Il suo è un deficit culturale mal surrogato da vitalismo giovanilista e femminismo “Renzino” che purtroppo ci porterà di nuovo a sbattere. Ora se ne accorgono anche i giornaloni.
Dopo anni di ubriacatura Renzista, solo adesso (come si suol dire a “babbo morto”) anche i giornaloni nazionali cominciano a dire ciò che nel mio piccolo io scrivo da anni.
Cioè che il problema di Matteo Renzi (ma anche del suo entourage) è un deficit culturale mal surrogato da vitalismo giovanilista e femminismo “Renzino” che purtroppo ci porterà di nuovo a sbattere.
Come insinua Massimo Giannini nel commento domenicale di Repubblica, laddove denuncia l’insufficiente riflessione sull’identità di questo Pd e della sinistra in generale prendendo dentro, accanto a Renzi, anche Veltroni e “il fantasma di Gramsci”.
Posto che neanche Giannini riesce a dire molto di più, qualcosa di meglio lo si trova nell’articolessa di Scalfari il quale, nella stessa pagina, osserva puntuale come il problema dell’Europa, che pure ha “inventato” la civiltà esportandola in tutto il mondo, è la sua frammentazione politica.
Perché è si vero che l’Europa è stata la madre dei vari imperi militari, economici e culturali che si sono succeduti nel tempo (inglese, germanico, francese, spagnolo ecc.), ma questo non ha mai consentito di superare la frantumazione nazionalista di cui il continente soffre ancor oggi.
Per quanto riguarda l’Italia, Scalfari (senza però sviluppare il discorso) dice una cosa importantissima, che dopo l’Impero Romano qua da noi non c’è stato niente di equivalente, a parte un’egemonia culturale che da Roma s’è irradiata su tutta l’Europa e nel mondo intero.
L’argomento andava approfondito, riguardando il problema identitario d’una sinistra che, non sapendo più a che santo votarsi, tende a riconoscere oggi in Papa Francesco il suo leader planetario.
Cosa che ha un suo fondamento se si riconosce che è stato proprio grazie all’universalismo (internazionalismo?) della Chiesa Romana e del Papato che l’Italia del Rinascimento ha realizzato un’egemonia artistica, letteraria, filosofica, scientifica e culturale che in Europa è durata fino alla fine del Settecento.
Come dire che l’Italia ha fatto scuola per quattro secoli, con un “sovranismo” cui dovrebbero tornare gli stenterelli di destra se non altro per capire cosa stanno dicendo, sovranismo culminato nel ‘600 con l’invenzione dell’unica vera scienza moderna, la fisica Galileiana.
Tutta incentrata su quel metodo della verifica di laboratorio, scientificamente fondante, che due secoli più tardi Marx applicherà genialmente alla politica (Terzo Libro del Capitale) con la dottrina del rapporto teoria-prassi.
Teoria che distingue definitivamente il materialismo scientifico e/o dialettico da quello volgare stigmatizzato da Gramsci, il quale tuttavia nei sui scritti non fa che ragionare sulle possibili applicazioni della “filosofia della prassi” senza mai sottoporla a critica, come ha saputo fare invece il marxismo Francese e, anche se in misura ridotta, la Scuola di Francoforte.
Dogmatismo Gramsciano, dunque, che la sinistra italiana non è mai riuscita a superare e che replica il dogmatismo stalinista ante litteram d’una Rivoluzione Francese divorata al suo interno da un positivismo (anche questo ante litteram) che l’ha portata a fare della scienza una “Dea” da venerare, senza rendersi conto di distruggere così le stesse premesse da cui era partita.
Tutto questo per dire che, se la sinistra Italiana avesse un minimo di capacità culturale, non dovrebbe far altro che tornare a radici metodologiche (la scienza come processo, non come contenuto) che appartengono sì alla sua storia, ma anche, risalendo per li rami, all’identità della nazione italiana.
E’ così difficile?
No, basterebbe un po’ di cultura e di capacità di pensiero pensante, che però forse è troppo chiedere a un energumeno della politica politicante (cioè della tattica senza strategia) come Matteo Renzi.
Se questo è il quadro per quanto riguarda il giovanotto di Rignano, sui suoi contendenti a livello nazionale (scissionisti o meno) meglio stendere un velo pietoso.
Mentre è per fortuna altissimo il livello del dibattito tra Orlandiani e Renzisti sul piano locale, sia Emiliano-Romagnolo che, soprattutto, Riminese.
Come al solito.
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