Filippo Brunelleschi e il viaggio verso Rimini

Filippo Brunelleschi e il viaggio verso Rimini

Che strade fece Brunelleschi? La mia ipotesi di lavoro parte dall'esame delle carte della Toscana fiorentina e della Romagna malatestiana. Arrivò a Sarsina e trovò i due fratelli Sigismondo Pandolfo e Malatesta Novello ad accoglierlo ed insieme proseguirono per Cesena? Oppure la comitiva scollinò nella valle del Marecchia ed arrivò a Rimini l'1 o il 2 settembre? Rimondini sulle tracce del trasferimento che portò alla edificazione della “fortezza mirabile al Signore Gismondo di Rimino”.

IPOTESI DI LAVORO SUL VIAGGIO A RIMINI DI FILIPPO BRUNELLESCHI DAL 28 AGOSTO AL 19 OTTOBRE 1438

Firenze, veduta del 1471, particolare.

Per far conoscere la nostra grande storia del Rinascimento, che vide Rimini, seconda dopo Firenze, frequentata da artisti toscani protagonisti assoluti e operanti come Filippo Brunelleschi cui si deve Castel Sismondo, Leon Battista Alberti cui si deve il Tempio Malatestiano e Piero della Francesca autore dello sfortunato ma bellissimo affresco nel Tempio Malatestiano, gioverà arricchire la conoscenza approfondendo personaggi e temi.
Come già sappiamo, fu il tedesco Cornelius von Fabriczy a scoprire nelle carte seicentesche di Carlo Strozzi la notazione del Registro del Provveditore dell’Archivio dell’Opera del Duomo di Firenze – registro perduto – relativa al viaggio di Filippo Brunelleschi a Rimini nel 1438:

“Filippo di Ser Brunellesco va al Signore di Rimini, parte da Firenze 28 agosto e torna 22 ottobre 1438.” – poi le date precise del viaggio sono il 28 agosto, partenza da Firenze e il 19 ottobre 1348, ritorno a Firenze, in tutto 53 giorni -.

Firenze, veduta del 1471, particolare.

La cupola di Santa Maria del Fiore, già finita ma ancora senza la lanterna, era stata benedetta da papa Eugenio IV il 25 febbraio 1436, presente la Signoria fiorentina, Cosimo de Medici, il padrone occulto della città, Filippo Brunelleschi, la curia pontificia con gli abbreviatori apostolici, uno dei quali si chiamava Leon Battista Alberti, i capitani dell’esercito pontificio, uno dei quali era il diciannovenne Sigismondo Pandolfo Malatesta.

Agostino di Duccio, veduta di Rimini nella seconda metà del ‘400 a volo d’uccello.

Ho immaginato altrove una grande folla dentro e fuori la chiesa, e nella calca il giovane pittore Piero della Francesca, a Firenze per perfezionarsi nella bottega di Domenico Veneziano; ho immaginato male perché a Firenze Piero, nato suddito malatestiano – Borgo San Sepolcro fu malatestiana dal 1371 al 1431 -, andò solo l’anno seguente. Non fidatevi di nessuno, verificate sempre tutto. Mi capita di sbagliare, ma quando me ne accorgo mi correggo pubblicamente.

A Firenze nel 1438 girava la voce che il Brunelleschi aveva abbandonato per quasi due mesi il favoloso cantiere di Santa Maria del Fiore, dove si era cominciato a costruire la lanterna, per andare a Rimini, a che fare?
Antonio Manetti (1423-1497) architetto e scrittore, da giovane era stato amico del Brunelleschi, scrisse nella prima biografia del Brunelleschi, composta intorno al 1480: “Edificò uno castello, fortezza mirabile, al Signore Gismondo di Rimino”. E questa biografia manoscritta inedita verrà pubblicata da Gaetano Milanesi nel 1887, ma per mala sorte non fu accolta dagli “storici riminesi”.

Il castello di Fano nell’anteguerra; fu progettato da Leon Battista Alberti? (Immagine da www.flaminianextone.eu)

LA RICERCA DI GASTONE PETRINI SUL VIAGGIO DI FILIPPO BRUNELLESCHI A RIMINI NEL 1438

Sia la biografia del Manetti che la scoperta del Fabriczy si erano perse nel secolo passato nelle opere degli storici malatestiani locali grandi e piccoli, finché l’architetto fanese Gastone Petrini (1937-2017) professore di restauro architettonico presso l’Università di Firenze, nel 1980 pubblicava l’Indagine sui sopralluoghi e le consulenze di Filippo Brunelleschi nel 1438 per le fabbriche malatestiane in relazione a documenti inediti.
In aggiunta ai documenti sopra citati, il Petrini aveva consultato le carte malatestiane – 113 codici in gran parte di materia economica – dell’Archivio di Stato di Fano, in particolare un registro di spese del 1438, trovando indicazioni della presenza di Sigimondo Pandolfo nei giorni in cui Filippo Brunelleschi si trovava nelle sue terre, e aveva ragionevolmente ipotizzato che i due fossero insieme. Tra tutte le città e i castelli che i Malatesta ebbero in Vicariato dai pontefici – nel 1438: Rimini, Cesena, Cervia, Bertinoro, Sarsina, Santarcangelo, Verucchio, San Leo, Pennabilli, Casteldelci, Sant’Agata, Fano, e altre che si aggiunsero fino al 1463 – Fano è l’unica che abbia conservato l’archivio dei Malatesta, con i documenti di Pandolfo III, il padre del nostro eroe, sia di Fano che delle sue signorie lombarde di Brescia, Bergamo e Lecco. Ogni città di Vicariato doveva avere il suo archivio vicariale e l’archivio di Rimini era certamente il più grande di tutti; conservato nel Convento dei Francescani, è andato del tutto perduto.

A Gastone Petrini va riconosciuto il grande merito di avere cominciato e impostato questo nuovo importante filone di studi malatestiani, ma la consultazione forzatamente esclusiva di documenti del Vicariato di Fano gli ha fatto dimenticare di dovere tener conto, per un giudizio complessivo, dei documenti riminesi scomparsi, e anche della centralità di Rimini nella Signoria dei Malatesta. Nell’essenziale però ha valore quanto lo studioso fanese ha affermato e in particolar modo il fatto documentato che, dopo la visita di Filippo Brunelleschi “nei seguenti luoghi 1) Fano; 2) San Giovanni in Marignano (Forlì); 3) Cervia; 4) Cesena; 5) Rimini” si cominciarono fortificazioni e castelli.

QUALI STRADE PRESE FILIPPO BRUNELLESCHI PER VENIRE A RIMINI?

Però non credo si possa accettare la ricostruzione del viaggio del Brunelleschi presentata dal Petrini, che lo fa partire da Firenze e andare fino ad Arezzo. Presenta poi due possibilità: da Arezzo avrebbe potuto proseguire fino al Borgo San Sepolcro e lungo la valle del Marecchia fino a Rimini oppure tagliare per Urbino e arrivare a Fano, alternativa che ritiene giusta facendo arrivare il Brunelleschi a Fano il 1 settembre 1438. Tale ricostruzione a mio avviso non regge per due ragioni, una relativa al numero dei giorni e una politica. Andare per Arezzo e poi per Urbino significava allungare inutilmente il percorso di due o tre giorni e aumentare sensibilmente le spese. La ragione più forte nega che il Brunelleschi e il Malatesta potessero avere scelto l’itinerario Urbino perché il conte di Urbino Guidantonio da Montefeltro era nemico dei Malatesta ed era alleato del duca di Milano Filippo Maria Visconti e quindi era nemico anche dei Fiorentini. Nel maggio del 1438, il sedicenne Federico da Montefeltro, ufficialmente figlio naturale legalizzato del conte di Urbino Guidantonio, era partito per Milano dove aveva preso il comando della compagnia feltresca, già agli ordini di Bernardino Ubaldini della Carada che era probabilmente il suo vero padre, malgrado la forte opposizione della moglie di Guidobaldo Caterina Colonna, che non voleva mettere nelle mani del bastardo legittimato il potere militare dei Montefeltro, perché temeva, e il tempo le darà ragione, per la vita del proprio figlio Oddantonio, legittimo erede della contea di Urbino che aveva undici anni.

Monastero di Camaldoli (Immagine da www.camaldoli.it)

Che strade fece Filippo Brunelleschi? La mia ipotesi di lavoro parte dall’esame delle carte della Toscana fiorentina e della Romagna malatestiana. Il punto più alto dello spartiacque tra le due regioni che ci interessano è il monte Falterona da cui nasce l’Arno. Questo fiume dalla sorgente fa verso il basso un lungo percorso di forma ovale intorno al Casentino e ritorna indietro a non molta distanza dalla sorgente presso Pontassieve, dove riceve la Sieve e poi si dirige a Firenze e a Pisa. Ci sono ragioni di brevità di via, come si è accennato, che suggeriscono un percorso che da Firenze porti alla falde del Falterona, tagli fuori quasi tutto il Casentino, e che proceda parallelo allo spartiacque e al confine con le signorie romagnole.
C’erano certamente strade di scacchiere lungo il confine con la Romagna dello stato fiorentino che permettevano lo spostamento degli eserciti tra le città e i castelli di presidio dello stato fiorentino.
E cavallari e corrieri dovevano percorrerle spesso tra Rimini e Firenze con le lettere di stato.
Da Firenze si poteva risalire l’Arno fino alla confluenza della Sieve, poi si risaliva la Sieve e là dove il torrente piegava verso il Mugello settentrionale lo si abbandonava e salendo verso nord-est si raggiungeva un passo per la valle romagnola del Lamone che conduceva a Faenza, nel 1438 governata ancora per un anno da Gian Galeazzo I Manfredi. Se si proseguiva in questa direzione parallelamente al crinale verso oriente, che doveva essere anche la strada per Camaldoli, c’erano passi per scendere nella valle del Montone, dove Firenze si era allargata fino a poche miglia da Forlì al momento città di Francesco IV Ordelaffi. La strada continuava in salita alle falde del Falterona e raggiungeva l’abbazia e l’eremo di Camaldoli. Si poteva scollinare dopo poco nell’area del passo dei Mandrioli e scendere lungo la valle del Savio per arrivare a Bagno di Romagna, possesso fiorentino. Poco dopo iniziavano gli stati malatestiani e si arrivava a Sarsina.
Mi sembra ragionevole pensare che la scelta di Filippo Brunelleschi, d’accordo con il governo fiorentino e Sigismondo Pandolfo, abbia privilegiato la via del Lamone, che fino a Bagno di Romagna era ancora in territorio fiorentino, e che confinava con lo scacchiere malatestiano, senza attraversare terre nemiche.

Con Filippo Brunelleschi, come crede il Petrini, doveva viaggiare il suo figliastro, Andrea Cavalcanti detto il Buggiano – località dove era nato. Potrebbe essere.
Il Brunelleschi l’aveva adottato quando Andrea era di 5 anni, al momento del viaggio ne aveva ventisei, gli si attribuiscono e si conoscono opere di scultura a Firenze. Ma si può anche fare un’altra ipotesi di lavoro: il Buggiano forse era rimasto a Firenze per sorvegliare il cantiere della lanterna per conto del patrigno. Possiamo immaginare che insieme al Brunelleschi ci fosse un servitore e probabilmente un certo numero di armati mandati da Sigismondo per evitare i brutti incontri.
Difficile ma non impossibile individuare in documenti e con visite ai luoghi le strade storiche e anche i sentieri percorsi effettivamente dalla comitiva, e anche le tappe, le osterie, i castelli e i monasteri per il ricovero notturno. Petrini calcola quattro giorni di viaggio. Il percorso di andata e quello di ritorno furono nel complesso minori di 300-350 chilometri – cifra provvisoria e approssimativa -, con tappe giornaliere di 50 chilometri. Filippo Brunelleschi aveva sessantun anni, un età abbastanza avanzata a quei tempi, ma forse era di robusta costituzione e abituato a viaggiare: nel 1430 era stato a Milano presso il nemico di Firenze per dare pareri sul Duomo; nel 1432 forse era stato a Ferrara per opere idrauliche; e nel 1436 a Mantova, senza contare i viaggi a Pisa e a Lucca. Tornato da Rimini sarebbe vissuto ancora otto anni. Si servì di un cavallo? Ebbe bisogno di riposi frequenti e i giorni furono più di quattro?

Bagno di Romagna (immagine da www.bagnodiromagnaturismo.it)

Arrivato a Sarsina forse trovò i due fratelli Sigismondo Pandolfo e Malatesta Novello ad accoglierlo, e forse insieme proseguirono per Cesena. Oppure la comitiva scollinò nella valle del Marecchia ed arrivò a Rimini l’1 o il 2 settembre. Ancora ipotesi di lavoro.

LA PRESENZA DI SIGISMONDO PANDOLFO NELLE SUE TERRE SECONDO GASTONE PETRINI

Il Petrini afferma che Filippo Brunelleschi arrivò il 1 settembre a Fano, per la via di Urbino. Allega un documento:

“Doc VIII – (Ref.5, c.91r). Currieri e cavalari.
1438 adì primo di setembre
Iacomo di Nicolò di Maestro Antonio depoxitario di nostro Magnifico Signore in Fano date et pagate:
Ad Antonio da Gradara che adì 26 del passato andò (da Fano) a Cexena di notte tempo con lettere del nostro Magnifico Signore. Bolognini 24. Vale.
Lib . 2 Bol. 4 Den.4.”

Mi sembra che questo documento non attesti la presenza di Sigismondo a Fano, ma solo il pagamento fatto da Iacomo di Nicolò di Maestro Antonio depositario di nostro Magnifico Signore in Fano”, cioè cassiere del vicariato fanese “in Fano”, non cassiere generale del Signore, paga un cavallaro per un viaggio notturno a Cesena, lo paga per il servizio, non perché il cavallaro sia partito da Fano, ma perché il suo compenso era assicurato nei conti di Fano. Se avessimo avuto i libri dei pagamenti del Malatesta nell’archivio vicariale di Rimini, avremmo trovato i pagamenti al Brunelleschi e al suo seguito, che mancano nei libri del vicariato di Fano, e anche i pagamenti per altri cavallari pagati con le risorse del vicariato riminese. Par di capire che ogni vicariato cittadino o castellano avesse un certo numero di cavallari al servizio del Signore per tutto il suo territorio, che venivano pagati però con attestazioni sul libro dei conti del vicariato dove risiedevano.

La mia ipotesi di lavoro esclude che i cavallari dei doc. VIII, IX e X, che vengono pagati con i denari del vicariato di Fano, siano partiti esclusivamente da Fano per Cesena, Caminata e Sassoferrato, e che a Fano vi fosse Sigismondo a spedirli a destinazione, perché, ammesso che i cavallari abitassero a Fano, e fossero pagati dal cassiere vicariale di Fano, potevano partire anche da altre località malatestiane – difficile andare in una notte da Fano a Cesena, attraversando territori nemici, mentre più facile pensare che il cavallaro sui libri paga di Fano, fosse stato chiamato a Rimini e da Rimini lungo la via Emilia fosse stato mandato a Cesena. In alte parole non vi era un archivio vicariale centralizzato, come in uno stato moderno. Sigismondo Pandolfo inoltre poteva dare ordini scritti o a voce a un suo rappresentante, non doveva darli solo personalmente come lascia credere il Petrini.

San Giovanni in Marignano, palazzo Cirbucci già dei Malatesta di Pesaro.

DUE GIORNI DI FILIPPO BRUNELLESCHI A SAN GIOVANNI IN MARIGNANO

Il documento XI invece è preciso per quanto riguarda l’ubicazione di Sigismondo Pandolfo e ragionevolmente in compagnia di Filippo Brunelleschi; ecco la trascrizione di Gastone Petrini:

“Doc. XI – (Ref. 5, c. 91r
Adì 5 del detto (Settembre 1435)
Al ditto (Giorgio Albanese) che adì 4 del presente andò (da Fano) a san Giovanni in Marignano con lettere de l’officiale al nostro Magnifico Signore.
Lib.1 Bol 0 Den. 0”

In questo documento si ha la chiara indicazione della residenza di Sigismondo Pandolfo nel castello di San Giovanni in Marignano, ma che il cavallaro vi sia andato da Fano, come è scritto nella frase tra parentesi tonde, non si può affermare. Si può dire solo che il cavallaro Giorgio Albanese era sul libro paga del cassiere del vicariato di Fano.
Questa presenza di Sigismondo Pandolfo e di Filippo Brunelleschi con lui a San Giovanni in Marignano è affermata in un altro documento che precisa la presenza dei due personaggi a San Giovanni in Marignano anche il 5 settembre:

“Doc.XV ibidem [ref. 5, c. 91r]
A Giovanni de Baldinello che adì 4 et adì 5 del presente (Settembre 1438) andò (da Fano) a San Giovanni in Marignano dal nostro Signore a cavallo. Bol. 24.
Lib.2 Bol. 2 Den. 0.”

La rocca di Cesena.

Le saline di Cervia, veduta dall’alto.

ALTRI LUOGHI DI PRESENZA DI SIGISMONDO PANDOLFO NEL SETTEMBRE 1438

Anche qui la parentetica non è accettabile, per le ragioni dette di sopra.
Negli altri documenti fanesi riportati da Gastone Petrini, Sigismondo risulta a Rimini il 12 e il 17 settembre; il 23 settembre è a Rimini ma parte per Cesena e il 24 risulta essere a Cervia, città di Malatesta Novello.Il 29 settembre e il 4 ottobre è a Rimini. Mi sembra che queste presenze non permettano di stabilire tutto il percorso del Brunelleschi nello scacchiere malatestiano. Ma io ho sfruttato i documenti pubblicati dal Petrini, va da sé che uno studio più preciso debba rivedere gli originali.

FILIPPO BRUNELLESCHI PROGETTA LE FORTIFICAZIONI DEL PORTO DI PESARO

E’ Giorgi Vasari a informarci, il Brunelleschi:

“Disegnò similmente il modello della fortezza di Vico Pisano; et a Pisa disegnò la cittadella vecchia. E per lui fu fortificato il ponte a mare et egli similmente diede il disegno della cittadella nuova, del chiudere il ponte con le due torri. Fece similmente il modello del porto di Pesero.”

Il progetto di Vico Pisano era celebre ai giorni del Brunelleschi e lodato dal giovane Francesco Sforza, ma non venne realizzato. La torre e il recinto di Vico Pisano, che passano per opera del Brunelleschi sono invece visibilmente del secolo XIV. L’unica architettura ossidionale del Brunelleschi è Castel Sismondo a Rimini.
Prendiamo per buona l’ affermazione del porto di Pesaro e lavoriamoci sopra, a quale regime politico e a quale anno si riferisce?

A Pesaro alla morte di Malatesta dei sonetti nel 1429, avevano preso il potere in condominio i tre fratelli: Galeazzo, che aveva sposato Battista da Montefeltro sorella del conte Guidantonio, Carlo II, che aveva sposato Vittoria Colonna nipote di papa Martino V, e Pandolfo arcivescovo e barone di Patrasso, cacciato dalla sue sede in Morea dai cognati Paleologi imperatore di Costantinopoli e despoti di Morea, uno dei quali Tommaso II aveva sposato la sorella Cleofe Malatesta. Finché visse Martino V questi Malatesta prosperarono ed ebbero dei favori. Cercarono anche, con l’aiuto del papa parente, di togliere Rimini ai bastardi legittimati di Pandolfo III. Non ci riuscirono e per così dire, giustificarono i tentativi di Sigismondo Pandolfo di togliere loro Pesaro.

Divenuto papa Eugenio IV che odiava i Malatesta di Pesaro per l’aiuto fornito agli antipapi di Pisa, contro lo zio papa Gregorio XII. Papa Gregorio XII si era rifugiato col nipote cardinale a Rimini sotto la protezione di Carlo I dei Malatesta. Subito il nuovo papa organizzò o protesse una rivolta di una fazione antimalatestiana a Pesaro che cacciò dalla città i tre fratelli nel 1431. Pochi anni dopo tre Malatesta ritornarono, ma con tali multe da pagare al pontefice, che gli addossò il costo della guerra, che non si risollevarono più. Carlo morì nel 1438 e l’arcivescovo nel 1441, Galeazzo cadde sotto la protezione del cognato Guidantonio da Montefeltro e poi di Federico da Montefeltro, che sfruttarono le discordie con i Malatesta di Rimini per stabilire il loro dominio indiretto su Pesaro. Sigismondo Pandolfo più volte tentò di prendere Pesaro, inizialmente con l’aiuto dello suocero Francesco Sforza.

Il ponte fortificato di Pesaro in una medaglia di Costanzo Sforza.

Morti i fratelli Carlo II e l’arcivescovo Pandolfo, Galeazzo, con debiti e senza risorse economiche, si sentì aggredito fuori Pesaro dal parente di Rimini e dentro Pesaro da Federico da Montefeltro. Finì per cercare di liberarsi dal peso del governo. Aderì quindi al progetto di Federico da Montefeltro e vendette Pesaro ad Alessandro fratello di Francesco Sforza, e Fossombrone a Federico da Montefeleltro per 20 mila fiorini nel 1445. Alessandro Sforza sposava anche Costanza da Varano figlia della figlia di Galeazzo.
In una medaglia di Costanzo Sforza, figlio di Alessandro e di Costanza da Varano (1447-1483), si vede il ponte sulla Flaminia alle porte di Pesaro, verso Rimini, che era a capo del porto, fortificato con due torri, forse come il ponte di Pisa.
Non è possibile al momento stabilire l’anno della progettazione delle difese brunelleschiane del porto di Pesaro. Potrebbero essere degli ultimi tempi di Malatesta dei sonetti, che nei primi del ‘400 era stato al servizio dei Fiorentini, oppure degli anni buoni dei tre fratelli. Da escludere comunque che Brunelleschi sia andato a Pesaro nel 1438, data l’aperta inimicizia tra Sigismondo Pandolfo e i tre ‘cugini’ pesaresi.
Si può formulare anche l’ipotesi che Filippo Brunelleschi abbia inviato un progetto di fortificazione del ponte del porto di Pesaro, l’ultimo anno della sua vita nel 1446, o poco prima su richiesta di Alessandro Sforza.

«Narcisata senza pudore: Giovanni o Gianni Rimondini. Non invidiatelo è un povero vecchio, e un vecchio povero».

RICERCHE FUTURE

Su questo periodo così emozionante della nostra storia, con il giovane Sigismondo Pandolfo a contatto con i tre grandi artisti prospettici, oggi di fama internazionale, Brunelleschi, Alberti, della Francesca. In un prossimo saggetto verranno pubblicate le novità riminesi di Leon Battista Alberti. Avverto i miei lettori che il sottoscritto non viaggia nei piani alti della critica – se si esclude il Portogallo – e nell’ordine della beccata è molto in basso, per questo le cose che ha trovate sono destinate ad apparire prossimamente in qualche pubblicazione di qualche studioso accreditato nei piani alti.

Immagine d’apertura: Castel Sismondo, ricostruzione grafica di Montiroli Carboni, Biblioteca Gambalunga.

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