L’avventurosa storia della «Madonna di Rimini», la scultura di recente restaurata a Venezia

L’avventurosa storia della «Madonna di Rimini», la scultura di recente restaurata a Venezia

E' una vicenda che comincia nel terzo secolo e che unisce arte e devozione popolare. Cosa ci fa una scultura lignea che prende il nome della Beata Vergine delle Grazie, indissolubilmente legata a Rimini e in particolare al Santuario di Covignano, in una storica chiesa veneta?

A Venezia, in una chiesa dalla lunga storia e dalla radicata devozione popolare, c’è una statua in legno della Beata Vergine delle Grazie indissolubilmente legata a Rimini, perché qui «fu formata dagli Angeli in un heremo nella città di Arimini», come recita un antico opuscolo. Viene anche chiamata la «Madonna di Rimini».
Di recente la scultura lignea è stata riposizionata nella chiesa di San Marziale (in onore del vescovo missionario del III secolo san Marziale di Limoges) nel quartiere di Cannareggio, a nord del Canal Grande, dopo un lungo restauro durato quasi un anno e mezzo, che ha fatto riaffiorare le decorazioni originali risalenti al tardogotico. E’ la sola in tutta Venezia di questo periodo storico che vanta la policromia originaria.

La Beata Vergine delle Grazie riposizionata nella chiesa di San Marziale dopo il lungo restauro (Si ringrazia Antonio Mazzotti per le fotografie).

La sua vicenda è a dir poco avventurosa e comincia fra Duecento e Trecento.
La leggenda attribuisce ad un pastorello di Rimini, di nome Rustico, l’opera scolpita su un unico tronco, il cui volto della Vergine sarà poi completato dagli angeli. E a guardarla questa scultura, sembra davvero di scorgervi una mano «rustica», quanto meno nel tratto dei volti.
Si diceva della leggenda, la quale narra che nel 1286 fu ritrovata, miracolosamente trasportata dalle acque fino alla riva accanto alla chiesa di San Marziale, questa statua. La devozione fu talmente vasta che nel 1409 venne fondata una Confraternita della Beata Vergine delle Grazie, che ha operato fino a qualche decennio fa, che il 2 luglio di ogni anno celebrava una partecipatissima festa che cominciava a fine agosto e terminava il 10 luglio.
«Rustico incepta / a nobis perfecta», cioè cominciata da Rustico, da noi compiuta. Questo sta scritto nel cartiglio metallico, retto dagli angeli, che accompagna la scultura.

Il paliotto marmoreo raffigurante il viaggio della Madonna da Rimini fino a Venezia.

Nella chiesa di San Marziale il paliotto dell’altare racconta il viaggio della Beata Vergine delle Grazie e anche alcune tele di Sebastiano Ricci ricordano gli angeli che scolpiscono la statua della Madonna e l’arrivo della statua.

Qui e sotto, due tele con lo stesso soggetto che si trovano nella chiesa di San Marziale.

Il Santuario delle Grazie, sul colle di Covignano, è il più antico della città e risale al 1391-96. Venne edificato su una precedente cappella, che a quanto pare non spuntò a caso. Fu eretta in ricordo di un fatto miracoloso. Quello che la devozione popolare fa coincidere con la scultura destinata a lasciare a Rimini e a raggiungere Venezia, seguita da alcuni «devoti cittadini riminesi» e alla quale si attribuiscono numerosi miracoli.
Di seguito il testo integrale della leggendaria immagine venuta da Rimini e approdata a Venezia (pubblicato in: Giuliano Pavon, Notizia sulla chiesa di San Marziale a Venezia).

La Divina Provvidenza, la quale spesso si serve di mezzi umili per operare grandi cose, impiegò l’opera di un innocente pastore per arricchire Venezia d’un imcomparabile tesoro, qual è la prodigiosa immagine di Maria Vergine onorata nella parrocchiale chiesa di san Marziale, detta volgarmente san Marcilian.
Nell’anno di Nostro Signore 1286, sedendo sul trono di san Pietro Nicolò Papa IV, nel territorio di Rimini, città dello stato Pontificio, posta in vicinanza alle sponde del Mar Adriatico, viveva un semplice pastorello di nome Rustico; quanto abbietto agli occhi del mondo per la povertà delle sue condizioni, altrettanto grato a Dio per la innocenza dei suoi costumi, per una tenera devozione che professava alla Divina Madre Maria.
Conducendo egli un giorno d’estate, secondo il solito suo impiego, il gregge al pascolo, ritirossi nel meriggio per difendersi degli ardori tropo cocenti del sole all’ombra di alcuni faggi, ove mentre stava riposando gli parve di vedere in un vicino boschetto irrigato da freschissime acque, alle quali aveva ridotto a dissetarsi le sue pecorelle, un tronco d’albero, che in gran parte aveva l’apparenza di figura femminile per uno scherzo prodotto dalla natura, quantunque però di scultura altri principi non avesse, che per fare zampogne pastorali e rustiche tazze; con tutto ciò si sentì dalla propria devozione di formar da quel tronco una statua rappresentante Nostra Signora.
Intraprese dunque con devoto fervore l’opera, e dopo alcuni giorni di lavoro la ridusse a tal termine che nulla mancava a perfezionarla se non il formarne la venerabile faccia. A questa dunque che era la parte più delicata del suo lavoro s’accinse con particolare attenzione ed impiegò una giornata intera a tirarne i primi lineamenti, per continuare nei susseguenti giorni.
Ritornato dunque nei primi momenti dell’alzarsi del sole al proseguimento del suo lavoro, vide con somma sorpresa e dolore, sfigurata l’incominciata faccia, per opera del nemico infernale, che voleva in tal modo far desistere il devoto giovane dall’impresa. Fu però dalla devozione superato il timore, e s’accinse nuovamente il buon uomo a proseguire l’opera incominciata; ma anche nei giorni seguenti trovò nella notte distrutto quanto egli aveva lavorato nel giorno antecedente.
Disperato dunque Rustico di poter arrivare alla fine della sua fatica, mentre il terzo giorno colto dalla tristezza disegna di abbandonare l’impresa, ecco si vede comparire davanti due giovanetti, che mostrando di aver smarrito il sentiero, al vederlo così malinconico, gli chiesero la ragione del suo dolore, risaputa, cortesemente si esibirono di compiere essi completamente il lavoro.
Consegnò ai due giovinetti il tronco difformato della faccia, ed i rozzi suoi ferri, che adoperati maestrevolmente da essi, perfezionarono in breve ora la maestosa faccia della prodigiosa figura.
Attonito il pastore ad una così inaspettata riuscita, mentre li va interrogando del loro essere e condizione, si sente rispondere di essere riuscito molto grato alla Madre di Dio il di lui buon animo, ed essere da Essa stati mandati a compiere l’opera disturbata per la diabolica invidia.
Rustico viene invitato a recarsi dal vescovo e dal governo di Rimini, ed intimar loro che per obbedienza al Divino volere, dovessero porre l’ammirabile statua in una barchetta senza uomo al timone e lasciarla in mare a disposizione della Provvidenza.
Conosciuta nel frattempo con certezza la verità dei fatti esposti, e risaputi gli occorsi miracoli, il prelato indisse una solenne processione del suo clero, e si portò accompagnato da numeroso popolo, al luogo ove era situata la miracolosa immagine. Arrivati al porto, la statua della Madre di Dio si fermò con tanta forza che non vi fu sforzo valevole a muoverla, onde conobbero esser precisa volontà di Dio che riposta fosse in una navicella senza condotta di uomo ed abbandonata alla direzione del cielo.
Decentemente adornata, fu riposta in una barchetta, la quale subito avanzò verso Venezia, seguita su un’altra barca da alcuni cittadini riminesi desiderosi di vedere l’esito del prodigioso viaggio.
Attraversato dunque felicemente il mare, entrò la piccola barca carica del sacro peso nel porto di Malamocco, e per i canali della laguna, s’avviò a Venezia, in cui entrò per quella parte che volgarmente chiamasi Sacca della Misericordia, vicino ad un’antica Abbazia dedicata a Nostra Signora, sotto il titolo di S. Maria della Misericordia.
Si trovavano per loro buona sorte allora in vicinanza dell’Abbazia, due miserabili, cioè un vecchio cieco con un suo bambino in braccio d’età d’anni sette, nato muto, per questuare dalla pietà dei fedeli elemosina a loro sostentamento.
Al primo comparire della fortunata barchetta sciolse miracolosamente per la prima volta la lingua il muto fanciullo, ed eccitò il padre a riverir genuflesso quella maestosa Patrona, che in seno aveva un vaghissimo bimbo. Il vecchio padre non aveva ancora terminata la sua fervorosa orazione che gli si apersero gli occhi, ed ottenne perfettamente la vista.
Frattanto la barca si portò alla riva più vicina della chiesa S. Marziale, ove sopravvenendo poco dopo i devoti cittadini di Rimini, diedero ragguaglio e fecero solenne testimonianza dello stupendo e mirabile successo.
Si diffuse subito a Venezia la fama del fortunato arrivo ed accorrendo il popolo devoto alla venerazione di Maria nell’angelico lavoro, il piovano della chiesa si portò subito ad informare il vescovo di Castello esponendogli tanto l’opera della statua e il prodigioso viaggio, accreditati dalla testimonianza dei devoti riminesi, come il miracolo del cieco padre e del muto fanciullo, accaduto alla prima comparsa dell’ammirabile simulacro.
Benedisse il prelato (era allora nell’anno 1286 Bartolomeo Qurini) la Divina Clemenza, che aveva voluto visitare la sua città con sì pregevole tesoro e desiderando d’arricchere la sua Cattedrale, prescrive al piovano che accompagnato dal suo clero condur la dovesse alle rive di san Pietro di Castello per trasportarla con decoro a qualche altare della Cattedrale. Ubbidì il piovano. Nel voler eseguire gli ordini del suo Prelato, si rinnovarono i prodigi successi nel porto di Rimini, resasi la Veneranda Statua immobile, e riflettente a qualunque umano sforzo.
Si palesò con questa nuova meraviglia esser voler di Dio che collocata fosse nella chiesa di S. Marziale che, acconsentendovi il vescovo, fu con pompa solenne tradotta, onorando la sacra funzione il Doge Giovanni Dandolo, con l’accompagnamento della nobiltà e di numerosissimo popolo, lodando ognuno il Signore, che avesse in quella miracolosa immagine voluta dar a Venezia una nuova testimonianza della protezione di Maria santissima.

COMMENTI

DISQUS: 0