Jano Planco «l’infelice» nella chiesa di Sant’Agostino

Jano Planco «l’infelice» nella chiesa di Sant’Agostino

Facciamo luce su un'altra epigrafe, quella del dottor Giovanni Bianchi. Figura davvero singolare.

CREDO. QUIA. REDEMPTOR. MEUS. VIVIT
ET. IN. NOVISSIMO. DIE. SUSCITABIT. ME
HEIC. REQUIESCIT. IN. PACE
IOANNES. PAULLUS. SIMO(N). BIANCHIUS
DOMO. ARIMINO. QUI. APPELLARI. LATINE. MALUIT
IANUS PLANCUS
NASCITUR. INFELIX. VIXIT. INFELICIOR
OBIIT. INFELICISSIME
SED. ADIUANTE. DEO. ANIMO. SEMPER. HILARI. QUOD. SIBI
RATIONE. ET. ASSIDUO. BONARUM. PENE. OMNIUM
LITTERARUM. STUDIO. COMPARAVERAT
VIXIT. ANNOS. LXXXII. MENSES. XI
OBIIT. ANN(O). SALUTIS. M D CC LXXV

[CREDO PERCHÉ IL MIO REDENTORE VIVE E NELL’ULTIMO GIORNO MI FARÀ RISORGERE. QUI RIPOSA IN PACE GIOVANNI PAOLO SIMONE BIANCHI, RIMINESE, CHE PREFERÌ FARSI CHIAMARE IN LATINO JANUS PLANCUS. NASCE INFELICE, HA VISSUTO MAGGIORMENTE INFELICE, E’ MORTO INFELICISSIMO, MA CON L’AIUTO DI DIO CON ANIMO SEMPRE ILARE, CHE SI ERA DATO CON LA RAGIONE E CON LO STUDIO ASSIDUO DI QUASI TUTTE LE BUONE LETTERE. VISSE 82 ANNI E 11 MESI. MORÌ NELL’ANNO DELLA SALVEZZA 1775.]

Eccoci di nuovo all’interno della meravigliosa chiesa detta di Sant’Agostino con il consueto e disponibile amico Gianni Rimondini, davanti all’epigrafe del sepolcro di Giovanni Simone Bianchi meglio conosciuto come Jano Planco. È proprio vero, questo luogo è un grande scrigno d’arte e di storia, che merita di essere approfondito e conosciuto. Uno scrigno dicevo, non riduttivamente un “contenitore” termine impropriamente usato dal cessato sindaco per definire un importante monumento riminese, Castel Sismondo ovviamente, snaturato e condannato a contenere cose avulse dal suo contesto e da ogni possibile banale logica basilare.

Gianni parlami di questo personaggio di cui però vedo solo l’epigrafe in un paramento murario, che certamente non può contenere una sepoltura.
«Il dottor Giovanni Bianchi (1693 -1775), il cui cadavere è da qualche parte interrato sotto il pavimento della chiesa, fu il più grande uomo di cultura riminese del “secolo dei lumi”. Medico e anatomista illustre, erudito di storia, archeologia e letteratura, sperimentatore e osservatore di fenomeni marini, educatore emerito di diversi personaggi culturali del ‘700».

Quindi mi pare di capire che fosse un uomo di una cultura poliedrica ed incline alle relazioni umane, interrompo.
«Sì per il tipo di cultura Salvatore. Ma per il resto aveva un caratteraccio narcisista, litigioso e portato alle offese di tipo escrementizio, che gli venivano ricambiate sulle stampe dei nemici con simili lussi di parolacce. Chiamò “mangiamerda” e “coprofago” il suo allievo abate Giovanni Antonio Battarra, perché sosteneva un parere diverso dal suo a proposito dei problemi del porto, e “stronzo confettato” il futuro cardinale Giuseppe Garampi, eccellente storico, altro suo studente, per generica antipatia. Un suo libretto sul teatro fu lodato da Voltaire – la cui lettera dovrebbe essere conservata in Gambalunga -, ma gli attirò la pericolosa attenzione della Santa Inquisizione Romana per cui dovette presentare una richiesta di perdono».

E come andò poi a finire la vicenda?
«Papa Clemente XIV, Lorenzo Ganganelli concepito a Verucchio, ma nato a Santarcangelo, che era stato suo studente, lo fece suo archiatra onorario. Come poi Fellini, era interessato a donne di carattere speciale, avventuriere, gigantesse e una ragazza che si chiamava Teresa Vizzani, che amava le donne e aveva passato tutta la vita vestita da uomo. Anche di recente sono apparsi due studi su Teresa Vizzani nell’editoria nazionale. Il suo è un caso clinico che anticipa quelli di Sigmund Freud. Amava la cioccolata in tazza, che spesso veniva a consumare presso i frati di Sant’Agostino, con reazioni di dissenteria che curava con pillole d’oppio».

Persona singolare dunque, anche alla luce di queste notizie caratteristiche piuttosto inconsuete, e pure buffe se vogliamo. Ma parlami dell’epigrafe e del senso del testo scolpito.
«L’epigrafe comincia con una formula di fede, forse non del tutto ortodossa, che era scolpita in un monumento del suo museo. Si modella su un versetto del Libro di Giobbe, ed era moto usata nei libri mortuari e nelle epigrafi funebri del V secolo. Ci colpisce anche quella triplice dichiarazione di infelicità, probabilmente anch’essa modellata su un qualche testo antico. Va presa alla lettera? Difficile dirlo. Fa venire in mente i versetti di Pietro Metastasio: “Se a ciascun l’interno affanno si leggesse in fronte scritto, quanti mai, che invidia fanno, ci farebbero pietà”».

Molto interessante direi, ma aveva un suo museo?
«Sì, come altri a Rimini, per esempio il museo numismatico riminese del conte Federico Sartoni, con tutte le monete coniate a Rimini dall’epoca romana a quelle posteriori, dentro un bel mobile del ‘700, e che la figlia Teresa donò al Comune di Rimini. Quel mobile con le monete finì nel Museo cittadino, allora collocato nell’ex Convento di San Francesco. Quando il museo fu semidistrutto dalle bombe, il mobile fu portato in Gambalunga, dove tuttora è conservato, ma le monete che conteneva, nel tragitto tra l’ex convento e la biblioteca sparirono tutte. Il primo dei furti tutti impuniti di opere del patrimonio che nel dopoguerra hanno funestato con il loro fetore questa città».

Purtroppo Gianni il triste fenomeno di “riminizzazione” è passato anche da questi fatti; penso anche, per esempio, ed immagino non solo, alla sparizione della famosa “petra ociosa”. Ma quel museo conservava anche altri reperti, ed eventualmente di quale genere?
«Il Bianchi aveva una raccolta di epigrafi latine, di monete e medaglie, e di altri reperti archeologici. Ma esponeva anche una sezione di cose marine, e una anatomica dove si distingueva una raccolta di imeni femminili seccati. I gentiluomini del “grand tour”, non i nobili stranieri che lo snobbavano, ma gli eruditi che lo conoscevano di fama, consumavano le ore ad ascoltare il dottor Bianchi che spiegava ogni cosa dettagliatamente. Epigrafi e reperti del museo del Bianchi sono arrivati fino a noi e conservati nel Museo Luigi Tonini».

Beh, almeno quelli; di cui forse non è stato compreso un valore commerciabile, commento io.

«Salvatore credi che in una Rimini odierna questo personaggio avrebbe avuto la stessa notorietà che Jano Planco ebbe nella sua epoca?»

Non credo proprio Gianni. Rimini è una città abbastanza distratta a questi temi, sebbene non manchino persone che si dedicano alla cultura, sono però tenute al margine e spesso oscurate, se non dileggiate. Non da chi detiene un sapere multiforme come quello del Planco, ma da chi si arroga di possedere una tuttologia basata sul nulla, e che in realtà è volta e destinata a professare il vuoto più assoluto; diciamo il vuoto pneumatico per comprenderci meglio. Questo è, purtroppo, materializzatosi in ciò che abbiamo vissuto da oltre un decennio a questa parte.
Gianni abbozza un’espressione di approvazione e afferma che, ciò nonostante, il continuare a divulgare gli aspetti culturali che riguardano la nostra città è un arricchimento, se non altro, a memoria per le future generazioni. È la verità, speriamo che il messaggio giunga a destinazione.
Così ci congediamo; grazie ancora e alla prossima.

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