Museo Fellini, tipica idiozia riminista

Museo Fellini, tipica idiozia riminista

E' l’idea stessa d’un museo dedicato a Fellini che non funziona. Come dimostra quello intitolato ad Antonioni a Ferrara, inaugurato nel 1995 e dismesso nel 2006 perché nessuno ci andava.

Cerchiamo di capire il come e il perché d’un Museo Fellini all’interno del “contenitore” di Castel Sismondo.
Dico “capire” perché, nel bene o nel male, le cose hanno sempre un senso e un’operazione del genere corrisponde perfettamente all’anima d’una città che è stata capace di partorire a suo tempo un unicum come il Tempio Malatestiano.
Unico in quanto punto di faglia tra Medioevo e modernità Rinascimentale, esattamente come il Partenone fu a suo tempo punto di svolta tra Arcaismo e Classicità.
Lasciamo stare i motivi, ingegneristici e progettuali, per cui il Tempio è così importante per l’arte Europea, cosa mai capita dai Riminesi i quali, non a caso, l’hanno usato al massimo come contenitore dell’effimero musicale della Sagra.
Sta di fatto che il Tempio Malatestiano è il risultato d’una contaminazione, d’un maquillage stilistico, d’una specie di arredo urbano dell’epoca che, invece di rotatorie e anelli rosa, ha avuto il coraggio di manipolare un manufatto precedente, rimpannucciandolo in abiti Rinascimentali.
A conferma che ai Riminesi, nella loro tumultuosa foga dissacratoria, mai antiquaria, mai conservativa né preservativa, è sempre piaciuto fregarsene d’una monumentalità ridotta a contenitore da reinventare ad penem secondo gli umori del tempo.
Con la differenza che l’operazione Tempio è riuscita, le altre no.
Voglio dire che non riesco a capire tale e tanto stracciar di vesti se uno come Gnassi, riminista fino al midollo, prende la Rocca e la trasforma in un contenitore totalmente estraneo allo spirito Brunelleschiano che l’ha generato.
E non avevano acconsentito per secoli, i Riminesi stessi, che la Rocca servisse come carcere e il famigerato Galli, proprio lì di fronte, ad usum palestra?
Di cosa ci stupiamo?
Pretendiamo forse che una città da sempre saccheggiata e ricementificata dai suoi stessi abitanti (vedi Monte Cavallo in quanto accumulo di macerie accatastate dopo i pogrom, Palazzo Fabbri sostituivo dell’ex Seminario Secentesco, Santa Colomba e il Galli saccheggiati e rapinati dai Riminesi stessi dopo guasti napoleonici prima, del dopoguerra poi), come stupirsi insomma che una città abituata da sempre a razziare e reinventarsi, una città vissuta come set cinematografico e basta, impari a un tratto a museificare?
Quando invece è l’idea stessa d’un museo dedicato a Fellini che non funziona.
Come dimostra il Museo Antonioni a Ferrara, inaugurato nel 1995 e dismesso nel 2006 perché nessuno ci andava.
Un museo si fa infatti con quadri e statue consegnati per sempre all’immobilità d’un attimo fuggente fissato nella sua definitività materica.
Ma il cinema no.
Il cinema non esiste, è proiezione fantasmatica, impalpabilità di sogno, illusione ottica, cialtroneria prestidigidatoria (come diceva Fellini) destinata al macero dell’immaginario onirico, mai rinserrabile in alcun asset museale.
Insomma: l’idea stessa di museificare non un pittore o uno scultore ma un cinematografaro, in una città a sua volta transformer in quanto priva di identità architettonica e monumentale, è una contraddizione in termini a prescindere dal contenitore scelto.
Sarebbe come voler fare un museo di Molo Street o Notte Rosa oppure togliere al Ponte di Tiberio la sua funzione veicolare per trasformarlo in soprammobile urbanistico.
Vi sembra possibile?

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