Ecco il “purosangue” all’origine della Fontana dei Quattro Cavalli

Ecco il “purosangue” all’origine della Fontana dei Quattro Cavalli

Nel 1928 Filogenio Fabbri realizza la testa del cavallo che servirà come "prova" per poi costruire l'intera Fontana dei Quattro Cavalli. Quel lavoro è ancora a Rimini e ve lo mostriamo. Insieme alle ricerche sulla paternità dell'opera e i materiali di costruzione. Ma vi facciamo vedere anche il dipinto di De Pisis, poco conosciuto, sulla stessa Fontana.

A proposito di cavalli: nell’assolato settembre romano, Piero e Raimondo D’Inzeo vincono rispettivamente la medaglia d’argento e quella d’oro al Gran Premio di Salto Ostacoli alle Olimpiadi di “Roma 1960”. La memorabile telecronaca è di Sergio Giubilo. Un’apoteosi. Roba da piangere.
A Rimini, nello stesso giorno, due fratelli per nulla famosi, ma non meno affascinati dal mondo equino, sono pure loro alle prese con un purosangue.
Ritto sulle punte dei piedi e artigliato alla stoffa del suo giacchetto, guardo angosciato mio fratello, di cinque anni maggiore, mettere una mano in bocca al cavallo per poi ritrarla, come un prestigiatore, all’interno della manica. Egli mi mostra che l’arto non c’è più: sparito, mangiato.
Il gioco è inoffensivo e molto divertente, per lui, ma non per me che, se prima ero timoroso, sono ora atterrito dalla cruenta e spaventevole magia. Dove sarà mai finita la mano sinistra di mio fratello? Rispunterà? E’ pure mancino…
Contrariamente ai miei timori di bimbo, la testa di cavallo in solido cemento non può nuocere a nessuno, anzi, è stata sistemata là per abbellire quell’angolo tra viale Tripoli e vicolo San Gregorio. La statua, pur essendo all’interno della ditta Benzi, sporge sul marciapiede e qualsiasi passante, se vuole, può toccarla. Vorrei raccontare la sua storia ai pochi riminesi che non la conoscessero (nel computo ci vedo rientrare i meno vessati dall’anagrafe) anche per risvegliare ricordi a tanti ex bambini che come me hanno guardato e toccato con reverente rispetto e forse rivisto nei sogni, quel cavallo dallo sguardo severo, forte e imponente che ci fissava dall’alto.
Rammento che, grazie alla fantasia che compete all’infanzia, lo associo al purosangue arabo dell’eroico Ivanohe (l’attore Roger Moore), serie televisiva all’epoca in auge tra i giovani spettatori della TV dei Ragazzi, tratta da un romanzo del baronetto scozzese Sir Walter Scott (1771-1832). Per i nostalgici del genere, questa la sigla originale.

La testa cementizia di viale Tripoli non ha nulla a che vedere con il destriero televisivo: è identica a quelle dei Quattro Cavalli della Fontana che nel 1928 fu sistemata nel Parco dell’Indipendenza (oggi Parco Federico Fellini) a monte del Kursaal, lo Stabilimento Balneare famoso nel mondo, quando Rimini era a pieno titolo una vera regina del firmamento turistico.

In merito alla quinta “criniera” in oggetto, le mie informazioni sono perlopiù rare e scarne. Non ho chissà quali velleità storico-investigative, tuttavia vorrei conoscere qualcosa in più su quel cavallo per me affettivamente molto importante. Ogni volta che si andava a trovare nostra nonna in viale Tripoli, la tappa dallo “scultoreo amico” era d’obbligo.
Comincio a raccogliere elementi utili alla ricerca che intendo intraprendere. Parto dalle ultime tracce del destriero il cui “stallo” è ancora nella stessa strada, ma a una cinquantina di metri più verso il mare, nel giardino dei proprietari del cavallo, i Signori Benzi, con i quali prendo appuntamento. In un piovoso pomeriggio, suono il campanello e un istante dopo, fatto un passo dentro il giardino, lo vedo lì sulla sinistra, a un metro da me, gagliardo come lo ricordavo, ben piantato sul pilastro che lo regge. L’emozione è grande. Io sono inesorabilmente invecchiato, mentre in lui quasi non si avverte l’offesa del tempo: giusto qualche crepa insignificante, non un crine di meno, solo una minuscola scheggiatura a un orecchio e sottili tracce di muschio sparse qua e là. E’ in forma. La prossima volta, vorrei rinascere fatto di cemento (magari in un mondo senza piccioni).

L’avvocato Giovanni Benzi mi illustra sinteticamente la vita dell’ex ditta di famiglia (rivendita di materiale edile e costruzioni) al cui angolo troneggiava la testa equina divenuta con il tempo una sorta di simbolo dell’azienda.
Mi parla del fondatore dell’impresa (il nonno Manlio), del proprio padre Franco e degli zii Italo, Antonio e Cesare.
I ricordi personali del legale si intrecciano con quelli riportatigli negli anni dai parenti sicché la conversazione mi stimola a domande articolate. Non tutte possono avere risposta perché i novant’anni che ci separano dall’attualità, talvolta attenuano la certezza di alcuni avvenimenti, talaltra ne rendono poco decifrabile la scansione temporale. Di sicuro, come afferma il mio interlocutore, lo scultore che ha creato la testa di cavallo del giardino lo ha fatto come esercizio di prova e certamente la Fontana dei Quattro Cavalli è stata realizzata proprio nell’area “Benzi”, in fondo a viale Tripoli, sulla destra. Nello stesso punto, attualmente insistono una farmacia e una banca.
Quando esco dallo studio, scatto qualche foto alla statua e in particolare alla targa di bronzo sul cippo di sostegno che recita: “STUDIO PRELIMINARE – DI FILOGENIO FABBRI – ESEGUITO NEL 1928 – NEI LOCALI DELLA DITTA BENZI – PER I CAVALLI DELLA FONTANA – RICOMPOSTA NEL 1983 – NEL PARCO INDIPENDENZA”.

La placca è stata fatta incidere da Antonio, colui che dei quattro figli di Manlio rimane a condurre l’azienda fino agli anni ’90, quando cede sia l’attività che i locali. Dal tenore dell’incisione si ricava che Filogenio realizza quella singola testa come test per poi costruire l’intera fontana dei cavalli presso la ditta Benzi come mi è stato spiegato poco prima. Ma qualcosa non mi torna. La gentile e competente Dottoressa Michela Cesarini, storica dell’arte e studiosa delle opere dello scultore, mi assicura che nel 1928 l’artista ha bottega certamente in Viale Tripoli (allora il civico è il 52). E’ un dato incontrovertibile e non vede perché Fabbri avrebbe dovuto lavorare alla fontana presso altri, quando egli aveva un laboratorio tutto suo. E’ giusto.
Viale Tripoli è lungo e nulla vieta che possano coesistere due o più laboratori che trattano e lavorano il cemento, ma comincio a pensare che le due attività siano state esercitate nello stesso luogo in tempi diversi. Voglio togliermi subito il dubbio: vado all’Archivio di Stato di Rimini e supportato da impiegati tanto avvezzi a trasportare pesanti faldoni quanto disponibili ad aiutarmi, ho la certezza documentale che il Fabbri svolge la propria attività al civico 52 di viale Tripoli almeno fino al 1937, mentre i Benzi acquistano locali e azienda non prima del 1940. Dunque, è vero che lo studio della testa equina è realizzata nei locali (che diventeranno) dei Benzi e forse la statua è stata ricevuta in dono oppure ereditata insieme con gli arredi e gli utensìli dalla precedente gestione. Il luogo è il medesimo mentre differente è la scansione temporale.

Risolto il primo problema, passo all’interrogativo seguente.
Chi ha disegnato la singola “criniera” di prova e di conseguenza la fontana dei quattro cavalli? Da Filogenio stesso (a buona ragione abile anche con la matita) come sostengono alcuni, oppure dall’architetto Rastelli, come indicato da altri? Conosco personalmente chi può aiutami a risolvere questo enigma.
Quando incontro Gaspare Rastelli, alla mia domanda in merito all’attribuzione del progetto, risponde che in famiglia ha sempre sentito dire che l’opera è stata disegnata dal nonno paterno. L’illustre architetto Gaspare Rastelli (1867-1943), del resto, è autore di molteplici progetti, costruzioni e ristrutturazioni. Sue sono la sala Ressi del Teatro Galli, la realizzazione del Palazzo delle Poste a San Marino, quella di Villa Fiorita a Rimini, il rifacimento della Torre dell’Orologio di piazza Giulio Cesare (ora Tre Martiri), il neo-rinascimentale Palazzo delle Poste e molte altre che per brevità non sto a citare. Nonostante non metta in dubbio le affermazioni del nipote, faccio qualche ricerca presso il prezioso scrigno storico-culturale di Rimini, nonché impagabile luogo di silenzio: la Biblioteca Gambalunga. Mi portano in visione due riviste del 1928. Sono grandi quasi come tovaglie. Sul settimanale il Popolo di Romagna, sabato 7 luglio del 1928 compare un trafiletto in cui si descrive lo splendore della vasca e si asserisce che “Quest’opera, su disegno di un valente architetto (il probabile riferimento è a G. Rastelli, ndr) è stata costruita dal cementista F. Fabbri… ”. I ruoli dei due autori vengono pertanto perfettamente distinti. Nessun dubbio che il disegno sia di un architetto. Manca solo il nome.

Sul periodico RIMINI – La più bella spiaggia del mondo, del 15 luglio dello stesso anno, compare un’immagine (foto Bianzeno) della fontana la cui didascalia recita:
“La bella fontana nel parco a monte del Kursaal modellata da F. Fabbri su disegno di G. Rastelli”.

Il progetto dell’opera è attribuito da attendibili fonti giornalistiche all’architetto Rastelli: ha pertanto ragione l’amico Gaspare e peccato che i disegni, con ogni probabilità, siano andati distrutti dai bombardamenti della seconda guerra mondiale.

L’ultimo quesito a cui vorrei dare risposta è di ordine squisitamente tecnico, rivolto all’uso dei materiali di costruzione utilizzati per realizzare, non tanto la singola testa di prova, quanto piuttosto l’intera composizione della fontana del parco Fellini.
E’ risaputo che lo scultore e cementista Filogenio Fabbri (1880-1940) è figlio di Mauro; questi, con i fratelli Davide e Luigi sono titolari della celebre e storica fornace riminese. Per inciso, nel 2007 viene organizzata la mostra “C’era una volta la Fornace Fabbri” di cui si trova ampia documentazione in internet. Un Compact Disc con interviste e filmati dell’evento lo si può invece chiedere in visione presso la Biblioteca Gambalunga.
Vi troverete all’interno interviste, descrizioni e ricostruzioni molto interessanti di quel negletto patrimonio storico.
Nel fabbricato ad uso laboratorio per lavori in cemento, Filogenio crea i modelli e realizza gli stampi dei cavalli nei quali viene colato l’elemento di costruzione; che tipo di materiale cementizio usa?
Scopro casualmente che potrebbe trattarsi di una particolare composizione molto in voga in quel periodo.
Una conoscente, appassionata d’arte, dopo che vede una foto da me scattata a un balconcino del 1932 sorretto da due colonne, mi dice che l’opera (o almeno parte di essa) è stata sicuramente realizzata in “litocemento”. Non ho mai sentito parlare di tale materiale, sono ignorante in materia sicché mi documento sul web; approdo quasi immediatamente a un risultato. Scarico un “pdf” che è parte della tesi di laurea dell’architetto Luca Rocchi, attualmente Docente incaricato presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara. Nel 2007 egli sostiene la tesi in dottorato di ricerca in “Tecnologia dell’Architettura” dal titolo: La pietra artificiale nell’architettura del “ventennio fascista”. Un capitolo della relazione tratta proprio del versatile elemento plastico. Se qualcuno intendesse addentrarsi maggiormente nella materia può farlo presso questo indirizzo web.
Se invece vi accontentate di due mie scarne parole di descrizione, posso dire che si tratta di una valida imitazione della pietra, materiale costoso e difficile da lavorare. Per pervenire al “surrogato”, si mescola il cemento con altri materiali polverizzati e pigmenti amalgamati in modo da ottenere un composto esteticamente molto efficace, simile alla pietra. Giova considerare che il prodotto ottenuto è facile da modellare e, particolare non trascurabile, estremamente più economico rispetto alla materia lapidea.
Apprendo che nella prima metà del ‘900 si è fatto largo uso di questo conveniente materiale e mi domando se non sia stato utilizzato anche dal Fabbri per realizzare la fontana equestre. Dalla “miniera internet” rimedio il numero di telefono del Dottor Rocchi che con grande generosità acconsente di valutare il mio quesito. Gli mando qualche immagine del “mio” cavallo e anche della fontana, ma l’esperto sostiene che dalle fotografie non è in grado di stabilirlo con esattezza: dovrebbe analizzare i manufatti di persona, ma non può escludere a priori la possibilità da me ventilata. Anche l’architetto Nicola Bastianelli del Comune di Rimini condivide subito il desiderio di capire se la fontana del cui staff di restauro ha fatto parte nel 2009, sia del succitato materiale.

In questa foto e in quella sotto, gentilmente concesseci dell’arch. Nicola Bastianelli, due momenti del restauro della Fontana dei Quattro Cavalli svolto nel 2009

Il professionista mi mette in contatto con il restauratore-capo dell’epoca, il Professor Enrico Ravegnani, ora impegnato a organizzare eventi culturali in qualità di orgoglioso proprietario del duecentesco Palazzo della Racchetta di Ferrara. Egli mi accoglie con la proverbiale, simpatica bonomìa emiliana. Ricorda che nove anni fa ha effettuato un restauro conservativo mirato principalmente a due zampe dei cavalli e alle canne delle narici intasate dal calcare. Se la fontana sia di litocemento non ne ha idea, ma il materiale cementizio usato, sostiene essere di ottima qualità. Su questo non ha dubbi, ma io rimango con i miei.

Adesso non ho più nessuno a cui chiedere lumi (a meno che qualche lettore, esperto di litocemento, non si faccia avanti) perché le altre due persone che avrebbero potuto dare la propria opinione riguardo al mio quesito, Ugo Stentorei e Antonio Canini, non ci sono più. Nel 1983, il primo restaura i cavalli e la vasca più piccola che li sovrasta, mentre il secondo, cementista di grande esperienza, costruisce quella più grande al cui interno è sistemata l’opera di Filogenio Fabbri.
E’ utile accennare al titanico lavoro posto in essere dall’impareggiabile Umberto Bartolani e da Fausta Fabbri, figlia di Filogenio. Nel 1954 la vasca grande viene distrutta mentre i cavalli e quella più piccola sono smontati e consegnati all’oblio, nel parco Marecchia. La felice trovata segue di soli sei anni quella ancor più geniale che ha raso al suolo il Kursaal. Una volta ancora, la forza del piccone trascende quella della ragione.
Soltanto nel 1983 la bella Fontana torna dov’era grazie alle battaglie dei due irriducibili combattenti a cui va il plauso e la riconoscenza dei riminesi.
Al termine del mio avvincente viaggio, non mi resta che tornare a rivedere il mio eroe e ringraziare l’avvocato Benzi che mi ha dato i primi spunti per partire con l’indagine sul cavallo di viale Tripoli. Congedandomi, restiamo intesi di fornirci reciproche “equine novità”, se mai dovessero essercene.
Mentre esco dalla casa del legale, la fronte rivolta alla strada e la mente zeppa di ricordi vertiginosi e lontani, dedico di sottecchi un ultimo sguardo al mio statuario amico d’infanzia, poi mi tiro dietro il cancello di casa Benzi, ma mentre varco l’uscita… sento levarsi, alto e improvviso, un nitrito… !

Anche De Pisis mise gli occhi sulla Fontana
Il Professor Pier Giorgio Pasini, la cui notorietà e i cui saggi rendono superflua qualsiasi presentazione, in due diversi libri fa riferimento a un bel quadro della Fontana dei Cavalli di Filippo de Pisis (1896-1956). Incuriosito, telefono subito al professore che molto gentilmente mi indica dove cercare l’immagine di quel dipinto. Una compare nella pubblicazione “Città come Storia” volume 1°; Autori: Giorgio Conti, Piergiorgio Pasini – (Giusti Editore, 1982) mentre l’altra è nel Catalogo Generale di De Pisis (2 volumi in visione presso la Biblioteca Gambalunga) curato dallo storico dell’arte Giuliano Briganti (1918 -1992). Entrambe le fotografie sono in bianco e nero. Vorrei tanto vederla (e mostrarla ai lettori) con i colori originali. Spero che compaia nel catalogo della mostra del pittore tenuta a Verona nel 1969 e curata dal Dottor Licisco Magagnato (1921-1987), eccelso personaggio della cultura italiana, allora direttore dei Musei Civici di Verona. Dopo varie telefonate e accertamenti, mi devo arrendere: purtroppo anche in quel catalogo il quadro non è a colori. Dobbiamo accontentarci e lavorare di immaginazione. Ecco il dipinto…

Tutte le persone che ho incontrato o contattato per le mie ricerche si sono dimostrate di grande gentilezza e rara disponibilità; hanno fatto di tutto per aiutarmi a trovare i documenti che cercavo e che ho consultato. Le voglio accomunare nel ringraziamento che intendo qui rivolgere a tutte loro, a partire dalla preziosa e sempre cortese assistenza del personale della Biblioteca Gambalunga.

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