aspetti estetici che per le potenzialità intrinseche legate alle attività compatibili», capace di attrarre «nuove forme di interesse turistico». La frittata, come si suole dire, è stata ribaltata. Si è passati dalla prima nella quale il progetto è stato additato come devastante per la Riviera, ad una che indica nelle pale eoliche una svolta in positivo.

Dalla relazione “Paesaggio e studio di visibilità dell’impianto (parte seconda)”. Fra i numerosi documenti resi pubblici sul sito del ministero della Transizione Ecologica.

Pale visibili fino a 39 km
Nonostante tutto il proponente ammette che «il potenziale impatto visivo sul paesaggio della costa costituisce una delle principali criticità per lo sviluppo di impianti offshore». Si fa riferimento ad un importante studio: “Offhore Wind Turbine Visibility and Visual Impact Threshold Distances.” Sullivan, Kirchler, Cothen,Winters (2012), «realizzato attraverso l’osservazione diretta di 11 impianti costruiti, in diverse condizioni metereologiche ed ore del giorno». Attraverso questa indagine di progetti realizzati, «lo studio conclude che le distanze considerate abitualmente in relazione alle soglie di visibilità, risultano essere assolutamente sottostimate». Attenzione a cosa viene adesso: «I risultati hanno mostrato che gli impianti di piccole dimensioni e strutture modeste erano visibili ad occhio nudo a distanze superiori a 42 km (26 miglia Mn), con la turbina in movimento le pale sono risultate visibili fino a 39 km (24 Mn). Di notte, l’illuminazione per la sicurezza di navigazione aerea è visibile a distanze superiori a 39 km (24 Mn). Gli impianti eolici osservati sono stati giudicati come elementi importanti per l’attenzione visiva a distanze fino a 16 km (10 Mn), sono stati rilevati da osservatori casuali ad una distanza di quasi 29 km (18 Mn), sono risultati visibili concentrando la visualizzazione a distanze superiori a 40 km (25 Mn)». Quindi le distanze, anche quelle massime, di cui si discute a Rimini, non sono assolutamente in grado di scalfire il problema dell’impatto delle pale eoliche. Si vedranno bene. Soprattutto alzandosi anche poco dal livello del mare, ad esempio da Covignano, per non parlare di Gabicce monte e Monte San Bartolo.
Ed ecco un altro passaggio tratto dai documenti consultabili sul sito del ministero: «In considerazione di quanto riportato sopra, emerge che la completa non visibilità di un impianto eolico con fondazione fissa costituito da turbine di sempre maggiore dimensione, risulta una condizione non realizzabile nei nostri mari; per tale ragione gli aspetti che devono essere considerati per la valutazione paesaggistica di un progetto sono molteplici e richiedono un’accurata osservazione delle condizioni percettive e della composizione formale dell’impianto in relazione alla costa».
Ma, assicurano da Energia Wind 2020 (che si avvale per la valutazione di impatto ambientale di una schiera di esperti, docenti universitari eccetera), la trasformazione sarà in positivo. A conforto di questa tesi portano anche studi realizzati in paesi esteri, dove in alcuni casi le pale sorgono a distanza molto ravvicinata dalla costa, tra 1,5 e 3,5 chilometri, come a Middelgrunden (Copenaghen). In varie pagine si continua ad abusare dell’aggettivo “parco” (eolico), e quando si travisa sulle parole c’è poco da stare allegri. Ma andiamo avanti.

Le pale fanno girare il turismo
Grande rilievo viene dato a rassicurare. «I casi studio, oltre a entrare nel merito dei riflessi sul sistema turistico costiero, raccontano anche delle prese di posizione delle reazioni dei residenti e dei turisti che si sono avute prima, durante e dopo la realizzazione, e confermano che da un’iniziale diffidenza e ostilità si è passati nella maggior parte dei casi a considerare la presenza degli impianti eolici off-shore in maniera positiva e foriera di nuove forme di attrattività». E’ una leva utile fino ad un certo punto, perché mai bisognerebbe dimenticare che Rimini è Rimini ed è qui che le diffidenze vanno eventualmente fugate, ma, rimanendo sul pezzo.

Piattaforme in mare e pale eoliche
Altra rassicurazione: se si confronta l’impatto delle strutture di estrazione attualmente in mare  che distano circa 15 chilometri e che risultano ben visibili dalla costa, con le pale eoliche, queste ultime hanno la meglio: «Confrontando l’elemento aerogeneratore con le massicce strutture delle piattaforme, ormai assorbite nella comune percezione e non considerate più come elementi alieni, risulta che i nuovi elementi seppur di altezza notevole, sono esili, hanno un colore chiaro che confonde con lo sfondo e sono degli oggetti dinamici». Sarà. Un nota bene: Energia Wind 2020 prende in considerazione le storiche piattaforme anche per sottolineare che non abbiamo a che fare con un mare vergine ma «fortemente infrastrutturato in questo tratto».

Degrado
Energia Wind 2020 va anche in contropelo sul faccione della Riviera barricadera contro l’intrusione di elementi che ne deturperebbero l’ambiente. Parla, anzi scrive, senza mezzi termini quanto segue: «Probabilmente l’identità e la diversità del paesaggio in esame, per lo più fortemente antropizzato e privo di singolari emergenze legate alla conformazione geomorfologica o, ad eccezione del Monte san Bartolo, di particolare rilevanza naturalistica e ambientale, consiste proprio in questa densa stratificazione di attività umane che hanno lasciato in ogni epoca segni evidenti e riconoscibili». E poi: «Percorrendo i lungomare dei comuni costieri, gli stessi sono fiancheggiati senza soluzione di continuità da strutture alberghiere e da edifici e attrezzature a destinazione turistica e balneare, spesso di pessima qualità e per aspetti tipologici e architettonici simili a quelli tipici delle peggiori periferie urbane e comunque totalmente indifferenti rispetto alla natura dei luoghi e alla vicinanza del mare e delle spiagge».
La provocazione è forte perché, soprattutto leggendo il seguito, pare di capire che le pale eoliche potrebbero non peggiorare, ma solo migliorare lo scenario generale di una Riviera declinante: «E’ innegabile invece che l’impianto eolico potrebbe rappresentare un nuovo elemento identitario, il landmark di un territorio che utilizza le risorse naturali e rinnovabili disponibili e aderisce concretamente alle sfide ambientali della contemporaneità contribuendo alla riduzione delle emissioni di CO2 e alla lotta ai cambiamenti climatici».
Degradati anche i fondali, a causa della «intensa pratica della pesca a strascico».

Le norme vigenti
Dalla loro parte i promotori dispongono delle linee guida ministeriali e di quanto prescrivono i decreti: assegnano come limite visivo minimo da considerare per la verifica percettiva degli impianti eolici, però onshore, «un bacino visuale che abbia un raggio pari a 50 volte l’altezza degli aerogeneratori». Nel nostro caso «il raggio del buffer sarebbe tra 10,5 e 11 km dato che la turbina scelta varia in un range tra 210 e 220 metri». E aggiungono che «la visibilità degli aerogeneratori, come richiamato dalle stesse Linee guida del MIC, non può rappresentare di per sé una criticità, perché caratteristica insita in tale tipologia impiantistica; la valutazione qualitativa rispetto alla percezione visiva è fortemente condizionate da criteri di discrezionalità soggettiva e di percezione anche culturale rispetto al tema delle energie da fonti rinnovabili».

La fede nella transizione ecologica
La fede è fede. E c’è anche quella “green”. Ecco perché, secondo i promotori, occorre fare un atto di fede green: «Per quanto riguarda l’alterazione percettiva dell’orizzonte marino, occorre ricordare che la transizione energetica verso le fonti rinnovabili per essere attuata necessariamente deve comportare la presa d’atto che nuovi elementi caratterizzeranno i luoghi, sia in ambiente offshore che onshore; per la sua attuazione non è sufficiente sostenerla con forza dalla comunità internazionale e dallo Stato Italiano e considerarla un’azione strategica ormai ineludibile e non procrastinabile, senza considerare le modifiche che comporta». Basta, dunque, con il considerare questi impianti come «detrattori di valori paesaggistici». Essi sono invece «elementi necessari che contribuiscono a risolvere problemi epocali e allo stesso tempo a generare nuovi paesaggi». Fa un po’ venire i brividi questa sicumera ambientalista. Convertitevi, riminesi! Alla transizione ecologica, naturalmente. C’è anche il pistolotto sulla «generazione di Greta Thunberg» e sul «movimento planetario dei “Fridays for Future”, l’unico reale movimento di massa internazionale degli ultimi anni». E l’invito a prepararsi ad accogliere i nuovi turisti «di oggi e ancora di più di domani», quelli che scelgono una destinazione turistica in base al grado di fedeltà al movimento planetario di cui sopra. «Considerando le finalità precipue, ovvero produrre energia da fonti rinnovabili, il progetto in esame potrebbe rappresentare una sorta di manifesto della transizione energetica e dell’adesione del territorio e mettere in atto azioni virtuose finalizzate al contrasto ai cambiamenti climatici e alle emissioni in atmosfera di sostanze nocive e climalteranti.
E questo atteggiamento culturale avrebbe effetti positivi anche in termini di percezione complessiva dell’impianto, superando le opposizioni preconcette rispetto al fatto che la visibilità insita possa apportare detrazione di valori paesaggistici». E non è discrezionalità soggettiva questa?

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