Quando Licio Gelli veniva in Riviera (e scriveva lettere appassionate a una riccionese)

Quando Licio Gelli veniva in Riviera (e scriveva lettere appassionate a una riccionese)

Finalmente desecretate le relazioni d’inchiesta parlamentare sulla Loggia P2. Vien fuori che il ‘Venerabile’ è al centro di tutti i grandi – e tragici – avvenimenti della storia italiana recente. Ma cosa ci faceva a Rimini e a Riccione?

Oltre 600 pagine di dati. Il vero Romanzo Italiano
Ne dovrebbero parlare tutti, tutti i giorni. Invece zitti. Per grazia di alcuni volenterosi – che han fatto figura di sé alla scorsa edizione del Dig, a Riccione – il sito www.fontitaliarepubblicana.it ha messo a disposizione le relazioni “della commissione parlamentare d’inchiesta sulla Loggia massonica P2”. In particolare, sono pubbliche la relazione di Tina Anselmi, deputato della Democrazia Cristiana, già Ministro del lavoro e della sanità per due Governi Andreotti, e quella di Massimo Teodori, papavero dei Radicali, siglate nel 1981. Insieme, le relazioni sommano oltre 600 pagine che costituiscono, probabilmente, il vero Romanzo Italiano del dopoguerra, altro che Petrolio di Pier Paolo Pasolini.

Gli intrallazzi dell’ex repubblichino con il PCI
Il protagonista di questo Romanzo Italiano dalle tinte atroci è, ovvio, Licio Gelli, “pistoiese, persona di spicco, che trae dalla sua esperienza lunga tutta una vita – che l’ha portato al successo e ad essere temuto anche dai più potenti – i caratteri per riportare i suoi pensieri in un libro”, come recita la retorica didascalia a corredo di un modestissimo libro di poesie A Wanda, con dedica, datata 1993, a una amica riccionese. “Chi non lo conosce come amico di capi di stato?”. Già. Franchista nel 1936, fascista dal 1940, nel 1943 Gelli aderisce alla Repubblica sociale italiana e “diviene ufficiale di collegamento con le SS”. Secondo alcuni è lui ‘l’erede’ del cosiddetto ‘oro di Dongo’, il tesoretto portato con sé da Mussolini durante la furibonda fuga verso la morte, nel 1945. Di certo, Gelli fu abilissimo a giocare, come si dice, su più tavoli. In un capitolo della sua scoppiettante ‘relazione’ Teodori sviscera “la collaborazione Gelli/PCI: scheletro nell’armadio di Gelli, del PCI e dei servizi segreti”, con queste parole definitive: “Fra le tante supposizioni ed ipotesi interpretative, una cosa soltanto non è controversa: che cioè nel 1944-1945 Gelli collaborò con il PCI, attraverso la componente del CLN, e che dal partito gli vennero aiuto e protezione per superare le difficoltà incontrate come repubblichino e collaborazionista, cosa che gli permise di superare indenne quei giorni, forse anche salvando la vita”.

Moro, Rizzoli e il Corriere della Sera “piduizzato”
Il resto, in questo Romanzo Italiano dove nessuno è innocente, è la trama di un sistema di relazioni ‘spericolate’, con l’intento di sostituire allo Stato, costituito dagli eletti dai cittadini, un contro-Stato, anzi, un altro-Stato, fatto da quelli che contano per davvero. La P2 di Gelli sarebbe dietro i fatti più clamorosi della storia italiana recente: il golpe Borghese del 1970, ad esempio, la strage dell’Italicus del 1974, in cui morirono 48 persone (così la Anselmi: “la Loggia P2 è gravemente coinvolta nella strage dell’Italicus e può ritenersene anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale”), la vergognosa fine di Aldo Moro (così Teodori: “In mancanza di mia verità provata circa il complotto contro Moro, in particolare per quel che riguarda il suo mancato ritrovamento, in questa sede dobbiamo concludere che le molte tracce della presenza P2 in tutto il caso devono esser lette nel senso di un contributo necessario all’esito della vicenda: la consegna della morte di Moro alla politica italiana come momento cruciale per gli assetti della Repubblica”). Teodori ricostruisce i rapporti tra Angelo Rizzoli, l’editore, e la Loggia P2, squaderna “la politica del Corriere della Sera piduizzato”, capisce che l’azione politica passa tramite quella editoriale, della comunicazione (“il rapporto fra la Rizzoli a direzione piduista e il sistema di partiti si consolida ad un punto tale che sarebbe stato impensabile ad una qualsiasi altra lobby di riuscire ad esercitare tali e tante influenze per strappare un regalo o un furto di molte centinaia di miliardi dallo Stato”). Insomma, l’operatività di Gelli faceva comodo a tanti, a quasi tutti.

A Riccione i papaveri della P2?
Il resto, leggetelo voi, è la faccia ignobile degli italiani del ‘volemose bene’. A noi, oggi, preme ricordare i rapporti tra Licio Gelli, guru della P2, e la Riviera romagnola. Stando alle testimonianze di Carla Venturi, collaboratrice di Gelli, rilasciate nel 1985, è certo che il ‘Venerabile’ passasse le vacanze a Riccione e a Rimini. Secondo alcuni non faceva soltanto passeggiate in riva al mare. “Beh, a Riccione veniva tanta gente. Si sono prese decisioni grosse, sai?”. No, non lo so. “Diciamo che era un posto discreto, lontano dalle grandi città, dalla vasta sorveglianza…”, mi dice un riccionese, all’epoca dall’altra parte della barricata, imbarcato in Lotta Continua. Ci pensavate voi a controllarlo, giusto? “Facevamo il possibile”. Ho capito, non si cava olio dalle pietre.

Gianni Fabbri e la tragica fine della figlia di Gelli
Un paio di coincidenza narrano i rapporti di Gelli in Riviera. Intanto, “la figlia prediletta” di Gelli, Maria Grazia, era la compagna di Giovanni ‘Gianni’ Fabbri, l’imprenditore della notte, l’uomo del ‘Paradiso’. La figlia di Gelli muore in un terribile incidente stradale, nel giugno del 1988: al volante della Mercedes 560Sec c’è proprio Fabbri, salvo per miracolo nello scontro avuto, presso l’uscita autostradale di Calenzano, con un autocarro. “Maria Grazia Gelli stava rientrando a Firenze dopo una breve vacanza sulla riviera adriatica. Era insieme ai due figli, Andrea e Alessio, di 7 anni, e alla baby sitter, una giovanissima ragazza finlandese, Sary Makkonen, anche lei deceduta”, ricorda il ‘pezzo’ di Paolo Vagheggi uscito su la Repubblica il 22 giugno di quell’anno. La seconda circostanza non è così tragica.

20 anni di ‘confessioni’ a una riccionese. “Ho percorso il calvario come Cristo”
Per l’ultima parte della sua vita, dal 1993 al 2014, Licio Gelli tiene un consistente epistolario – trenta lettere, svariate cartoline e una ricca messe di libri autografati – con la riccionese Luisa Goldoni. A lei il ‘Venerabile’ si esprime con retorico garbo, con grafia elegante. “Era una persona squisita. Siamo rimasti in contatto fino alla sua morte: sono anche andata a trovarlo a Villa Wanda, quando era ai domiciliari…”, ricorda la signora. La lettera più intensa è datata 23 aprile 2000. “Sono mortificato per le poche notizie che Le invio, ma mi creda per le ingiustizie e persecuzioni di cui sono stato e sono oggetto da tanti anni, mi hanno quasi debilitato”, attacca il ‘Venerabile’. La grammatica un po’ sgangherata non impedisce a Gelli di presentarsi come un ‘secondo Cristo’: “Ho percorso tutto il calvario come Cristo, flagellato e con un fardello di una croce che per Cristo ebbe durata, mentre per me è un cammino che dura un ventennio. Le dirò che la Croce di Cristo l’avrei portata volentieri, ma quella ordita da un gruppo di magistrati criminali agli ordini dei comunisti – che non mi perdonano le mie idee e la partecipazione alla guerra spagnola – ove furono battuti per la prima volta sul piano militare, non mi rassegno e non avranno la soddisfazione di vedermi di andare a chiedergli ‘perdono’”. La lettera, in italiano sghembo, è scritta con concitata furia. Il desiderio denunciato di tornare a Riccione, a trovare la confidente, va in malora a causa dei guai giudiziari che affollano e affliggono Gelli: “purtroppo per effetto di quest’ingiusta persecuzione, non sono nelle condizioni di poterLa incontrare e neppure di poterLe telefonare ma, dovremmo essere arrivati a scrivere la parola fine su quest’assurda odissea, almeno io lo spero”. L’epistolario ‘riccionese’ di Gelli sembra dare un po’ di ristoro a un uomo dalle mille maschere, dai molti enigmi.

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