In attesa della mostra che riporterà in città l'opera giovanile dell'Urbinate, finita in Germania nel 1842, leggere il catalogo del prof. Giulio Zavatta permette di conoscere la storia del dipinto e di una incredibile figura di collezionista d'arte, banchiere e diplomatico in relazioni con mezza Europa, del tutto sconosciuta a Rimini. Ma anche di viaggiare fra i tesori custoditi nei "musei privati" di Rimini nel XIX secolo, sui quali misero gli occhi in tanti.
C’è il marchese, con tanto di immunità diplomatica, che frequenta anche la bella società francese, e che a Rimini è un personaggio molto influente e non poco additato e invidiato: gonfaloniere, socio fondatore della Cassa di Risparmio e di una banca privata, artefice della costruzione del teatro polettiano, nella manica del vescovo che lo nomina Cavaliere del pontificio ordine di San Gregorio Magno. Ama collezionare opere d’arte, ma gli riesce bene anche industriarsi in affari, a volte con spiacevoli risultati.
C’è la bella e discussa sposa del marchese di cui sopra, assai giovane e “di troppo spirito sconsigliato fornita”.
Ci sono i cronisti di regime e quelli pestiferi: i primi decantano mentre i secondi spifferano a suon di piombo retroscena e pettegolezzi anche scabrosi.
C’è una città vivace, con facoltose famiglie dotate di patrimoni artistici, ma non solo, da riempire palazzi interi, purtroppo dispersi lontano da Rimini.
E su tutto c’è lui, il dipinto da togliere il fiato, la “Madonna col Bambino sulle ginocchia nell’atto di guardare Giovanni” che “presumibilmente sarà uno dei più richiesti al mondo”.
Per alzare la testa dal coronavirus e tuffarsi in tutta un’altra Rimini, può essere salutare mettere gli occhi su una pubblicazione recente di Giulio Zavatta, che insegna Storia dell’arte moderna e metodologia della ricerca storico artistica all’Università Ca’ Foscari di Venezia: Raffaello, la Madonna Diotallevi. La vicenda storico-critica (NFC edizioni).
Il prof. Zavatta è noto anche ai lettori di Rimini 2.0 per alcuni articoli e in modo particolare per l’intervista che ci concesse circa un anno fa proprio sul “Raffaello riminese“, che avrebbe dovuto fare ritorno in città per essere esposto dal 31 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020, mentre l’evento è stato riprogrammato per il prossimo autunno su richiesta dei Musei di Berlino.
Giulio Zavatta l’aveva sostanzialmente anticipato nell’intervista il lavoro che avrebbe preso forma di pubblicazione: “il Raffaello riminese lo restituiremo al Museo di Berlino con un surplus di conoscenze sia in merito al dipinto che al proprietario della collezione, in Germania poco conosciuto e che per circa un secolo è stato chiamato Diotalevi, con una l sola. Io ho scritto un progetto scientifico, che è stato ben accolto a Berlino, e alla fine sono cadute tutte le legittime perplessità che giustamente lo spostamento di un quadro delicato come la Madonna Diotallevi comporta. I nostri interlocutori hanno valutato che il prestito potesse valere il rischio proprio perché fondato su un reciproco vantaggio: Rimini potrà esporre un’opera importante dopo una lunga assenza, e Berlino potrà fare tesoro di una più approfondita conoscenza della Madonna Diotallevi e del proprietario della collezione, perché faremo un catalogo che conterrà anche studi inediti“.
Il “prodotto” editoriale adesso c’è. Reso possibile dal lavoro di ricerca di Giulio Zavatta e dal sostegno di Comune di Rimini, Università Ca’ Foscari, Crédit Agricole, Fondazione Cassa di Risparmio e Ibc regionale, espone in 135 pagine e una settantina di immagini, la storia di Audiface Diotallevi, della sua preziosissima collezione, più in generale del collezionismo di dipinti a Rimini nell’800, e un corposo focus sulla storia critica di questa Madonna, che si dipana per quasi due secoli.
Una parentesi necessaria: Audiface Diotallevi è un signor nessuno per i riminesi (tranne che per gli eruditi), comprese le istituzioni cittadine. Palazzo Garampi non gli ha ancora dedicato nemmeno una via. L’onore è toccato a Ruggero Diotallevi, col curriculum di amministratore comunista di formazione operaia, assessore negli anni 60 e 70. Audiface ha avuto la sfortuna di nascere nel 1792 a.C., non avanti Cristo ma avanti Ceccaroni e quindi non ha goduto della stessa pubblica stima di Ruggero.
E’ uno tosto il nobile. Ereditò le ricchezze accumulate dal padre Michelangelo, non meno discusso del figlio, e ne accumulò altre maritandosi con una “leggiadra e spiritosa dama forlivese”, “bianche le carni, nere le chiome, nerissimi gli occhi”. Ma soprattutto la nobil donzella Francesca Reggiani aumentò, e di molto, il patrimonio di Audiface Diotallevi. Nel tratteggiare il ritratto di questo “personaggio cruciale nella Rimini del XIX secolo”, Zavatta si affida ampiamente, integrandolo, al profilo biografico uscito dalla penna di Giovanni Rimondini nel 1987: Audiface Diotallevi, Marchese, Commendatore, Console e “diversi altri titoli ancora” (1792-1860), in G. Rimondini, P.G.Pasini, M. Mori, F. Compatangelo, Villa Mattioli. Una villa del Poletti nel riminese.
Gli ingredienti dell’avventuriero dai contorni leggendari ci sono tutti: vive fra mondanità, noblesse, viaggi in Europa, e poi amori che non passano inosservati, beneficenza e religione. Sempre circondato da un elenco di cariche e titoli lungo e prestigioso. Uno su tutti: vice console di Sua Maestà Cristianissima il Re di Francia. Fu amico di Gioacchino Rossini, di scrittori e politici transalpini, incontrò due pontefici come delegato cittadino. “Si impegnò nella costruzione del teatro, del quale fu tra i più importanti azionisti”, tenne i rapporti con Luigi Poletti (e fra i due non mancarono contrasti) al quale commissionò anche la villa di Vergiano. Pochi sanno, e Zavatta invece documenta, che Audiface Diotallevi fu testimone al processo di riconoscimento del miracolo della Madonna della Misercordia (dipinta da Giuseppe Soleri Brancaleoni) che mosse gli occhi a metà dell’800.
La collezione di Audiface Diotallevi, un vero tesoro (comprendeva anche il polittico di Giuliano da Rimini, tornato a casa grazie alla Fondazione Carim), viene dispersa, venduta in seguito alla sua morte (22 aprile 1860) anche per “tamponare una situazione economica piuttosto dissestata” e nel 1861 non manca una vendita all’asta. Quel che resta della collezione sarà acquistato nientemeno che dal duca di Salamanca, anche lui con la passione per l’arte e “considerato il più rappresentativo collezionista spagnolo del XIX secolo”. Nella casa di Diotallevi si potevano vedere le opere migliori che si trovavano a Rimini, spiega Zavatta, tanto è vero che “tra il 1841 e il 1858 la raccolta fu visitata da alcuni dei più importanti conoscitori europei”. Il primo fu Gustav Friederich Waagen, lo storico dell’arte tedesco che su incarico del museo di Berlino negli anni 40 del XIX secolo acquistò in Italia 104 opere da varie collezioni con destinazione Germania. A Rimini non mise le mani solo su quelle di Diotallevi ma, rivela Zavatta, anche su medaglie e monete di un erede del bibliotecario della Gambalunga Antonio Bianchi, collezionista a sua volta. E poi fece acquisti da un sacerdote e dai rigattieri: “tra dipinti, disegni, rilievi e medaglie”, Waagen se ne ripartì da Rimini con 74 opere. Waagen comprese subito che la Madonna col Bambino sulle ginocchia (pagata 650 scudi), fino a quel momento attribuita a Perugino, in realtà era un’opera giovanile di Raffaello: “si suppone che sia un Perugino, io però la considero un’opera tra le prime di Raffaello”. E poi quella sottolineatura: “il dipinto sarà presumibilmente uno dei più richiesti del mondo”.
Giulio Zavatta mette in fila anche le informazioni fin qui note sul collezionismo di dipinti a Rimini nel XIX secolo. La collezione del medico Giovanni Beltramelli, quelle di Giuseppe Montanari e Claudio Lettimi, passando per i “bottini” d’arte accumulati dal cronista riminese Filippo Giangi, da Luigi Carlini, dal gonfaloniere Luigi Pani, dalla famiglia Soardi e da tanti altri. Con una amara conclusione: “…è purtroppo necessario rilevare che nessuna delle collezioni finora richiamate, come del resto quella di Audiface Diotallevi, è pervenuta anche solo in parte ai nostri giorni”.
L’attribuzione a Raffaello della Madonna Diotallevi si deve, come si è visto, a Waagen, e poi confermata da altri “importanti conoscitori tedeschi”. Ma dalla morte di Waagen (1868) in poi sarà un susseguirsi di colpi di scena sulla “Vierge de la maison Diotallevi” (come scrisse François-Anatole Gruyer, che si può dire inauguri le referenze negative sulla autorialità raffaellesca), “tra importanti riconoscimenti e contestazioni, o più spesso omissioni che di fatto la escludono da alcuni cataloghi di maggior rilievo”, nota Zavatta. Che passa in rassegna tutto il lungo e articolato confronto fra i critici sulla materia. Non meno controversa la datazione dell’opera, fino a restringere l’arco cronologico “agli anni che vanno dal 1500 al 1503“.
In attesa della mostra, la lettura del catalogo non è solo il modo migliore per predisporsi consapevolmente al ritorno in città del Raffaello, ma anche una ghiotta occasione per scoprire i contorni di una Rimini “assai vivace” e “sorprendentemente ricca di opere e collezioni d’arte in mano privata”, come scrive l’assessore alla cultura Giampiero Piscaglia, che però non riesce a trattenersi dal segnalare un parallelismo ardito fra quel che accadeva a metà 800 e quel che avviene nella Rimini odierna in termini di rinnovamento.
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