Lettera: quante banalità su Fellini e Rimini

Lettera: quante banalità su Fellini e Rimini

«Senza Federico Fellini la sua città natale sarebbe solo una stazione balneare». Ma no, dai. Questo è troppo. Rimini è ben altro di questa caricatura tratteggiata da "voci" che poco conoscono della storia della città.

Alcuni mezzi di informazione locali hanno di recente riportato con grande enfasi due articoli afferenti al medesimo tema, riguardante ciò che sta accadendo a Rimini a proposito della fellinizzazione coatta. Il primo a cura di un’importante rivista americana, ed il secondo da una prestigiosa testata giornalistica tedesca. Non è dato sapere quanto ciò sia stato in qualche modo “promosso” dall’amministrazione locale, ma di certo, conoscendo chi la guida, reca motivo di gongolarsene.
La notizia è stata però riportata “sic et simpliciter” senza ulteriori analisi, così come peraltro sono stati confezionati i predetti articoli.
Nel primo caso occorre fare una doverosa premessa. Si dà atto dell’importante cultura della nostra città e del suo passato storico; poi però si scade nel rilievo che si dedica alla consacrazione felliniana della città ad opera di “un sindaco dinamico (che) ha rivitalizzato l’eredità del regista…”. In seguito un accenno ai monumenti cittadini fino a Castel Sismondo, senza entrare nel merito di cosa accadrà a quell’importante monumento.
Gli americani, per il loro vissuto, hanno una storia recente e, a parte i non pochi estimatori d’arte legati al mondo della cultura, spettacolarizzano di tutto in modo quanto meno superficiale, miscelando spesso aspetti poco conciliabili tra loro.
Ma veniamo alla testata giornalistica tedesca. Senza mai avere messo piede a Rimini, così pare, si afferma che “C’era una Volta Rimini … Senza Fellini la città non sarebbe la stessa” e che “la città lo onora con un nuovo museo”. “Senza Federico Fellini la sua città natale sarebbe solo una stazione balneare”.
Con l’affermazione riduttiva e fuorviante, qui la superficialità raggiunge il suo massimo apice. Costoro non sanno che Rimini non è Fellini e viceversa, e che la città, seppure oltraggiata dalla guerra e da inopportune scelte politiche succedutesi fino ad oggi, può brillare di luce propria; del suo passato e dei suoi residui monumenti opportunamente valorizzati e dalla corretta divulgazione della sua storia di cui il regista è solo un attore, al pari di tanti altri in molti casi ben più importanti.
Quanto poi all’entusiasmo con cui l’autrice dell’articolo si sofferma su quello che sarà il museo felliniano, non si accenna al fatto che ciò cancellerà la memoria Malatestiana nei suoi molteplici aspetti. Sarebbe come dire che nella città da cui quel giornale proviene, si allestisse un improbabile “museo dei barattoli” nella casa natale di Goethe.
Ma non si approfondiscono neppure altri temi riguardanti, ad esempio, perché il teatro Galli sia stato costruito in tal modo, o del perché ancora una struttura educativa privata occupi il sedime di un importante Anfiteatro Romano.
Sarebbe quanto mai opportuno che gli autori di questi “pezzi” giornalistici approfondissero meglio questi argomenti, e specie per il secondo che prende spunto dal tormentone, detta chiave di lettura, dove a Rimini “tutto si immagina”, di recarsi a Rimini dove l’immaginazione travisa la realtà.
Magari per incontrare gli storici locali emarginati, per capire meglio la storia millenaria della città e dei protagonisti che l’anno fatta. Perché non corrisponde affatto al vero che “oggi la città lo onora di un nuovo museo” come si riporta riferendosi a Fellini, ma ciò avviene solo ed esclusivamente ad opera e per volontà di un solo soggetto o di pochi altri fedeli seguaci. E ben venga anche questo, ma non a patto di cancellare e rinunciare alla storia, quella vera, perché i veri valori non hanno prezzo, non si negoziano e non si barattano neppure con la mediocrità.

Salvatore De Vita

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