Premio Riccione, ecco i finalisti. A me han dato un calcio nel didietro

Premio Riccione, ecco i finalisti. A me han dato un calcio nel didietro

I possibili vincitori del più antico e nobile premio alla drammaturgia d’Italia sono tutti ‘addetti ai lavori’. Il più noto? Vitaliano Trevisan. In calce, misero appello del nostro redattore: c’è un regista che vuole mettere in scena il suo testo, violentissimo, su Boris Pasternak?

Sarà la volta di Vitaliano? Ecco chi sono i finalisti
La prima notizia è che sono resi noti i finalisti del Premio Riccione. Al di là della cifra in palio, non da poco – 5mila euro – conta la circostanza: questo è l’anno dei 70 anni del Premio. 70 anni fa a vincere il Premio Riccione fu Italo Calvino per la sezione – una e unica nella storia – dedicata al romanzo, e la sconosciuta Midi Mannocci (con lo pseudonimo di Salvo dall’Armi) per la sezione drammaturgica. Il primo sappiamo chi diventò, l’altra si perse tra le nubi dell’oblio. Quale destino capiterà sul cranio del vincitore? Ad ogni modo, niente di nuovo sotto il sole drammaturgico. La giuria, presieduta da Fausto Paravidino, costituita da attori (Giuseppe Battiston, per dire), registi (Emma Dante), esperti (Graziano Graziani, Renata Molinari), direttori di teatro (Claudio Longhi) e intellettuali con il picchio della scrittura (Christian Raimo, recentemente assunto sul podio della storia televisiva per le liti con il duo Belpietro+Sallusti), ha selezionati quattro finalisti piuttosto noti sui palchi del Paese. Il più noto di tutti è Vitaliano Trevisan, che ha collezionato un mucchio di ‘finalissime’ al Premio Riccione, che è scrittore (I quindicimila passi e Works, ad esempio) e scrittore per il teatro (Una notte in Tunisia, per dire, con Alessandro Haber nelle vesti di un Bettino Craxi definitivo), forse per lui questa volta è quella buona. Poi ci sono Francesca Garolla (1981), uscita dalla ‘Paolo Grassi’, drammaturga, attrice, regista, ha attraversato, tra l’altro, testi di Thomas Bernhard e di Ingeborg Bachmann e di Marguerite Yourcenar; Fabio Massimo Franceschelli (1963), scrittore (il suo Italia è stato finalista al Premio Calvino), ma soprattutto, da anni, scrittore per il teatro, regista, saltuario collaboratore a “Hystrio”; Carlotta Corradi (1980), già allieva di Fausto Paravidino (che non è l’omonimo del presidente di giuria del Premio Riccione, è proprio lui), nel 2012, al Teatro Valle Occupato, già messa in scena a Manhattan, drammaturga. Insomma, i finalisti sono tutti tizi che con il teatro ci mangiano, ci lavorano. Applausi. Per comprendere la ‘grana’ linguistica dei premiati, chiediamo che oltre alle veline con il nome dei finalisti e il riassunto della drammaturgia, ci diano in pasto dei brandelli della medesima. Altrimenti: come facciamo a capire se i giurati han scelto bene o meno?

Nessuno mi caga nonostante le più torbide intenzioni
La seconda notizia è che la per la seconda volta resto all’asciutto. Nessuno mi caga come scrittore per il teatro, è poco ma chiaro. La volta scorsa – Premio Riccione 2015 – partecipavo con un testo, torbido, su Ingmar Bergman. Il testo – a kapò piacendo – andrà in scena, con Daniela Giovanetti e Silvio Castiglioni, a Rimini, l’anno prossimo – il centenario dalla nascita di Bergman – chissà dove e chissà quando, vi dirò. Quest’anno partecipavo con un testo dal titolo Processo a Pasternak. Le arcate cronologiche d’appoggio sono almeno due: quest’anno sono i 100 anni dalla Rivoluzione russa, che coincide con la più vasta proliferazione di poeti che l’Occidente ricordi – insieme a Pasternak, Majakovskij, Mandel’stam, Achmatova, Cvetaeva, Blok, Belyj, Esenin… – quasi tutti setacciati, sarchiati, uccisi dal regime comunista; inoltre, sono i 60 anni dalla pubblicazione del Dottor Zivago, caso più politico che estetico, con cui Pasternak vinse il Premio Nobel per la letteratura nel 1958, Nobel che fu costretto a rifiutare dopo le accuse, in patria, di aver “tradito il popolo sovietico”. Nel 1932, poco dopo aver pubblicato Le onde, testo dalle micidiali risonanze etiche (“Imparentati a tutto ciò che esiste, convincendosi/ e frequentando il futuro nella vita di ogni giorno/ non si può non incorrere, alla fine, come in un’eresia/ in un’incredibile semplicità”), Pasternak tenta il suicidio. Il punto centrale del testo, il tentativo, è compiere uno scavo nei rapporti tra arte e politica, tra poesia e potere. Perché il potere per esistere deve nutrirsi del poeta, uccidendolo? Forse la parola poetica comporta, nel suo intimo, una immortalità che intimorisce il potente? Il testo drammaturgico è di lampante semplicità. Boris scrive alla cugina Ol’ga. Intervengono la moglie e il figlio di Pasternak, ma lui, come in estasi (“Quando scrivo devo ripartire da zero. Devo annientare tutto. Lo sai. Lo sai. Sai anche questo. Scrivere è come amare per la prima volta”) li caccia. Nella scena seguente, una delle consuete retate della polizia sovietica irrompe nella casa di Pasternak, con intenti feroci. I soldati insultano il poeta (“Caro poeta merdone, l’uomo non è così complicato come lo dici tu… l’uomo è due braccia per lavorare, una testa per capire che la Russia è la migliore delle mamme possibili, una minchia per chiavare…”), lo menano, lo seviziano. Assistiamo a una specie di rivoltante ‘passione’ e crocefissione del poeta. Pasternak resiste (“La poesia non serve a niente. La poesia bilancia la crudeltà connaturata nell’uomo. Finché qualcuno scriverà una poesia, l’essere umano è salvo”), anche mentre un soldato, letteralmente, lo chiava. Alla fine i soldati se ne vanno e Pasternak prosegue a scrivere alla cugina (“Perché scrivo poesie? Perché è proprio dell’essere umano estrarsi dalla vita, dalla ‘produzione’, per compiere qualcosa di assolutamente inutile, di puramente bello. Di puro. Proprio così. Ma la purezza si paga”). Stop. Dal Premio Riccione mi hanno dato un calcio nel didietro. Facendomi entrare dalla finestra (debbo fare un lavoro d’archivio facendo slalom tra i vincitori più o meno nobili del nobilissimo alloro). Che vergogna. Cercasi regista e produttore per mettere in scena la violenta vitalità di Pasternak, grazie.

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