«Nettamente contrari alla camera acustica virtuale»

«Nettamente contrari alla camera acustica virtuale»

L'opinione dell’Associazione Rimini città d’arte Renata Tebaldi sulle innovazioni che l'amministrazione comunale, contraddicendosi rispetto alle dichiarazioni in fase di inaugurazione del teatro, espresse anche da qualificati esperti, ha deciso di introdurre. Attilio Giovagnoli ripercorre la storia dell'acustica del vecchio e del nuovo Galli e spiega che il previsto "impianto con correzioni elettroniche artificiali e l'uso di amplificazione del suono" non può essere valutato positivamente.

di Attilio Giovagnoli

Quando nel febbraio 2005 il sovrintendente regionale per l’Emilia Romagna Elio Garzillo e l’architetto Pier Luigi Cervellati, principale esperto e consulente nella realizzazione del progetto, presentarono ufficialmente a nome dello Stato al sindaco di Rimini Alberto Ravaioli, nella sala del Giudizio del museo, il plastico e il piano di restituzione integrale filologica e tipologica del Teatro Galli, pareva avviata sulla buona strada la vicenda incredibile e perfino grottesca della ricostruzione del teatro bombardato durante la seconda guerra mondiale e demolito in parti ancora integre fino agli anni cinquanta del secolo scorso.

Il sindaco Ravaioli nel 2005 alla presentazione del progetto del teatro.

Era definitivamente accantonata l’idea della ricostruzione modernista, devastante e invasiva, che con la sua colossale mole avrebbe schiacciato l’attiguo Castel Sismondo del Brunelleschi. Ipotesi scaturita dal concorso di idee del 1985 che per diciannove anni era stata cocciutamente perseguita da tre sindaci, costando alla collettività 6 miliardi e 250 milioni di lire solo per le parcelle di una serie di otto-nove progetti.

Il plastico del Galli, progetto Cervellati.

Seimila cittadini riminesi e una serie impressionante di personalità della musica e della cultura nazionale a cominciare da Renata Tebaldi, Claudio Abbado, Riccardo Muti, Maurizio Pollini, Riccardo Chailly, Andrea e Vittorio Emiliani, Federico Zeri avevano aderito, dal 1997, all’appello dell’associazione Rimini città d’arte contribuendo a far deragliare il progetto modernista in favore del ripristino filologico del teatro storico inaugurato da Giuseppe Verdi sulla base del progetto originale di Luigi Poletti.
La protesta popolare era culminata nel gennaio del 2000 in una manifestazione in piazza Cavour con l’abbraccio al teatro di un migliaio di partecipanti che diede la spinta definitiva per il teatro com’era e dov’era.
Nel luglio del 2001, Vittorio Sgarbi allora sottosegretario del Ministero per i beni culturali, risolse la questione affidando al soprintendente dell’Emilia Romagna Elio Garzillo il compito di attuare il progetto di ripristino del teatro del Poletti.
Il piano fu acquisito dal Comune, ma la battaglia non era finita.
Il sindaco Ravaioli tergiversò per quattro anni affidandosi ad un gruppo di progettazione di tecnici del Comune che inizialmente stravolse il progetto filologico offerto dallo Stato progettando di sventrare la càvea per sistemare una cinquantina di posti in più in platea, prospettando di elevare il tetto sopra il palcoscenico per collocare una torre scenica e pensando di ricavare nel sottosuolo i camerini degli attori.

La sezione longitudinale del progetto proposta dal gruppo di progettazione.

Le proteste della nostra associazione, cui fecero seguito nostri incontri a Roma nel 2011 al Comitato di settore del Ministero per i beni culturali e a Bologna con la sovrintendente regionale Carla di Francesco, sventarono la manomissione della sala polettiana e la realizzazione della torre scenica, ma non gli spazi sotterranei a spese dell’archeologia riminese.
Il prof. Pier Luigi Cervellati fu escluso, senza neppure un grazie, da ogni rapporto di collaborazione e il gruppo di tecnici comunali, guidati dall’ing. Massimo Totti, predispose un nuovo piano che sostanzialmente utilizzava il progetto dello Stato per la forma della sala polettiana, ma non i materiali originali, prevedendo strutture in massima parte in cemento armato compresi i muri laterali dell’edificio e le colonne della sala.
Per aumentare la capienza si cambiò la disposizione delle poltrone della platea eliminando il passaggio centrale. Si aprirono, oltre alle tre della vecchia sala, altre due uscite per la platea.
Da questo momento l’acustica divenne per i tecnici del Comune una vera e propria ossessione e perciò fu inserito nel gruppo un consulente apposito: il prof. Lamberto Tronchin.
Per ragioni acustiche furono realizzati grandi pannelli in legno massiccio scolpiti a rilievo da collocarsi orizzontalmente nella cavea della platea. In seguito tali pannelli furono tagliati e usati per le ante delle porte della stessa platea.

La torre scenica rialzata prevista inizialmente dal gruppo di progettazione.

Nel piano di ripristino filologico Garzillo – Cervellati l’acustica era “affidata al Poletti” che aveva previsto importanti accorgimenti a cominciare dalla stessa impostazione della forma della sala che si allarga progressivamente dal basso verso l’alto, a cono rovesciato, per ottenere una migliore diffusione delle voci di attori e cantanti. Per la stessa ragione aveva ideato la balconata superiore senza ostacoli. La leggera curvatura della volta, impostata sul muro perimetrale, era studiata “come una vela gonfiata dal vento” per favorire la “propagazione del suono”.
Nella parete della cavea, dal pavimento della platea alla base del primo ordine di palchi, Poletti aveva previsto un’intercapedine vuota per favorire le onde sonore. Nelle balaustre dei primi due ordini di palchi erano ricavati all’interno dei vuoti per ricreare i vasi sonori degli antichi teatri greci. Inoltre sotto tutto il piano di calpestio dell’orchestra Poletti aveva collocato una cassa armonica semicilindrica in legno del diametro di 2 metri e 60 per potenziare il suono degli strumenti.
Ma come era l’acustica del vecchio teatro?
In proposito abbiamo consultato varie persone, testimoni diretti oggi scomparsi, a cominciare dal maestro Michele Ferretti, flautista di valore, docente al liceo musicale Lettimi e direttore della banda civica. Ferretti, che aveva suonato regolarmente nell’orchestra del teatro di Rimini, dal suo arrivo dall’Abruzzo nel 1932 fino alla guerra, ci assicurò che l’acustica era molto buona. Dello stesso parere era anche il violinista Italo Roberti.
Un artigiano esperto del mestiere, l’accordatore di pianoforti Baldelli di Pesaro, equiparò l’acustica del teatro polettiano a quella degli altri teatri storici della zona: il Rossini di Pesaro, il Bonci di Cesena, l’Alighieri di Ravenna. La professoressa Maria Luisa Zennari, Sigismondo d’oro, spettatrice assidua in teatro, definì la sua acustica “un prodigio”.
Il maestro riminese Antonio Tonini (Sigismondo d’oro), dal 1946 al 1973 maestro preparatore dei cantanti e maestro sostituto al Teatro alla Scala, collaboratore assiduo di Maria Callas e di Herbert von Karajan, dichiarò che la sala possedeva “notoria eccellente acustica”.
Invano abbiamo cercato pareri sull’acustica nelle lettere dei protagonisti dell’inaugurazione del 1857. Né Verdi né Mariani fanno cenno all’acustica forse perché non c’era nulla da recriminare.
All’epoca l’orchestra era sistemata più verso il centro della platea mentre il palcoscenico era proteso sotto l’arco di proscenio. Quindi la voce dei cantanti e degli attori si dispiegava molto più efficacemente di oggi.
Il modo di fruire gli spettacoli d’opera dal punto di vista acustico cambiò sensibilmente dopo il 1920, quando anche a Rimini fu adottato il nuovo sistema proposto da Arturo Toscanini alla Scala sul modello del teatro wagneriano riducendo il palcoscenico e ricavando il “golfo mistico”, la “buca” per l’orchestra, sistemata come ora sotto l’arcoscenico, per cui i cantanti e gli attori si esibiscono più all’interno del palcoscenico.
Seguendo filologicamente i disegni del Poletti per la sala si sarebbe dovuta ottenere una buona acustica. Tuttavia anche i materiali originali avrebbero contribuito al risultato.
Poletti impiegò il legno per:
la pavimentazione poggiata su un impalcato per la platea;
le balaustre dei palchi del 3° ordine e della balconata (in olmo);
l’orditura delle travi della volta;
le sedie della platea.
Usò i mattoni per la base della cavea, le balaustre dei palchi del 1° e del 2° ordine, i pavimenti dei palchi e della balconata.
Speciali mattoni semicircolari furono utilizzati per le venti colonne corinzie.
Scagliole e gessi per l’intonacatura, stucchi in rilievo per le cornici e le decorazioni dorate.
Imbottiture e velluti per le balaustre dei palchi, tappezzerie in carta per l’interno dei palchi.
La grande volta era in “camercanna”, incannucciato gessato, intonacata a scagliola.

Il gruppo di progettazione del Comune dal 2011 predispose un piano che utilizzava per la sala il progetto della Soprintendenza, fedele alla forma polettiana, ma non ai materiali originali.
I lavori iniziarono nel 2014 e si utilizzarono strutture in massima parte in cemento armato compresi i muri laterali dell’edificio e le colonne della sala.
Chiedemmo più volte di poter visitare il cantiere, senza ottenere risposta dall’assessore alla cultura.
Nonostante le richieste, non riuscimmo ad entrare in teatro fino all’ottobre del 2018 quando, grazie al prof. Francesco Amendolagine, responsabile degli arredi e delle decorazioni, fu possibile una visita con Elio Garzillo, Pier Luigi Cervellati, Giovanni Losavio, Giovanni Rimondini, Roberto Mancini mentre erano in corso gli ultimi ritocchi nell’imminenza dell’apertura.

Quali materiali si sono utilizzati per la nuova sala teatrale?
Cemento armato per le strutture portanti compresi i fusti delle colonne.
Bossole (mattoni forati) per la cavea attorno alla platea, i parapetti del 1° e 2° ordine di palchi.
Il pavimento della platea è in legno così come le cinque porte di accesso e le strutture portanti della volta. Le balaustre di palchi e balconata sono state ricavate da strati di pannelli di MDF (medium density fibreboard) in sostanza pannelli di fibre di legno unite a resina o colla ad alte temperature che sono stati traforati e trattati a gesso sul modello del Teatro della Fortuna di Fano dello stesso Poletti.
I fusti delle colonne in cemento armato sono stati rivestiti ciascuno da tre tronconi di mescola a base di gesso.
Il soffitto della volta è rivestito di pannelli in cartongesso come il resto di gran parte delle pareti della sala.
Le decorazioni in rilievo, compresi i grifoni fra un palco e l’altro del 1° ordine, sono in jesmonite (un gesso addizionato da resina acrilica) “dorati” in foglie di una lega di rame e zinco.

Abbiamo assistito a quasi tutti i concerti e alle opere eseguite nel teatro Galli cambiando posizione di ascolto, dalla platea ai palchi di vario ordine, al loggione annotando di volta in volta le impressioni acustiche e confrontandoci con altri spettatori.
L’acustica del nuovo teatro è cambiata. Dal 2018 al 2020 circa si è usato sul palcoscenico, anche per l’inaugurazione con la Cenerentola di Rossini, l’apparato in legno composto di grandi pannelli semicilindrici convessi che era già in uso per i concerti all’auditorium della fiera.
Premesso che il volume di suono di un’orchestra dipende ovviamente da innumerevoli variabili, dagli esecutori, dall’interpretazione, dal tipo di strumenti, ecc.
A nostro parere l’apparato in legno esaltava gli strumenti a fiato in ottone spesso collocati sul fondo del palcoscenico venivano messi in risalto eccessivamente sovrastando gli altri strumenti. Nel complesso il suono percepito era un po’ ruvido specialmente con i grandi complessi orchestrali.
Viceversa quando suonava un complesso da camera l’acustica è sembrata ottimale e nel loggione non sfuggiva nessuna sfumatura.
Con le grandi orchestre il suono si percepiva più distinto nei vari strumenti dai palchi laterali e più compatto in quelli centrali.
Dal 2021 l’apparato a pannelli in legno non si è più visto. Non sappiamo se fosse nascosto dal tendaggio nero che ha cominciato ad essere utilizzato coprendo il fondo e i lati del palcoscenico o se sia stato tolto. Sta di fatto che il suono delle orchestre è risultato ammorbidito e addolcito e a nostro modesto parere di melomani il risultato era eccellente.
Se problemi c’erano si avevano forse negli spettacoli di prosa dove alcune compagnie utilizzavano l’amplificazione altre no. Ma questo bisognerebbe chiederlo agli attori.
Per l’opera le cose sono andate molto bene fin dall’inizio, come testimoniano anche i giudizi lusinghieri di Cecilia Bartoli e di Valery Gergiev.

Il mezzosoprano Cecilia Bartoli all’interno del Galli.

Anche se la “buca” è troppo profonda rispetto agli altri teatri storici, il suono dell’orchestra risulta ben equilibrato alle voci dei cantanti e ciò si è constatato a cominciare dal Simon Boccanegra diretto da Gergiev.
L’Aroldo di Verdi ha costituito un’esperienza acustica particolare: essendo l’orchestra collocata in platea ha prodotto un suono molto ampio e forte, ma spesso ha sovrastato le voci dei cantanti sul palcoscenico.
In conclusione noi dell’Associazione Rimini città d’arte Renata Tebaldi siamo nettamente contrari al cambiamento recentemente prospettato (qui) che prevede un nuovo impianto con correzioni elettroniche artificiali e l’uso di amplificazione del suono durante i concerti con grandi complessi orchestrali sul palcoscenico.

Fotografia d’apertura: Teatro Galli, Nabucco (in forma di concerto), 18 dicembre 2021.

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