La “bolla” Carim: tutti assolti perché il fatto non sussiste

La “bolla” Carim: tutti assolti perché il fatto non sussiste

Il Tribunale di Rimini ha spazzato via le infamanti accuse nei confronti di chi ha gestito la banca dopo essere stato "rimosso" dai commissari di Bankitalia.

“Siamo molto soddisfatti per l’esito del processo che, grazie all’analitico lavoro di ricostruzione fattuale e valutazione tecnica svolto dai consulenti tecnici delle parti e dai periti del Tribunale, ha permesso di accertare la assoluta inconsistenza di accuse apparse sin da subito destituite di ogni fondamento ed infamanti”. Così gli undici difensori degli imputati nel processo Carim, che il Tribunale di Rimini ha assolto perché il fatto non sussiste. Cancellate le accuse a tutti coloro che erano finiti a processo con accuse pesanti come il falso in bilancio e l’associazione a delinquere. “Il pensiero corre in particolare all’accusa di associazione per delinquere contestata agli ex vertici dell’istituto e rispetto alla quale i nostri assistiti stanno valutando di assumere iniziative nei confronti di coloro che l’hanno resa possibile con dichiarazioni tanto gravi quanto calunniose. Occorre altresì dare merito al Tribunale di Rimini per avere affrontato le difficoltà del processo con grande equilibrio e senza lasciarsi condizionare dal clamore mediatico che da sempre aleggia intorno a questo processo”, concludono gli avvocati Mazzacuva, Catrani, Colosimo, Brancaleoni, Gualtieri, Pistochini, Consulich, Basagni, Bordoni, De Sio e Vanzini.

Il pm aveva chiesto diciotto mesi per gli ex vertici dell’istituto di credito: Giuliano Ioni (ex presidente del cda), Alberto Martini (ex direttore) e Claudio Grossi (ex vice-direttore generale). Un anno invece Franco Paesani, Alduino Di Angelo e Claudio Semprini Cesari, Vincenzo Leardini, Fabio Bonori, Bruno Vernocchi, Gianluca Spigolon, Giancarlo Mantellato e Attilio Battarra.

Assolta, quindi, la governance precedente al commissariamento di Bankitalia, nel frattempo Carim è sfuggita di mano ai riminesi (dopo che la banca era tornata in bonis ed era stata riconsegnata dai commissari al nuovo cda nel settembre del 2012) ed è approdata al gruppo francese Crédit Agricole. Ma questa è un’altra storia. Proprio oggi Federconsumatori, Adoc e Adiconsum, ancora in attesa di un incontro con Crédit Agricole, hanno detto che 0,194 euro ad azione sono una miseria per chi ha investito i propri risparmi in Carim, “un pugno di lenticchie offerto a chi ha più pagato il costo di questa crisi”.

La vicenda sulla quale oggi il Tribunale di Rimini ha scritto una pagina importante ha già visto molti capitoli, compilati forse troppo frettolosamente.
Banca d’Italia mette sotto esame Carim inizialmente dal 3 febbraio 2010 al 24 giugno 2010. Il ministro dell’Economia e delle Finanze, su proposta di Bankitalia, dispone lo scioglimento degli organi che amministrano e controllano la banca, nominando due commissari e tre componenti del comitato di sorveglianza, che si insediano il 4 ottobre 2010 assumendo l’amministrazione e la gestione della banca. Due anni di commissariamento. Gli ispettori parlano di una situazione di “gravi irregolarità” nell’amministrazione (che fanno riferimento ad inadempienze nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento del gruppo bancario, con particolare riferimento alla controllata CIS), violazioni normative e gravi perdite patrimoniali. I vertici di Carim vengono condannati prima del processo che, invece, oggi li ha assolti.
Vengono irrogate sanzioni amministrative a quei vertici e al management di Carim.
Nel luglio del 2016 il rinvio a giudizio per tutti gli imputati. Circa le accuse di false comunicazioni sociali e illecita restituzione di conferimento ai soci mediante acquisto vietato di azioni proprie, un tassello decisivo verso l’assoluzione l’avevano messo i periti Marcello Iacobucci e Armando Carrescia, rendendo superflua ogni ulteriore fase istruttoria, quando a fine novembre scorso, circa il bilancio del 2009, avevano escluso il superamento della soglia di punibilità penale (10%) e considerato non punibile l’acquisto di azioni proprie, permesso da una delibera dell’assemblea dei soci e considerato che le riserve dell’istituto erano ampiamente capienti e il capitale sociale non intaccato.

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