Il card. Müller a Rimini: «sarebbe sbagliato chiudere il Santuario delle Grazie»

Il card. Müller a Rimini: «sarebbe sbagliato chiudere il Santuario delle Grazie»

L'ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede invitato da alcuni conoscenti riminesi ha fatto tappa in città. Domenica mattina ha celebrato messa a Covignano, e al termine si è fermato a dialogare con i presenti. Sulla eventualità che il santuario chiuda i battenti, il cardinale è stato molto chiaro. Non è mancata qualche stoccata al papa mediatico e un riferimento alla mano pesante del Vaticano sulle associazioni di fedeli e i movimenti ecclesiali: «Non mi piace la parola “commissariamento”. La usavano ai tempi dell’Unione Sovietica comunista».

Della sua origine tedesca il cardinal Gerhard Ludwig Müller, che il 31 dicembre compirà 74 anni, ha mantenuto il rigore razionale e l’amore per la teologia e la dottrina cattolica, mentre dalla frequentazione con l’Italia e il Vaticano, ha assunto a corredo del suo eloquio il classico e italico gesticolare delle mani mentre parla. Alcuni amici, tra questi qualche riminese, hanno colto l’occasione di un suo viaggio da Roma a Venezia per invitarlo a soggiornare qualche giorno a Montescudo e conoscere più da vicino la realtà locale della chiesa e della società. Così domenica mattina si è recato nel santuario della Madonna delle Grazie a Covignano per celebrare una messa nella chiesa cara alla devozione di tanti fedeli, riminesi e non. Non c’è dubbio che se qualcuno avesse voluto contestare anche solo l’ipotesi della chiusura di questo santuario, sulla quale pare che i superiori della nostra provincia francescana stiano ragionando, non avrebbe potuto trovare uno sponsor più autorevole. Infatti il cardinal Müller dopo la messa, in una interessante conversazione con alcuni presenti, ha detto fra l’altro di ritenere «sbagliato chiudere un luogo di culto e di fede come quello, dove si amministrano i sacramenti, innanzitutto le messe ma anche tanti matrimoni, si predica la Parola di Dio e si prega la Madre di Gesù». In effetti, pur essendo del XII secolo la parte più antica della chiesa, i fedeli riminesi e dei dintorni frequentano devotamente il santuario dal 1500. All’interno vi si possono ammirare affreschi e dipinti pregevoli oltre al soffitto ligneo. L’immagine sull’altare antico rappresenta l’Annunciazione, mentre il crocifisso sopra l’altare della navata laterale è opera della scuola giottesca riminese del ‘300. Ma nel complesso del convento c’è anche una esposizione museale molto ricca, frutto della raccolta dei confratelli missionari un po’ in tutto il mondo. Dopo la recente morte del rettore padre Bruno, ha raccolto il testimone padre Donato Santini. E quest’ultimo domenica ha ringraziato tanto il cardinale per la sua straordinaria presenza.

Il cardinale Müller infatti può a ragione considerarsi un membro del collegio cardinalizio piuttosto importante, uomo di fede e di grande cultura. Fu nominato vescovo da Giovanni Paolo II nel 2002; resse la diocesi di Ratisbona per dieci anni fino al 2012, quando Benedetto XVI lo nominò prefetto della Congregazione per la dottrina della fede destinandolo a sostituire l’americano William Joseph Levada. Amico personale di Ratzinger, fu incaricato dall’allora Benedetto XVI di curare la sua opera omnia. È autore di circa 400 pubblicazioni scientifiche di teologia e dogmatica, ecumenismo, sacerdozio e diaconato. In Germania viene considerato un difensore dell’ortodossia cattolica ed in effetti la sua omelia alle Grazie ha ripetuto in modo convincente e rigoroso il messaggio cristiano, non mancando di precisare che la chiesa non è un’organizzazione sociale e politica ma un “organismo vivo” con un corpo e un’anima uniti a Cristo, “che è il capo della Chiesa e unico mediatore tra Dio e gli uomini”.
«Nella chiesa – ha detto Müller – è presente il corpo di Cristo risorto; quello che ha detto ai suoi apostoli: “Come il Padre ha mandato me, io mando voi; sono venuto affinché tutti credano che il Cristo è il figlio di Dio” e credendo in Lui tutti possano avere la vita nel suo nome. È Cristo che ci conduce al centro della nostra fede. Con i nostri occhi del viso e del cuore vediamo nel volto di Gesù Dio, con il suo potere benevolo, giudicante ma anche santificante ed edificante».
«Il Signore Gesù Cristo – ha concluso il cardinale – resta con noi anche oggi mediante il suo vangelo e si può incontrare direttamente e personalmente nei sacramenti, nella comunione e nell’assemblea dei cristiani. In questa comunione Cristo è corporalmente, sostanzialmente, sacramentalmente presente. Soprattutto nell’Eucarestia noi riceviamo la sua carne e il suo sangue, cibo e bevanda per la vita eterna».

Quanto questi temi teologici non siano restati nell’astratto ma influenzino anche il vivere quotidiano lo si è capito subito dopo la messa quando il cardinale ha voluto incontrare alcuni dei presenti che lo hanno interrogato, con domande anche puntuali sull’attuale momento della vita della chiesa e della società. Domande che hanno trovato un cardinale riflessivo ma per nulla imbarazzato ed anzi disponibile a dire la sua, senza risparmiare anche qualche critica interna alla struttura ecclesiastica. A partire dalle prove che la società e la chiesa stanno attraversando. Per esempio sul decreto del dicastero dei laici che chiede ai movimenti e alle associazioni laicali il rinnovo degli statuti e delle cariche di responsabilità. A questo riguardo il cardinale che per un mandato di cinque anni è stato custode della dottrina delle fede cattolica, ha detto: «Non mi piace la parola “commissariamento”. La usavano ai tempi dell’Unione Sovietica comunista. E si usava in genere da coloro che hanno un potere secolare. Non mi piace inoltre che certi decreti vengano fondati e spiegati sul “sentito dire” o “mi hanno detto che…”. La funzione dell’autorità nella chiesa è pastorale e certi documenti e decreti vanno fondati su una seria ed approfondita riflessione e parimenti su un vero confronto coi diretti interessati. Parlerei piuttosto di “maestri nella fede”, di “amici” che non di commissari». A questo proposito ha fatto un esempio preso dalla storia della chiesa che si riferisce ad una controversia dell’inizio del ‘600 circa, ovvero “la Grazia sufficiente ed efficace e il libero arbitrio”, quando il cardinale teologo e pensatore Bellarmino venne chiamato come consultore teologo dall’allora papa Clemente VIII. Bellarmino scrisse una lettera al Papa in cui sostanzialmente lo consigliava di non prendere decisioni affrettate, dicendo: “Lei Santo Padre non è esperto in queste cose; non è un teologo. Prima di decidere deve ascoltare noi e riflettere a lungo, magari convocare un Concilio”.

A proposito di rapporto tra istituzione e carisma il cardinale Müller ha detto che non si tratta di una questione nuova. C’era già ai tempi di San Francesco. A chi gli chiedeva come affrontarla ha risposto rilevando d’acchito una certa difficoltà, per poi aggiungere: «San Francesco andò a parlare col Papa». Non ha risparmiato critiche alle esternazioni non in materia di fede del Papa, che pare essere diventata oltremodo una «figura mediatica». Invece, ha sottolineato il porporato tedesco, deve orientare tutti i cristiani verso «Cristo unico mediatore».

La cordialità del cardinale è stata ancor più visibile nel momento conviviale quando con il segretario, il polacco Slawomir Sledziewski, e altri amici e collaboratori ha pranzato in spiaggia vicino al bagno 106. Lì il porporato, vestito solo con una camicetta a mezze maniche e pantaloni neri, si è tolto scarpe e calze ed è rimasto a tavola a piedi nudi in spiaggia. Poi ha mangiato piada e sardoncini e altro pesce. Ha inoltre benedetto una malandata statua della Madonna in gesso bianco, ritrovata da un lavoratore musulmano addirittura tra i rifiuti e restaurata. Infine s’è reso disponibile a fare foto coi presenti (c’erano anche alcuni bambini) e quando è ripartito s’è fermato per i saluti e la stretta di mano con altre persone presenti in spiaggia, scambiando anche qualche battuta con un quartetto (tre donne e un uomo) che stava giocando a burraco.

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