“L’ingresso alla città dall’acqua e l’importanza di alzare il ponte della Resistenza”. Intervista a Ermete Dalprato

“L’ingresso alla città dall’acqua e l’importanza di alzare il ponte della Resistenza”. Intervista a Ermete Dalprato

Recuperare il porto come ‘porta marina’ d’accesso alla città. Ne spiega l'importanza l'ex direttore dell’Area tecnica del Comune di Rimini, oggi titolare della cattedra di Urbanistica all’Università di San Marino. E sul problema delle banchine dice: "l’errore progettuale sarebbe emendabile con un intervento abbastanza semplice”.

Il dibattito che Riminiduepuntozero ha promosso sul porto e sulla sua sistemazione, che ha il punto cruciale nel ponte della Resistenza, si arricchisce oggi della voce dell’ingegnere Ermete Dalprato, che da direttore dell’Area tecnica del Comune di Rimini presentò dodici anni fa il Piano Programma che riguardava l’intero asse del canale, dall’imboccatura al ponte di Tiberio.

E l’ingegnere Dalprato, oggi titolare della cattedra di Urbanistica all’Università di San Marino, riflette per Riminiduepuntozero su quel progetto del quale solo una piccola parte ha finora trovato attuazione.
“Se si guarda all’orografia antica – dice l’ingegner Dalprato – si vede che in origine due fiumi lambivano Rimini: l’Ausa a sud e il Marecchia a nord. Entrambi, nel tempo, sono stati inglobati nel tessuto urbano dall’espansione della città. Nel ‘76, quando ho iniziato a lavorare presso il Comune di Rimini, ricordo che c’era lo slogan “Rimini vivere nel verde”, con il quale si promuoveva il progetto di sistemazione dell’Ausa e del Porto. L’Ausa, che era ormai ridotta ad un rigagnolo maleodorante, è stato sistemato in modo definitivo con il tombinamento che lo ha fatto diventare un parco.
La sistemazione del porto era stata disegnata dall’architetto Viganò, che sviluppò il progetto di sistemazione delle banchine. Si trattava di un progetto innovativo perché faceva utilizzare le banchine come percorso urbano. Quella preziosa risorsa architettonica è invece ancora inutilizzata anche perché viziata da un errore sulla quota del medio mare, che la fa andare sott’acqua in determinate condizioni di meteo e di marea. Si tratta di una pregevole opera di architettura urbana che ancora oggi si può ammirare nonostante il degrado fisico per mancata manutenzione e l’errore progettuale sarebbe emendabile con un intervento abbastanza semplice”.

Il ‘progetto Viganò’ può considerarsi ancora attuale?
“Di quel progetto – risponde Ermete Dalprato – andrebbe recuperata l’idea del porto come percorso d’ingresso nella città. Infatti il canale è una ‘porta urbana’ inserita nel sistema urbano perché attraverso di essa c’è la possibilità di entrare in città.
Una città la si vede e la si percepisce dalle sue porte d’ingresso. Quelle moderne sono diventate l’aeroporto, la stazione e i caselli dell’autostrada. Una volta c’erano le porte urbane e quindi a Rimini l’Arco d’Augusto, il Ponte di Tiberio e la Porta Montanara; ma c’era anche il porto che era l’entrata della città dal mare. Questa quarta porta è rimasta anche nella città moderna. Va quindi recuperato il porto come ‘porta marina’ d’ingresso alla città. Come percorso storico-culturale. Sarebbe interessante poter riproporre l’ingresso in città dall’acqua”.

Il concetto di porta urbana ritorna anche nel Piano Programma del Comune presentato nel 2006.
“In quel Programma il porto era stato pensato come sistema urbano proprio perché non è semplicemente un approdo ma una vera porta. Quindi la città deve rivolgersi verso il porto con le sue offerte migliori e non voltargli le spalle. Non a caso, per esempio, la parte pregiata delle città di mare (come Venezia, con Piazza San Marco) è aperta sul mare.
Il Piano Programma concepiva il porto non come un’area specialistica ma come un’area urbana complessa, articolata in quattordici zone che richiedono diversi approcci e distinti interventi però con una visione unitaria. Il porto va recuperato come percorso pedonale, ciclabile (come è stato fatto e si sta facendo) ma anche sull’acqua che, sia a destra sia a sinistra, è ricco di testimonianze storiche che partono dal faro e proseguono via via sull’intera asta del canale. Alcune di queste testimonianze storiche sono poco conosciute anche dagli stessi riminesi. Penso ad esempio ai quei piccoli gioielli che sono gli antichi squeri di alaggio in mattoni e pietra d’Istria, oggi purtroppo in stato di abbandono, che si trovano sulla sinistra.
Per utilizzare il porto come via d’acqua è importante alzare il ponte della Resistenza, così da permettere alle imbarcazioni di arrivare al bacino a monte del ponte di Tiberio, dove è stato portato a termine un intervento indubbiamente pregevole. Per di più il Ponte di Tiberio, che si trova al termine di questo prezioso itinerario storico, è punto di partenza di un percorso naturalistico che, percorrendone le sponde, si inoltra fino a Verucchio snodandosi lungo il Marecchia.
Per questo più che un Piano del porto si può parlare di un Programma di intervento complesso, che andrà fondato su diverse metodologie e affidato a una pluralità di operatori, ma basato sull’idea forte che è la riappropriazione del concetto di porta di accesso alla città”.

COMMENTI

DISQUS: 0