La piccola Pompei di via Melozzo a Rimini

La piccola Pompei di via Melozzo a Rimini

Una vasca termale, bellissimi mosaici, lussuosi marmi policromi, un pavimento riscaldato. In occasione delle Giornate Europee dell'Archeologia è stato fatto il punto sullo scavo in corso. Tre le ipotesi per spiegare quanto sta venendo alla luce: la prima è che si tratti di un’importante villa rurale, la seconda un impianto termale e la terza che si sia in presenza di un bagno pubblico. Tanta gente ha seguito l'iniziativa.

Finalmente abbiamo conoscenza di ciò che di certo è stato ritrovato negli scavi archeologici di Via Melozzo da Forlì a Rimini. Ciò per mezzo delle visite guidate organizzate ieri dalle ore 17 in poi secondo un preciso programma, in un cantiere appropriatamente e professionalmente attrezzato a tal fine.
La manifestazione è stata realizzata nel quadro delle iniziative del Ministero della Cultura francese, che per mezzo dell’Istituto nazionale di ricerca archeologica preventiva (INRAP), ha istituito le Giornate Europee dell’Archeologia (GEA), evento che ha conosciuto un crescente sviluppo con il coinvolgimento di moltissimi paesi europei. In occasione delle GEA, che si tengono ogni anno il terzo weekend di giugno, tutti gli attori del mondo dell’archeologia si mettono all’opera per far scoprire al pubblico i tesori del patrimonio, i retroscena del settore e poter così valorizzare le testimonianze e i rinvenimenti archeologici. Il Museo della Città ha aderito all’iniziativa, proponendo l’unico scavo in corso del momento a Rimini.

Un momento della presentazione delle scoperte archeologiche in via Melozzo da Forlì.

Ma è anche una soddisfazione di Rimini 2.0 che da subito ha compreso, dato risalto e seguito, quella che si è rivelata una grande scoperta, e che ne ha sempre auspicato la divulgazione a tutti gli interessati.

La Rimini sepolta: un grande edificio absidato in via Melozzo da Forlì

Nuovi ritrovamenti archeologici in via Melozzo da Forlì

La Rimini antica restituisce un bellissimo pavimento a mosaico

Oscurata l’area archeologica di via Melozzo da Forlì

A tal proposito la visita che doveva svolgersi dalle ore 17 alle ore 19 in gruppi da venti persone ciascuno, dato il notevole interesse e l’affluenza, ha reso necessario istituire ulteriori turni nelle successive ore 19. In tutto hanno quindi visitato il sito ben oltre un centinaio di persone, un segnale concreto dell’attenzione di tanti alla vera storia riminese.

E ciò dovrebbe costituire un chiaro messaggio alla sordità culturale, che invece si prodiga di proporre modelli alieni e alternativi a dir poco bislacchi. Ma come si dice, “non v’è peggior sordo di chi non vuol sentire”.
La prima cosa certa è che non si tratta di un edificio religioso come si poteva ipotizzare inizialmente, ma un sito civile che ha avuto diverse stratificazioni nel tempo.

Prima del periodo ottocentesco caratterizzato dal Foro Boario esisteva un insediamento agricolo, temporalmente individuato dal tardo medio evo al rinascimento. Lo testimoniano i ritrovamenti di oggetti di uso comune quali falcetti, asce da squadro per travi, fusaiole, monete e cocci di oggetti di terracotta anche policroma; poi zoccoli di mulo animali di varia utilità specie in quei tempi.
Ma anche fondazioni di edifici di un certo rilievo, che interferirono con il sottostante strato ben più antico.
Del resto questo fu un territorio ricco della presenza di acque, e di tutto ciò che ne poteva conseguire; probabili terme prima, orti e coltivazioni in seguito.
Ma arriviamo al pezzo forte, ovvero alle strutture romane di epoca imperiale, ed alle tracce dell’edificio di quell’appartenenza.
Qui si avanzano tre ipotesi e, a dire degli archeologi, sarà difficile definire la giusta attribuzione.

La prima è che si tratti di un’importante villa rurale, la seconda di un impianto termale, e la terza che si sia in presenza di un bagno pubblico.
In ogni caso è emerso questo. La parte absidale, ancora da indagare appieno, che è stata colmata da detriti conseguenti al crollo della struttura soprastante, ha già restituito lacerti di coccio pesto e mattoni forati posti nelle pareti perimetrali per il passaggio dell’aria calda; tanto da far pensare ad una vasca termale in un ambiente con pareti riscaldate.
Nella zona attigua poi, ecco un pavimento di mosaico a foggia di losanghe ed altre figure geometriche che, sempre a detta degli archeologi, sono paragonabili e possono essere coevi a quelli ritrovati ad Anzio o alla Villa del Centenario a Pompei; sebbene, sempre a loro parere, sia difficile datare le strutture dal disegno del mosaico.

Dai reperti ritrovati, emerge comunque l’importanza dell’edificio per alcune caratteristiche riscontrate: la presenza di tanti marmi, policromi e di varie provenienze (tra cui pare una egiziana), rosso di Verona ed altri di colore chiaro di Carrara, indicano una ricchezza costruttiva tipica di un benestante di allora o di un edificio pubblico. Le esperienze di un competente archeologo illustratore, affermano che difficilmente negli scavi si ritrova tanta opulenza di marmi e con una geometrica conformazione atta ad eseguire precise decorazioni, che indicando un certo stato di benessere del committente; diversamente venivano simulati con tecniche pittoriche.
Poi nell’area attigua la presenza di un pavimento riscaldato, non visibile ma dichiarato, antesignano dei nostri odierni ma con la tecnologia di allora.
Tornando alla stratificazione medievale, ritroviamo la traccia di una strada acciottolata, di cui abbiamo dato precedentemente conto, più volte ripristinata e ridattata nel tempo successivo, indice della conferma di una validità viaria, poi buche nei mosaici per infissioni di pali lignei o per la conservazione di cibi ed infine … una tomba.
Sotto questi coppi, che ancora devono essere approfonditamente indagati, pare si trovi la sepoltura di un infante.

Quanto ai ritrovamenti esposti, tralasciando quelli già descritti di origine medievale, si mostrano porzioni di intonaco finemente decorato delle pareti in elevazione. Vi è da sottolineare che, a detta del competente archeologo illustratore, l’utilizzo del colore blu qui impiegato rivestiva una grande importanza, considerato che in quei tempi quel pigmento era assai costoso pertanto insolito da trovarsi comunemente.
In sostanza questo piccolo tesoretto sta riservando grandi ed inaspettate sorprese che, pur nelle tante ipotesi, certifica inequivocabilmente che il Borgo Sant’Andrea ha origini ben anteriori al Medioevo e può regalare tante e finora inimmaginabili bellezze sepolte.
Si tratta solo di alcuni “assaggi” ma da ciò che avevamo compreso inizialmente e dato conto, tanto deve ancora emergere. Ad esempio, gli archeologi riferiscono che forse non sarà possibile attribuire con certezza la natura del sito di cui al momento sono stati indagati circa 160 metri quadri, perché non si potrà procedere oltre l’area attuale in quanto il resto potrebbe essere celato al disotto di porzioni private.

Sicuramente però la suddetta zona restituirà altre sorprese, auspicando che lo spirito di questa iniziativa prosegua informalmente dandone conto da parte nostra ai molti curiosi.
Non abbiamo avuto il coraggio di chiedere agli addetti ai lavori che fine farà lo scavo. Forse verrà anonimamente ricoperto, anche se in opportuna maniera si potrebbero rendere visibili alcune parti peculiari non interessanti la viabilità. Ma speriamo che almeno nel Museo cittadino rimanga una solida traccia storica, tanto da ricordare che il Borgo Sant’Andrea ha radici ben più antiche di quelle che l’attuale storia cittadina ci ha finora indicato.

Un museo resta vivo ed interessante se cresce nel tempo ed al passo dell’evoluzione storica ed archeologica della città; se induce rinnovate curiosità che attraggono nuovi e consueti visitatori. Diversamente siamo alla monotona cristallizzazione di quello felliniano a venire, il Part e altre minestre riscaldate.
Ringraziamo quindi i promotori e coloro che hanno aderito a questa bella ed unica giornata, tanto da domandarsi se in mancanza di quest’opportunità e degli articoli che hanno alzato il velo sugli scavi, il locale apparato culturale avrebbe mai pensato di organizzare un evento simile; perdonate l’ovvio scetticismo in proposito, ma da anni siamo afflitti da una forte banalizzazione ed esclusione di ciò che non appartiene alla categoria “felliniana”.

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