Alcuni giorni fa Michele Serra, su Repubblica, ha scritto un articolo in cui esprimeva tutto il suo “… irrimediabile sgomento di fronte alle liste civ
Alcuni giorni fa Michele Serra, su Repubblica, ha scritto un articolo in cui esprimeva tutto il suo “… irrimediabile sgomento di fronte alle liste civetta, quelle che cercano di abbindolare elettori molto anziani o molto tonti.”
Per proseguire poi:
“Lo sgomento discende da un movente per me incomprensibile. Goliardia? Dadaismo? Truffa? Esibizionismo? Cosa può spingere uno o più esseri umani a qualificarsi da soli, inequivocabilmente, come pubblici estorsori di consensi, per giunta ai danni dei più sprovveduti? Va bene che ci sono concorsi per nasi alla Cyrano, divoratori d’anguria, ruttatori ed esiste insomma una ricca casistica di persone che per ansia di fama sarebbero disposte a qualunque genere di umiliazioni. Ma una lista civetta, perché?”
Nessuno, a quanto mi risulta, di fronte all’articolo di Serra (forse perché era su Repubblica) ha ricevuto tante reazioni quante ne ho avute io, che ho detto le stesse cose in riferimento alla situazione locale.
Soprattutto per quanto riguarda il rigurgito di liste Gnassicentriche che oltretutto, a quanto pare, non serviranno a niente.
Tranne per gli interessi privati in atti d’inciucio di chi (politichesse di lungo corso, onorevoli allo sbando, giovanottoni di belle speranze) lo fa per proprio tornaconto e basta.
Ma neppure Michele Serra, in fondo, riesce a spiegare il perché delle liste civetta.
Per capire le quali credo ci si debba rifare a Andy Warol quando diceva: “Tutti a questo mondo (nell’era dei massmedia elettronici, ndr) hanno diritto ai loro cinque minuti di notorietà.”
Tutti, anche gli imbecilli, ha poi chiosato Umberto Eco in uno dei suoi ultimi interventi.
Laddove, secondo Eco, lo strumento principe dell’idiozia generalizzata (grazie alla quale patacate che una volta si dicevano solo in osteria oggi si pubblicano on line) sono i social: facebook, twitter eccetera.
Social nei quali ognuno può permettersi di dire tutto ciò che vuole non per sapere se due più due fa quattro, cinque o settemilaquattrocentododici, non per confrontarsi criticamente e socraticamente su cosa è vero o falso, ma solo per esibirsi e Renzianamente twiteggiare di sé e del mondo senza alcun impronunciabile quesito di verità.
Annegando nel selfie d’un narcisismo autoreferenziale in cui tutto è uguale a tutto, e niente importa tranne dire eruttivamente la nostra.
Come succede in politica: magari in maniera sofferta, malvolentieri, di traverso, col mal di pancia, con l’occhio balengo, ammiccando cuore a sinistra e carriera a destra ma senza quel minimo di ragione ragionata e fondatezza patafisica che ci vorrebbero.
Ma in fondo, che problema c’è?
Come diceva una volta Mike Buongiorno, “Allegria!”
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