Ci sono il Comune, la Provincia, l'Università, l'Agenzia del piano strategico, la Camera di Commercio, la Regione e la Diocesi. Di chi si sono dimenticati? Di chi è la proprietà di alcune delle opere più significative sulla scuola del Trecento, e che da decenni finanzia restauri, mostre e pubblicazioni? Un altro aiutino? La Fondazione Cassa di Risparmio.
Il 29 settembre, a ridosso del voto per il rinnovo del consiglio comunale, l’amministrazione comunale ha annunciato di avere definito il comitato promotore a sostegno della candidatura per l’agognato riconoscimento di capitale della cultura 2025. Probabilmente alla notizia non è stato dato troppo peso, anche perché tutta l’attenzione in città era dedicata alla tornata elettorale, ma da quel comitato si è subito notata una assenza eccellente. Chi ha messo insieme gli enti chiamati a sedersi nell’organismo designato a portare la città verso l’ambiziosa meta non pare abbia tenuto conto di tutti gli “attori” in campo.
Chi ne fa parte, infatti? Il Comune di Rimini, ente capofila del progetto, la Regione Emilia Romagna, la Provincia di Rimini, la Diocesi, l’Agenzia del Piano strategico, l’Università degli studi di Bologna e la Camera di Commercio della Romagna.
La domanda che va subito introdotta per valutare se l’elenco possa essere considerato completo è la seguente: quali sono i tesori culturali di cui Rimini dispone e che andranno a pesare nella scelta della città capitale della cultura?
Per limitarci ai simboli indiscussi, il Tempio Malatestiano, Castel Sismondo (ormai requisito dal museo Fellini), la chiesa di Sant’Agostino, la Rimini romana, le bellezze esposte nel Museo della città, il Teatro Galli. Parlando di Sant’Agostino e del Museo è facile collegare immediatamente l’altra grande ricchezza che ci appartiene ma che, più propriamente, ci è invidiata ben oltre i confini locali: il Trecento riminese. E di chi è la proprietà della gran parte delle opere del Trecento riminese, oltre che della Diocesi, “in “prestito” al Museo? Della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini. Che, non a caso, è stata anche chiamata dall’assessore alla cultura della giunta Gnassi, Giampiero Piscaglia, a far parte della commissione – voluta dal Comune di Rimini – sulla valorizzazione del Trecento riminese. E allora se la saranno dimenticata? E come è stato possibile?
Il tesoretto della Fondazione Carim: le opere d’arte depositate ai Musei comunali
L’elenco delle opere è lungo e comprende fra l’altro perle come “l’Incoronazione della Vergine, Santi, scene della Passione e morte di Cristo” di Giuliano da Rimini, “La Crocifissione” di Bitino da Faenza, il “San Giovanni Battista” di Lattanzio da Rimini, il “Cristo crocifisso”, o Crocifisso “Spina”, di anonimo riminese del secolo XIV, le “Storie della passione di Cristo” di Giovanni Baronzio.
E chi è l’ente sul territorio più attivo da sempre sul Trecento riminese? E’ in corso a palazzo Buonadrata, e sarà aperta fino al 7 novembre, la mostra L’oro di Giovanni, che si sviluppa intorno al Crocifisso di Mercatello, l’antica croce che proviene appunto dalla chiesa di San Francesco a Mercatello sul Metauro, dipinta nel 1309–1314 da Giovanni da Rimini, secondo Daniele Benati (che ha curato l’esposizione assieme ad Alessandro Giovanardi) «il più antico e il più nobile tra gli artisti della scuola fiorita nella città romagnola in seguito al passaggio di Giotto». Ed è la Fondazione Carim che ha promosso questo importante evento, insieme a Soroptimist International Club di Rimini, che vede anche il coinvolgimento diretto dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose Marvelli.
E c’è la mano della Fondazione anche nella pubblicazione del prezioso volume Il Trecento riscoperto. Gli affreschi della chiesa di sant’Agostino a Rimini presentato due anni fa alla presenza di Antonio Paolucci.
Risale poi all’estate appena conclusa un’altra iniziativa della Fondazione che ha visto esporre in Cattedrale due capolavori di Guido Reni e Guercino.
Per coloro che hanno deciso di confezionare un comitato promotore senza la Fondazione Cassa di Risparmio, sarebbe stato sufficiente sfogliare la rassegna stampa. Si sarebbero così imbattuti, oltre che nelle notizie fin qui accennate, anche nel discorso che il presidente della Fondazione, Mauro Ioli, pronunciò inaugurando in Duomo l’esposizione dei dipinti di Guido Reni e del Guercino: «E’ noto che le opere del nostro Istituto costituiscono buona parte dei tesori trecenteschi esposti presso il Museo di Rimini, per questo e per quanto rappresenta, alla Fondazione va riservato un ruolo non secondario nell’elaborazione di un progetto di ampia e coerente promozione culturale, a beneficio della comunità locale e nazionale così come degli studiosi, degli appassionati, dei visitatori, dei turisti. In tal senso la Fondazione continuerà a vigilare per custodire, dare valore e nuovo significato a quanto possiede; anzi non escludendo di rivalutare autonomamente nei propri Organi di indirizzo e di amministrazione, pure avvalendosi delle consulenze necessarie, le migliori destinazioni e le collocazioni del proprio patrimonio d’arte».
Che dire? E’ già domani, ma c’è tempo per rimediare, e il neosindaco Jamil potrà subito dar prova del nuovo corso che ha annunciato in campagna elettorale, più inclusivo e rispettoso di ogni realtà operante sul territorio, e nel caso della Fondazione davvero da vecchia data. Anche perché, l’amministrazione comunale a proposito del comitato promotore di Rimini capitale della cultura ha parlato di «articolata struttura di governance di un progetto che prevede un importante lavoro partecipativo della città». Anche Jamil e Giorgio Tonelli (coordinatore del comitato) adesso lo sanno, si spera provvedano di conseguenza.
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