La Rimini sepolta: un grande edificio absidato in via Melozzo da Forlì

La Rimini sepolta: un grande edificio absidato in via Melozzo da Forlì

Un altro considerevole ritrovamento, degno di essere portato alla conoscenza dei riminesi. Speriamo che chi di dovere non richiuda tutto senza darne adeguata informazione.

Circa un mese or sono un quotidiano locale riportava la notizia di un ritrovamento archeologico in Via Melozzo da Forlì, emerso durante i lavori di posa delle condutture del PSBO.
Nell’articolo, un noto ed autorevole storico locale ipotizzava trattarsi dei resti di uno dei due conventi che in antichità si trovavano nei pressi del Borgo Sant’Andrea o San Gaudenzo; Santa Maria in Mirasole o quello detto delle Santucce.
Proseguiti gli scavi ad opera degli archeologi, dai primi accenni di strutture oggi emerge una parziale sagoma che prelude un vasto edificio absidato, con murature regolari, definite, e di spessore tale da pensare ad una considerevole altezza, tanto da potere teorizzarne la parte retrostante di un importante edificio religioso. Ipotesi s’intende, ma interessanti, perché le operazioni di indagine sono tuttora in corso.

In ogni caso, date le premesse storiche, si tratta di un considerevole ritrovamento e degno di essere portato alla conoscenza dei molti interessati alle – vere – radici della nostra città, ed in particolare degli abitanti di quel Borgo.
E la prova è che oggi si è evidentemente deciso di ampliare gli scavi, vista la presenza dei mezzi d’opera necessari alla demolizione del circostante piazzale.
Data la posizione del sito, ubicata tra la sede stradale, una proprietà privata ed un attiguo parcheggio pubblico, probabilmente lo scavo verrà ampliato fino al possibile e, successivamente, nuovamente interrato; ma questo non è il punto, il concetto è altrove come sempre.
Ancora una volta emergono testimonianze del passato, ed a Rimini ciò avviene ogni volta che si realizza un’opera edile o infrastrutturale in determinate zone, peraltro ben e troppo note per questa loro peculiarità. In una città che ha l’ambizione di candidarsi quale prossima capitale della cultura, lo ribadisco, questi eventi dovrebbero essere adeguatamente considerati e portati alla conoscenza dei tanti interessati nei modi più appropriati. Perché le piccole scoperte, al pari delle maggiori, fanno la grande storia specie quella di una comunità.

Per esempio, e non solo, il Comune di Rimini ha un importante mezzo di comunicazione nella Newletter RiminiInOnda, con la quale l’amministrazione comunica tutta una serie di iniziative e accadimenti, spesso conditi di reclamistica auto celebrativa. Perché quindi non inserire nel predetto messaggio comunicativo anche i ritrovamenti archeologici, dando aggiornamenti successivi?
Ma come al solito nessun risalto o notorietà da parte dell’amministrazione civica a questi argomenti. È una sorta di “sindrome del capomastro” tutta riminese; ovvero quella che scoperto un reperto archeologico durante i lavori, si deve in qualche modo evitare di renderlo noto per non avere impicci. Gli esempi abbondano, da Piazzetta San Martino a Piazza Malatesta ed oltre.

È fin troppo chiaro che una città come Rimini debba trovare un punto di equilibrio con il suo suolo e sottosuolo; con il suo passato ed il suo futuro passando per il presente. E questo è possibile solo con la conoscenza della – vera – storia e senza improvvisazioni estemporanee, che oltretutto stanno banalizzando la città specie all’estero. Tipico aspetto imperante dell’odierna riminizzazione culturale, mutuata dal neologismo introdotto dal Dizionario Italiano. Se il cantiere non sarà occluso dalle solite reti oscuranti a scanso di “occhi indiscreti”, sarà piacevole seguire gli sviluppi di questa bella ed inaspettata scoperta, che può risvegliare interesse per un bel Borgo ricco di storia e tradizioni, ancora vivo di persone e botteghe e fortunatamente scampato all’orrore del cantinettificio di altri siti cittadini similari.

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