Il sipario dimenticato

Il sipario dimenticato

Se ne parla dal 2016, anche se le prime notizie risalgono al 2011. Eppure se ne sono perse le tracce. Che fine ha fatto il restauro della grande tela dipinta da Francesco Coghetti? Durante la prima inaugurazione del teatro, quando fu mostrato “alla stipata popolazione della Città”, l’apparire del nuovo sipario suscitò “reiterati applausi e ovazioni”. C’è da augurarsi che anche questa inaugurazione si ripeta, nonostante la vicenda si stia avvitando tra indecisioni, ritardi e polemiche. L'intervento del prof. Giulio Zavatta.

L’inaugurazione del teatro di Rimini ricostruito avvenuta il 28 ottobre 2018, portava con sé la promessa di un completamento dell’opera, ovvero del contestuale restauro del sipario con Cesare che attraversa il Rubicone dipinto da Francesco Coghetti per la prima nel 1857. La questione era tornata di attualità quando nel 2016, a margine della Biennale del Disegno, venne acquistato e donato al museo di Rimini da Luigi e Adriana Valentini il modello su carta poco prima, nel 2014, riconosciuto e ritrovato.

Per l’occasione, a fine aprile, avvenne un sopralluogo nei depositi comunali di via della Gazzella, dove è conservata la grande tela, che fu srotolata e presentata alla stampa, montando perfino un piccolo palco per realizzare le fotografie ed esponendo a margine il modello da poco recuperato. Fu un’operazione mediatica, dunque, volta a riportare l’attenzione su questo grande manufatto, che misura nella sua massima estensione quasi 15 metri. Il sopralluogo diede esiti tutto sommato confortanti: pur mostrando comprensibili danni dovuti alla guerra e alle successive vicissitudini – peraltro già constatati nel 1995, anno della precedente ispezione – si considerò possibile il recupero di quello che ai tempi era considerato uno tra i più preziosi sipari italiani. Dal Comune di Rimini, qualche mese dopo (26 gennaio 2017) venne emessa una nota stampa prontamente rilanciata dall’ANSA: “Tornerà a risplendere il sipario storico del teatro ‘Amintore Galli’ di Rimini, opera del pittore bergamasco Francesco Coghetti. La Giunta comunale ha dato il via libera all’affidamento delle attività di progettazione e restauro. Un bando articolato in due fasi: prima la selezione degli esperti, poi il vero e proprio affidamento dell’incarico. Quella del restauro del sipario, viene spiegato in una nota, è una procedura complessa che vede il coinvolgimento della Soprintendenza di Ravenna e il supporto dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze che si esprimerà sulla bontà degli aspetti tecnici, protocolli e linee guida da rispettare nella progettazione e nel restauro. Il sipario, dipinto a tempera su 19 strisce di tela cucite, forma una superficie di 14,7 metri di larghezza per 18 di altezza”.

Se allora la questione venne forse rimandata al fine di tagliare il traguardo primario della riapertura del teatro, proprio contestualmente a quest’ultimo evento avvenne un passaggio molto significativo: l’ingegner Massimo Totti, nel 2018, nel corso di una serata organizzata dai Lions Rimini Riccione Horst, poteva annunciare l’avvio del restauro dell’opera di Coghetti che avrebbe portato a una seconda inaugurazione nel 2020. Il dirigente in sostanza sottolineava il risparmio di circa 700 mila euro nel cantiere del Galli da destinarsi al recupero del prezioso telo scenico: “il risparmio di 700mila euro andrà nel restauro del sipario storico… non me l’hanno finanziato in questa fase ma è pronto per la gara e mi auguro che nel 2020 sarà la seconda inaugurazione, l’opera del Coghetti è meravigliosa”. Certamente va considerato quello che è successo in seguito, una pandemia che ha cambiato il mondo. Tuttavia di quella cifra così meritoriamente risparmiata e accantonata e della sua destinazione al restauro del sipario nulla si è più saputo. Nel frattempo, nel maggio 2021, si è appreso attraverso il dibattito politico, in particolare per una polemica sollevata dal consigliere Gioenzo Renzi, che il costo del restauro ammonterebbe a 320mila euro, ovvero meno della metà di quanto disponibile nel 2018, ma che il finanziamento sarebbe dovuto avvenire da fondi privati, attraverso l’incentivo (che a Rimini non ha mai scaldato il cuore dell’imprenditoria) dell’Art Bonus.

In tutta sincerità, quando ho avuto la fortuna di riconoscere il modello del sipario poi assicurato al museo da generosi donatori, pensavo che nel contesto della ricostruzione del teatro, che volgeva al termine con lo slogan “com’era e dov’era” questo avrebbe potuto suscitare un processo di recupero. “Com’era e dov’era” nel 1857 implicava infatti quel sipario, presente dal giorno dell’inaugurazione ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, e la storia ci racconta che nella prima inaugurazione ottocentesca l’amministrazione fece di tutto, riuscendo, per avere sia il teatro che il sipario per la prima dell’Aroldo.
In un teatro ricostruito in stile, a mio avviso, la presenza del sipario originale poteva (e potrebbe ancora) costituire l’anello di congiunzione tra l’edificio inaugurato nel 1857 e quello ricostruito nel 2018, allacciando le due storie. Non un atto simbolico o suggestivo, dunque, ma un forte segno di civiltà: non solo ricostruire quello che è stato distrutto, ma ricollocare quella che fu per i nostri concittadini del XIX secolo la commissione artistica pubblica più importante, forse – anzi certamente – l’ultima di tale portata.
Durante la prima inaugurazione del teatro, quando fu mostrato “alla stipata popolazione della Città”, l’apparire del nuovo sipario, giunto avventurosamente appena in tempo, suscitò “reiterati applausi e ovazioni”. Rimini si era infatti dotata, e si vantava, di “uno dei più pregiati e preziosi sipari d’Italia”. C’è da augurarsi che anche questa inaugurazione si ripeta, nonostante la vicenda si stia avvitando tra indecisioni, ritardi e polemiche che sembrano essere il leitmotiv a Rimini per ogni progetto di recupero e ripristino di beni storici. Invece ricollocare il sipario originale dovrebbe essere l’atto finale e – voglio sperare, per un volta – concorde e incontestabile necessario a suggellare la controversa (perché non va dimenticato che lo è stata) ricostruzione del teatro.

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