Il vero tesoro di cui Rimini dispone e che attende di essere riportato alla luce: la rocca malatestiana tutta intera, col suo fossato. Quattordici ricostruzioni elaborate da Giovanni Maccioni utilizzando le misure del Valturio, i disegni dell’ingegnere Andrea Zoli del 1825 e le sezioni della controscarpa orientale dell’ingegnere Pacifico Barilari. Un lavoro dedicato a Dino Palloni e offerto a tutta la città.
«Queste ricostruzioni virtuali sono dedicate al caro amico Dino Palloni, grande castellologo, scomparso prematuramente con nostro grande dispiacere, che ci insegnava con maestria come analizzare i castelli nella loro complessità, e concepire la loro evoluzione fase per fase. Castel Sismondo era uno dei suoi preferiti ed aspettava con ansia che il grande fossato venisse scavato e rivelasse i suoi segreti». Così Giovanni Maccioni, un nome nel quale i lettori di Rimini 2.0 si imbattono da un po’ di tempo con una certa frequenza.
Di cosa stiamo parlando? Delle «straordinarie immagini che ricreano nella sua novità ossidionale e architettonica quasi piranesiana» l’imponenza di Castel Sismondo, come ha scritto su questo foglio online il prof. Giovanni Rimondini.
L’autore delle magnifiche ricostruzioni è, appunto, Giovanni Maccioni, «il castellologo e ben attrezzato grafico reggino» che «ha fatto il miracolo di ripristinare le vedute del castello e del fossato al tempo di Sigismondo Pandolfo».
Maccioni non è nuovo a Rimini e alla Rocca perché sempre di suo conio furono le immagini per la sala didattica del castello in un progetto che in passato coinvolse la Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, Dino Palloni e lo stesso Rimondini.
Osservatele queste inedite vedute. Provocano un tuffo al cuore. Fanno volare la mente a circa la metà del 1400, al Signore di Rimini e alla sua Rocca, nella costruzione della quale c’è il genio, nientemeno, di Filippo Brunelleschi. Questi squarci ci mettono a tu per tu con lo splendore di Castel Sismondo, quasi come fosse stato riedificato per noi, e rendono più semplice, quasi immediato, comprendere la portata dell’immenso tesoro sepolto di Rimini, che tutta la città dovrebbe avvertire come un dovere riportare alla luce.
Si tratta di ricostruzioni grafiche, ma ben fondate su dati di realtà. «Giovanni con maggiore precisione critica ha rivisto le pur belle immagini precedenti, facendo attenzione soprattutto al fossato, utilizzando le misure del Valturio, i disegni dell’ingegnere Andrea Zoli del 1825 e le sezioni della controscarpa orientale dell’ingegnere Pacifico Barilari, tutti misurati in metri e quindi attendibili», ha chiarito Rimondini. «Ha usato i colori della veduta di Piero della Francesca mostrandoci il castello e il fossato com’era ‘nuovo’ appena costruito e intonacato ai tempi belli di Sigismondo Pandolfo. I castelli erano intonacati coi colori araldici dei padroni; quelli dei Malatesta e dei loro parenti Gonzaga ed Este erano i colori del partito guelfo: il bianco rappresenta la Fede, il rosso la Carità e il verde la Speranza».
Rimini 2.0 è grato a Maccioni e a Rimondini che, su piani diversi, hanno sviluppato questo livello di conoscenza e approfondimento, restituendoci un autentico spettacolo di magnificenza. Al primo, per avere dato spessore estetico alle informazioni storiche disponibili. Al secondo, per la matura competenza e per la giovanile passione profuse. Si pensi solo agli articoli dell’ultimo anno elaborati sulla autorìa di Brunelleschi, riconosciuti da autorevoli studiosi (ad esempio l’eminente storica dell’architettura Anna Maria Matteucci Armandi Avogli Trotti) come solidamente fondati e in grado di aprire scenari di assoluta novità su Castel Sismondo.
Bianco-rosso-verde: i colori del castello. I colori araldici dei Malatesta, degli Este e dei Gonzaga erano quelli guelfi, simboleggiavano il bianco la Fede, il rosso la Carità, il verde la Speranza, le tre virtù teologali. I castelli erano colorati, quelli di Federico di Montefeltro dovevano esibire i colori imperiali o ghibellini: giallo, con una torre nera. Camera alta o veduta a volo d’uccello, facciata verso la città, da nord.
Le quattro battagliere: fossato, falsabraga, spalto, torri e palazzo d’Isotta. Camera alta o veduta a volo d’uccello, veduta da est.
“Come piramidi” le scarpe della torre del Marecchia e del promurale: Camera alta o veduta a volo d’uccello, da ovest.
La veduta del castello da meridione con le mura medievali e del 1431 intorno alla corte del soccorso e alla porta del gattolo. Camera alta o veduta a volo d’uccello da sud.
I due piani del cassero, con l’abitazione di Sigismondo Pandolfo e sopra la grande sala. Camera alta, o veduta a volo d’uccello, da nord-ovest.
Lo spalto verso il Marecchia, del quale rimane una parte dell’apparato a sporgere. Camera bassa, veduta da ovest.
L’ingresso dalla città con il “rastello”, collegato con una palizzata sull’orlo del fossato. Camera bassa da nord.
Il grande balcone del palazzo d’Isotta. Dentro il fossato. Appare l’effetto bastione del fossato. Camera nella battagliera del fossato, da est.
Sembra di stare dentro le fortificazioni del Vauban del XVII secolo. Queste “piramidi” rimangono nelle fortezze del ‘500 e del ‘600, chiamate bastioni, tutto il resto del castello sparirà. Camera nella battagliera del fossato, da est.
I ponti levatoi e morto dell’ingresso verso la piazza, ancora di concezione medievale. Camera nella battagliera del fossato, da est.
La torre verso il Marecchia mostra l’effetto “piramide” notato dal Valturio. Camera nella battagliera del fossato, da ovest.
Lo stesso effetto piramidale e di bastione alla Vauban. Camera nella battagliera del fossato, da ovest.
Fossato esterno, lo stesso effetto di canyon. Camera nella battagliera del fossato, da est.
Fossato esterno. Camera nella battagliera del fossato da ovest.
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