L'ennesima prova di inefficienza. Inammissibile e grave quello che è successo, spiega l'ex parroco di Santarcangelo e attuale rettore del seminario regionale, «un sistema che si dice democratico, ma che dà frequentemente prova di inefficienza, o dove la percezione dei cittadini è di insicurezza e di scarsa tutela e cura da parte di chi gestisce il servizio pubblico statale, è un sistema che presenta un grave rischio di tenuta».
«Tecnodon», questo il nome del blog di don Andrea Turchini, pubblica oggi una strigliata di quelle toste anche se il titolo potrebbe sviare e far pensare ad una riflessione più generica: «Democrazia ed efficienza».
Don Turchini ha ricoperto numerosi incarichi in Diocesi, fino a poco tempo fa è stato parroco di Santarcangelo, attualmente è rettore del pontificio seminario regionale di Bologna (che il 10 dicembre festeggia il 101° anniversario di fondazione) e molto lanciato nella Chiesa «degli ultimi» sotto il pontificato di papa Francesco, tanto che negli ambienti ecclesiali la sua chiamata a Bologna viene letta come il trampolino di lancio verso il ministero episcopale, ma si tratta solo di rumors.
Cosa scrive don Turchini?
«E’ grave!
Anche se in Italia non ci si scandalizza più di tanto, perché – purtroppo – ci siamo abituati, questo non diminuisce la sua gravità. Con l’operazione “Cashback” il servizio pubblico ha fallito l’ennesima prova di efficienza.
Ripeto: è grave!
Si può giustamente attribuire la colpa al governo di turno, ma è evidente a tutti che l’equazione che equipara servizio pubblico con inefficienza è consolidata».
Naturalmente si sta parlando della invenzione del governo Conte per incentivare l’utilizzo dei pagamenti elettronici, che al debutto è stata da molti definita un fallimento grazie ai disservizi dell’applicazione “IO” andata subito in tilt.
Non si tratta solo di una figuraccia, ma di una pessima prova di democrazia, spiega il “don”: «Chi vive in un sistema democratico deve vivere l’esperienza che tale sistema sia conveniente, che risponda in modo efficiente alle sue esigenze; si deve sentire custodito a fronte della sua fragilità perché il bene comune è davvero tutelato, e tutto ciò che lo riguarda personalmente viene compreso nella cura del bene comune.
Un sistema che si dice democratico, ma che dà frequentemente prova di inefficienza, o dove la percezione dei cittadini è di insicurezza e di scarsa tutela e cura da parte di chi gestisce il servizio pubblico statale, è un sistema che presenta un grave rischio di tenuta. Non si può continuamente provocare delusione, frustrazione, senso di sfiducia e poi pensare che i cittadini siano corresponsabili rispetto alla difesa del bene comune. Per questo è grave!»
Va giù pari don Turchini: «Quest’ultima prova di inefficienza rispetto ad un progetto promosso direttamente dal Governo del Paese per combattere l’evasione fiscale, incentivare il commercio di prossimità e venire incontro – seppure simbolicamente – alle difficoltà delle famiglie è tanto più grave quanto più esso si presenta come un’innovazione, come qualcosa che facilita, come la risposta semplice a problemi importanti. Non è ammissibile che in un progetto nuovo, in cui si investono risorse umane ed economiche si fallisca così miseramente (per l’ennesima volta)».
Non è una bocciatura su tutta la linea, però, perché don Turchini salva i «tanti esempi di buona efficienza nelle cose dello Stato sia nel campo della sanità, come della scuola, della pubblica amministrazione e della cura della fragilità…». Merito non tanto delle strutture pubbliche in quanto tali, quanto piuttosto delle «singole persone che si impegnano oltre il dovuto, impiegando energie e tempo oltre il loro orario di lavoro, per consentire alle cose di funzionare a beneficio di tutti» e che vanno ringraziate, conclude. Un sistema funziona, conclude, «solo se le persone si coinvolgono personalmente e fanno del loro meglio perché il servizio risulti davvero efficiente. Mi piacerebbe che l’impegno di queste persone fosse riconosciuto, non tanto in termini economici, ma come un contributo essenziale al bene comune, che esse rappresentino non l’eccezione, ma il modello che consente a ciò che è pubblico e statale di essere davvero un servizio efficiente per tutti. Allora anche la nostra democrazia sarà un po’ più al sicuro». Toni che don Turchini non ha forse mai utilizzato nei confronti della politica che gestisce le istituzioni pubbliche, men che meno di quella locale e regionale, anche quando non sono mancate le occasioni. Dal nuovo incarico si sente forse più libero di tirare le orecchie ai politici. Anche quelle di un presidente del Consiglio amato a Santa Marta? Se lo ha fatto, avrà anche calcolato il «rinculo».
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