Lettera: il cemento cattivo e il cemento buono, piazza Malatesta e dintorni

Lettera: il cemento cattivo e il cemento buono, piazza Malatesta e dintorni

Dalla teoria passando alla pratica possono succedere cose davvero strane. A conferma che "le vie dell'inferno sono lastricate di buone intenzioni". E qui di lastre grigie ne sono state piazzate parecchie.

In principio fu il sindaco “anti cemento” che si oppose alla cementificazione del territorio, facendo di ciò il cavallo di battaglia elettorale. In seguito, in fase di nuove interpretazioni della primitiva visione, ci fu spiegata la differenza tra il cemento cattivo e quello buono. E quest’ultimo si palesò in ciò che oggi si vede nell’area dell’ex Palacongressi, che doveva vedere pure un impianto natatorio di cui l’indispensabilità per i riminesi era vera quanto lontano è quello noto già esistente (!). Tutto fu compiuto, tranne la predetta struttura ora spostata a Viserba cancellando una buona parte del Parco Don Bello. Il fatto che poteva essere allocato in quel luogo o altrove, la dice lunga quanto a giustificare quell’operazione. Ma siccome trattasi di cemento buono, qualche sacrificio bisogna farlo.

Poi la folgorazione sulla via di … Fellini. Ed ecco che quel conglomerato, del secondo tipo ovviamente, ricoprì i luoghi più identitari della città, e la sua apoteosi fu quindi conclusa. Liberate con la solita grande enfasi garampiana da commercianti ambulanti ed asfalto, oggi quelle aree si presentano completamente ricoperte da una spessa coltre di calcestruzzo armato, con un intervento, s’ipotizza volutamente, difficilmente reversibile, che ha ricoperto tutte le importanti evidenze storiche che erano state appena emerse dai primi scavi e non indagate, perlomeno come dovuto. A cui poi seguì il taglio di importanti alberi secolari, la rimozione di storiche pavimentazioni ottocentesche in ciottoli, e chissà cos’altro.
Quattro sassi, non di certo il “tesoro di Tutankhamon” come ci fu detto, facendoci rimpiangere il fatto che quel Faraone non regnò mai a Rimini. Peccato che la città fu solo dominata dalla famiglia Malatesta, e che fu fatta grande nel Rinascimento da un certo Sigismondo e con tutto ciò che il suo operato comportò a livello artistico, culturale, umanistico, militare ed oltre; capita qui da noi, forse solo qui perché a Rimini tutto s’immagina.

Oggi tutta l’area compresa tra la Piazzetta San Martino, anch’essa piena di testimonianze occultate, e Piazza Malatesta è un’enorme triste e anonima lastra di cemento, che sebbene rivestita in pietra, tale resterà nonostante i pacchiani allestimenti che lì saranno posti come piovuti dal cielo. Uno sgangherato allestimento che urla con la presenza del Teatro e dell’oltraggiato “contenitore” altrimenti e in passato detto Rocca Malatestiana o Castel Sismondo.

Ma nell’immaginario sindacale, fautore principe del progetto, questi monumenti, pure malamente agghindati, dialogano tra loro. Dapprima poteva sembrare la solita boutade a cui siamo ormai abituati, ma in realtà questo è vero perché già asfissiati, o uniti, dal magma cementizio a foggia di lapide, essi recitano: qui giace l’identità storica e culturale di una città che conobbe grandi fasti nel Rinascimento, ed ora cancellati e annichilita da ridicoli orpelli e interpretazioni pseudo storiche, mostra di sé il lato peggiore di ciò che si poteva immaginare; una storica grande occasione persa di cui ci pentiremo in futuro.
Sicuramente questa epigrafe non verrà mai scritta in questa lapide; ma coloro che, conoscitori della vera storia cittadina e sensibili a più alti orizzonti culturali, transiteranno per quei luoghi, lo potranno comunque agevolmente leggere semplicemente mirando lo scempio perpetrato.

Salvatore de Vita

COMMENTI

DISQUS: 0