Il “Pandulfino” viene al mondo alle ore 15 del 19 giugno 1417. Sì, ma in quale luogo e dentro quali mura? Lo scopriamo in questo viaggio nel cuore malatestiano della città che può raccontare molto del signore di Rimini. Da quando Pandolfo III... Lanciamo "un ponte" con Brescia, che potrebbe rivelarsi ricco di scambi e approfondimenti.
Come scrisse pochi anni fa Oreste Delucca, nella sua monografia su Sigismondo, forse il più riminese fra i Malatesta, “controverso eroe”, non è nato a Rimini. La cosa è ben nota fra gli attenti appassionati d’arte e storia, ma più a Rimini che nella sua città natale, Brescia, che lo ha quasi del tutto dimenticato.
La città lombarda non ha dedicato nulla, nemmeno una breve via, o una piccola stanza, a qualcuno fra i personaggi malatestiani che si sono resi protagonisti della sua storia (una decina!). Città ingrata, distratta dal lavoro, almeno fino a pochi anni fa.
Eppure il palazzo di Sigismondo, o meglio, il palazzo di suo padre Pandolfo III, è sempre stato lì, grande, possente, quasi integro, dal XV secolo ad oggi.
Andiamo per gradi, ma subito al sodo della questione.
Quando Pandolfo III Malatesta entrò a Brescia era il primo maggio del 1404. La città, già dal 1402 nell’orbita malatestiana di Carlo e Pandolfo, era protetta da un complesso sistema di mura e partizioni, rocche e fossati. Nel mezzo, aveva un’area rettangolare fortificata di circa 150 per 300 metri: la “cittadella nuova” dei Visconti. Il suo perimetro, ancora oggi riconoscibile, racchiudeva i luoghi del potere, politico e religioso. C’erano le due cattedrali con il battistero, le case dei canonici, alcune altre piccole chiese, porte difese da rocche e, soprattutto, il palazzo Broletto, del XII/XIII secolo, con la sua alta torre campanaria. A nord, sul colle, la “rocca grande” che è l’attuale Castello.
Il Broletto era costituito da due corpi disposti a L: il Palatium Novus Majus, a sud, e il Palatium Novus Minus, a est. A nord, una lunga muraglia lo separava da un’area che era stata demolita circa un secolo prima dal vescovo e signore Berardo Maggi, per fare spazio ad un ampliamento probabilmente iniziato, ma mai concluso.
Per questo il lato ovest ha oggi, visibilmente, una doppia natura. Qualcuno lo dice corpo aggiunto da Berardo Maggi a inizio Trecento, altri leggono il pianterreno in pietra come opera trecentesca e il piano primo, in mattoni, d’epoca malatestiana, vista anche la continuità muraria del laterizio con l’attigua chiesa eretta dal signor Pandolfo.
Il Malatesta avviò da subito lavori di ristrutturazione e nuova edificazione, andando ad abitare, fino al 1407, in ambienti del vescovato. Ma quando il signore entrò nel nuovo palazzo, la corte nuova non era ancora conclusa. Nei registri di Fano si ritrovano infatti spese per lavori di edilizia almeno fino al 1414, con indicato, fra altri nomi, il magister ingegnere Lorenzo Donati da Milano. Dopotutto, anche Milano, almeno fino al 1412, era a guida malatestiana. Non era quindi difficile per i Malatesta attingere alle maestranze attive nella fabbrica del duomo milanese, e viceversa.
Sarebbe però riduttivo immaginare un solo cantiere diretto da un’unica mano. Va infatti sottolineata la partecipazione di tutta la famiglia alla costruzione della corte di una città strategica, di fondamentale importanza, con i fratelli Carlo e Pandolfo III a guidare l’impresa, aiutati anche dal fratello Andrea e dal cugino Malatesta dei Sonetti. Se vogliamo capire, dal punto di vista architettonico e artistico, il palazzo bresciano, dobbiamo quindi necessariamente rivolgere lo sguardo alla Romagna e alle Marche, oltre che a Milano/Pavia e Venezia…
Fatto sta che, tra le mura del Broletto, nacquero ben tre figli dell’illustre casato: Galeotto Roberto, Sigismondo Pandolfo e Domenico Novello.
Lo sanno bene i riminesi. Il loro famoso Sigismondo venne alla luce alle 15:00 del 19 giugno 1417. Ma esattamente dove?
E cosa resta oggi di quel grande palazzo, in cittadella nuova?
Quasi del tutto integro dove Pandolfo III lo fece erigere, è ancor oggi ciò che il signore di Brescia volle costruire. Addirittura, nonostante i veneziani nel 1692 abbiano abraso epigrafi e stemmi e, ancora, siano stati cancellati i simboli del passato in epoca napoleonica, campeggia su uno degli archi del cortile principale uno stemma con le sue iniziali: P e M.
Quindi, per chi visitasse oggi Brescia, non sarà difficile, almeno esternamente, apprezzare il palazzo dove nacque il “Pandulfino”, futuro signore di Rimini. Basterà recarsi in piazza del Duomo, o piazza Paolo VI, corrispondente al cuore dell’antica cittadella nuova, e dirigersi nel suo angolo nord-est, dove svetta il campanile, detto Pegol.
La struttura del Broletto presenta lungo il perimetro, per tre lati, gli ornamentali archetti pensili in cotto che possiamo vedere, pressoché identici, a Fano, nel palazzo dello stesso Pandolfo III.
Partendo da ovest, possiamo ancora riconoscere il muro che segnava il confine nord dell’antico Broletto e quindi ammirare la splendida facciata di Sant’Agostino.
La chiesa è inequivocabile opera dei Malatesta, con dettagli sempre rintracciabili a Fano, dove evidentemente il cantiere procedeva in parallelo, o in continuità, negli anni appena seguenti. Piccolo gioiello in cotto, è stata eretta nel sito dove Berardo Maggi aveva fatto demolire una precedente cappella del XII secolo. Il suo rosone è il più bello della città, modanato come un merletto. Trinitarie sono le tre finestre a sesto acuto, disposte attorno al rosone. L’ingresso, con tre stemmi abrasi, era sovrastato da una lunetta dipinta, oggi di difficile lettura (ma non impossibile!). In alto, il camminamento di ronda ancora percorribile, era arricchito da epigrafi celebrative o stemmi. Sporgono, prepotenti, due doccioni leonini.
Che sia stato battezzato qui il piccolo condottiero? Difficile dirlo, ma pare poco probabile, visto che a pochi passi c’erano le cattedrali con l’antico battistero, o chiesa di San Giovanni Battista. Sant’Agostino, forse, era piuttosto la cappella musicale, dedicata al canto e al suono dei molti musici di corte. Nel retro della chiesa, collegata da una rampa di scale laterale, c’era la “cappella di palazzo”, meravigliosamente affrescata da Gentile da Fabriano, nel 1417 quasi ultimata.
Dell’interno di Sant’Agostino resta poco da vedere, ribassato in altezza e accorciato in profondità. Una sola campata dell’aula unica è visitabile, sempre che si sia così fortunati da trovare la porta aperta. Al piano di sopra ha trovato posto l’aula consigliare della Provincia.
Anche la scala, o tresandello, che conduceva alla cappella di Gentile è ancora lì, tra la chiesa e l’antica muraglia, adibita a vano tecnico e interrotta da un ascensore installato di recente per la moglie del prefetto, direttamente nelle mura medievali. Sì, perché oggi il palazzo ospita la Prefettura, e gli uffici della Provincia di Brescia.
Proseguendo all’esterno, girato l’angolo nord-ovest, si percorrerà un tratto di via Musei, passando sotto una torre malatestiana. Quella oggi visibile è però una ricostruzione postbellica, visto che una bomba la centrò in pieno il 13 luglio 1944, quando non era già, comunque, opera originale.
Percorrendo la via bisogna pensare che anche l’edificio sulla sinistra, ovvero a nord, che oggi al primo piano ospita l’appartamento del prefetto, fa parte delle opere edili di Pandolfo III, o almeno di un suo intervento di ristrutturazione su preesistenze di Bernabò Visconti. Nel giardino privato del prefetto, inaccessibile, è ben conservata una porta malatestiana, con le stesse decorazioni in cotto presenti nella facciata di Sant’Agostino.
Girando poi l’angolo nord-est, si potrà vedere un tratto del fossato e, in alto, si scorgerà il profilo del tetto come fosse incompiuto, con gli archetti pensili trilobati malatestiani che si spengono nel raccordo con il Palatius Novus Majus.
Questo per quanto riguarda il perimetro. Ma entriamo.
Il cortile grande è delimitato a est e a sud, come detto, dalle due parti più antiche di palazzo Broletto. Sotto il palazzo Novus Minus, quello a est, ci sono però archi costolonati dell’epoca di Pandolfo III, che li aveva fatti erigere in sostituzione di un soffitto a travi lignee. Sull’arco centrale, verso il cortile, ecco la sua targa con le iniziali, per chi aguzza la vista.
La parte migliore, ancora ben conservata anche grazie ad un restauro relativamente recente, è la “curia nuova”, il secondo cortile, quello interno all’ala malatestiana.
Vi si accede dal cortile principale solo se si ha il coraggio di farlo, e con un pizzico di fortuna. Astenersi quindi turisti stranieri con difficoltà linguistica, passanti occasionali e persone timide e rinunciatarie.
Bisogna rivolgersi a nord, dove nel 1610 è stata aggiunta una facciata porticata, facilmente individuabile per i suoi mascheroni barocchi e per la scritta “palazzo del governo”. Nel mezzo vi è un passaggio chiuso da cancello elettrico. Si deve quindi entrare nella guardiola della polizia, alla destra del cancello. Si dica con disperazione: “sono un turista!”. Si chieda poi di poter vedere, un attimo, la loggia malatestiana. Probabilmente, se si incontrerà una persona gentile, si sentirà la risposta “il portico” e verrà chiesto di depositare un documento. Così, fuori da una porta secondaria verrà aperto il secondo cancello elettrico e ci si troverà nella Curia Nova di Pandolfo III. Missione compiuta. Si è nel cuore della signoria di Pandolfo III. Qui nacque il famoso Sigismondo Malatesta.
La loggia occupa tutto il lato est, per una lunghezza di circa 20 metri, con quattro archi a sesto acuto tipicamente tardogotici, ornati da rose quadripetale.
La somiglianza con la loggia del palazzo malatestiano di Fano è evidente.
Se vi vorrete avvicinare, andando sotto le arcate, dovrete superare il terzo cancello. Siate temerari! Lo troverete in fondo alla cancellata. La struttura merita infatti uno sguardo ravvicinato. Solo così vi accorgerete che vi sono leoni scolpiti che reggono gli archi (il leone è simbolo di Brescia) e ben sedici peducci antropomorfi, maschili e femminili, che non sono altro che i ritratti di corte. In chiave agli archi, le immancabili rose quadripetale, ben note anche a Rimini, come simbolo del casato.
In alto corrono, sotto gronda, foglie in cotto internamente trilobate, sempre corrispondenti a quelle che ornano finestre del palazzo di Fano.
All’interno, purtroppo, resta ben poco da vedere. Ma si tratta comunque di prelibatezze per intenditori. Salendo l’ampio scalone elicoidale, la cui costruzione ad opera di Leopoldo Pollack, ha nel 1803 decretato la fine (o quasi) della cappella di Gentile da Fabriano, si giunge nell’anticamera della Prefettura che è proprio dove si trovava il capolavoro affrescato. Solo un occhio attento, scorge in alto, nell’angolo sud-ovest, splendidi panneggi e gambe di soldati dormienti. È l’unica parte rimasta, sotto il solaio, di una resurrezione di Cristo del maestro fabrianese. Altri brani del prezioso ciclo “perduto” sono nel sottotetto, preclusi a noi mortali.
Avanti, dopo una seconda anticamera, entrando a sinistra nella sala riunioni del Prefetto, in sua assenza, si ammireranno stemmi malatestiani affrescati. Un campionario completo: cimiero con elefante, bande scaccate, tre “maleteste”, rose quadripetale di resa botanica.
La visita agli ambienti dove vide la luce il piccolo signore di Rimini si può dire conclusa.
Ma tanto fecero i Malatesta in Brescia, durante quei vent’anni di governo, tra il 1402 e il 1421, che il centro storico è costellato di diverse altre opere a loro imputabili. Chissà che oggi, a distanza di seicento anni, non si possano riscoprire e rivalutare, gettando un ponte con Rimini, nella consapevolezza di aver avuto un glorioso passato comune, di città dei Malatesta.
Riferimenti bibliografici:
Battistelli Franco e Diotallevi Daniele, Il palazzo malatestiano di Fano, Cassa di Risparmio di Fano, Fano 1982;
Bonfiglio-Dosio Giorgetta e Falcioni Anna (a cura di), La signoria di Pandolfo III Malatesti a Brescia, Bergamo e Lecco, Bruno Ghigi Editore, Rimini 2000;
Delucca Oreste, Sigismondo Pandolfo Malatesta controverso eroe, Bookstones, Rimini 2016;
Chittolini-Conti-Covini (eds.), Nell’età di Pandolfo Malatesta, Morcelliana, Brescia 2012;
Galli Raffaele Piero, Brescia Malatestiana, serviziculturali.it, Brescia 2018;
Lonati Riccardo, Chiese di Brescia, Edizione fuori commercio, Brescia 1989-1993;
Tabanelli Mario, Pandolfo III Malatesta, Zanetti Editore, Brescia 1978;
Treccani degli Alfieri Giovanni, Storia di Brescia, Morcelliana, Brescia 1963;
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Zonghi Aurelio, Repertorio dell’antico Archivio Comunale di Fano, Tipografia Sonciniana, Fano 1888.
Fotografia d’apertura: la loggia malatestiana nella Curia Nova.
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