Non è che Cl si stia impegnando poco per riuscire a portare papa Francesco al Meeting. Il tema delle "periferie" abbonda nelle ultime edizioni. Così come la presenza di alcune delle persone più vicine a Francesco, a partire dai preti delle villas miserias di Buenos Aires. E allora perché il pontefice continua ad essere freddo verso la kermesse ciellina? Perché la considera un evento da ricchi. Mentre lui chiede al movimento guidato da Julian Carron di farsi prossimo ai poveri. Snaturando il carisma di don Giussani.
Non è che Cl si stia impegnando poco per riuscire a portare papa Francesco al Meeting. Corteggia gli uomini di chiesa e i laici a lui più vicini (anche quelli che abitano lontano), lo invita formalmente e informalmente, come fece due anni fa Emilia Guarnieri (nella foto) al termine della udienza in piazza San Pietro per il decimo anniversario della morte di don Giussani e il sessantesimo della nascita del movimento. E sguinzaglia i diversi “ambasciatori” (in abito talare e non) per raggiungere l’obiettivo. Da anni. Ma il Papa continua a declinare. Perché?
Nel 2014 il titolo stesso del Meeting faceva il verso alla principale preoccupazione di Francesco: “Verso le periferie del mondo e dell’esistenza. Il destino non ha lasciato solo l’uomo”. Ma già dal 2013 alcuni degli uomini più familiari al pontefice non passavano inosservati nel programma dell’evento che si tiene al quartiere fieristico di Rimini: José Maria “Pepe” di Paola, parroco di Villa 21 a Buenos Aires, Guzmán Carriquiry, Segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina, Alver Metalli, giornalista della testata vaticanista più “francescana” oggi in azione, Vatican Insider, e autore del blog Terre d’America. Nel 2014 veniva presentato “Preti dalla fine del mondo” di Silvina Premat. Nel 2013 e poi nei due anni successivi è arrivato al Meeting Padre Carlos «Charly» Olivero, collaboratore di padre “Pepe” e insieme fondatori dell’Hogar de Cristo («Focolare di Cristo») di Buenos Aires. Padre “Pepe” è tornato al Meeting anche nel 2016 per partecipare ad un incontro dal titolo programmatico: “Incontrarsi in periferia”.
Alver Metalli era diventato un desaparecido al Meeting di Cl, con partecipazioni saltuarie e molto periferiche, nel senso del peso specifico riservatogli: lo si era visto nel 1983 quando era direttore del mensile “30 Giorni”, poi passarono nove anni prima che si tornasse ad ascoltare la sua voce e nel 2002 parlò di “una scommessa per l’America Latina” (il suo cavallo di battaglia) insieme a Guzman Carriquiry. Poi altri sei anni di attesa e nel 2008 rieccolo ma solo per presentare un suo libro insieme a Giancarlo Cesana (ebbene sì, l’antico leader di Cl era ancora un “capo” al Meeting). Quattro anni dopo Metalli rimetteva piede al Meeting in veste di curatore di una mostra sul bicentenario dell’Indipendenza dell’America Ispanica. Nel 2013 invece ha avuto l’onore di un incontro in Auditorium insieme a don Stefano Alberto, all’ormai immancabile Guzmán Carriquiry e a padre “Pepe”. Tema: “Papa Francesco: con la “lumen fidei” alle periferie dell’esistenza”. Nel 2014 ci è tornato per presentare un suo libro.
Ma sono state molte le occasioni create dal Meeting per “intercettare” l’attenzione del papa venuto dalla fine del mondo. Ad esempio nel 2015 tematizzando l’enciclica Laudato si, e allestendo la mostra sulla Chiesa “villera” a Buenos Aires. Nel 2016 con la tribuna d’onore a padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, (che era intervenuto anche nel 2014) e arrivando ad associare Bergoglio a Manzoni con “l’Innominato in cerca di misericordia”. Nell’ultima edizione poi è stato dato molto risalto al discusso viaggio del papa in Egitto e alle “Testimonianze di frontiera”. Insomma, tutto si fa per te… Francesco. Ma qual è la risposta del diretto interessato? Per ora il lungo e intenso corteggiamento non ha portato a nulla. Per quale motivo? Il papa considera il Meeting non proprio il festival di Mammona ma poco ci manca. E chi serve Dio e Mammona a Bergoglio non piace per niente. Si dice che della “ricchezza” del Meeting, di cui ha avuto informazione dai suoi più fidati frequentatori della kermesse, il papa sia un po’ scandalizzato. E quindi gli organizzatori del Meeting, che hanno avvicinato gli amici di Francesco con la speranza di conquistare il pontefice, si sono dati la zappa sui piedi.
Più in generale Francesco chiede a Cl di diventare un movimento che metta al primo posto i poveri, una sorta di Sant’Egidio o di comunità Papa Giovanni XXIII a guida Carron. Gli esempi non sono citati a caso. Il prossimo 11 marzo Francesco sarà ancora una volta in visita alla comunità di Sant’Egidio. Frequenti gli incontri anche con la comunità di don Oreste Benzi: quando il papa è venuto a Cesena è stato nella casa famiglia che si trova dentro il vescovado e anche a Bologna non è mancato un incontro. Nel 2016 andò in una casa di pronta accoglienza a Roma dove vivono venti ragazze liberate dalla schiavitù della prostituzione. Parte del ricavato della Lamborghini donata al papa è andato per sostenere l’Apg23 in particolare per le iniziative contro la tratta delle giovani donne. C’è molto feeling anche fra il papa e il Sermig di Ernesto Olivero, così come con la realtà di Nomadelfia fondata da don Zeno Saltini nella quale Bergoglio si recherà il prossimo 10 maggio, quando farà tappa anche a Loppiano dai Focolarini. Sono queste le esperienze ecclesiali care a Francesco.
E il Meeting? Se sono i soldi che tengono il papa lontano dal Meeting le strade sono due: rinunciare al papa o al Meeting stesso. Tertium non datur. Una Cl “di strada” suona anche come una grossa forzatura del carisma di Giussani, il quale ha sempre spiegato che “se uno aderisce a Cl è perché la ritiene essere il modo più adatto per vivere la fede”. Ricchi o poveri poco importa. Oppure che “la scelta migliore è una sola: che ognuno compia il ruolo che Dio gli ha assegnato e faccia la volontà di Dio su di lui; non c’è priorità al di fuori di questa”. O anche che “in quanto a concezione Cl è più benedettina che francescana“. Ma ai tempi di Francesco l’identità di Cl è messa a dura prova, come non era mai accaduto nemmeno con Paolo VI.
Il 2 febbraio Carron è stato ricevuto in udienza privata dal papa, al quale è andato a raccontare il “cammino che stiamo compiendo per rendere sempre più nostro il carisma ricevuto da don Giussani”. Il papa però non ha detto altro se non un ringraziamento “per tutto quello che fate” e, al momento dei saluti, la richiesta di continuare a pregare per lui. Un po’ poco. Ma Francesco era stato chiaro davanti al popolo di Cl in piazza San Pietro nel 2015. Aveva detto due cose ugualmente importanti. La prima: “Dopo sessant’anni, il carisma originario non ha perso la sua freschezza e vitalità. Però, ricordate che il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada. Tutta la spiritualità, tutti i carismi nella Chiesa devono essere “decentrati”: al centro c’è solo il Signore!”. La seconda: “Così, centrati in Cristo e nel Vangelo, voi potete essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa “in uscita”. La strada della Chiesa è uscire per andare a cercare i lontani nelle periferie, a servire Gesù in ogni persona emarginata, abbandonata, senza fede, delusa dalla Chiesa, prigioniera del proprio egoismo.
“Uscire” significa anche respingere l’autoreferenzialità, in tutte le sue forme, significa saper ascoltare chi non è come noi, imparando da tutti, con umiltà sincera. Quando siamo schiavi dell’autoreferenzialità finiamo per coltivare una “spiritualità di etichetta”: “Io sono CL”. Questa è l’etichetta. E poi cadiamo nelle mille trappole che ci offre il compiacimento autoreferenziale, quel guardarci allo specchio che ci porta a disorientarci e a trasformarci in meri impresari di una ONG”. Ed evidentemente Francesco ritiene che la strada da lui indicata a Cl (e il Meeting ne è l’espressione socio-politica) non sia ancora stata adeguatamente imboccata.
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