Su un diverso modo di impiegare i soldi pubblici per la cultura

Su un diverso modo di impiegare i soldi pubblici per la cultura

In una città a noi vicina, della Romagna, un bell’esempio di valorizzazione di un palazzo storico destinato a diventare uno scrigno di tesori culturali. Lettera.

È recente una bella notizia annunciata nelle locandine da edicola dei quotidiani locali di sabato scorso riguardante la cultura. L’investimento di ben 4.4000.0000 di euro, di cui 3 milioni finanziati dal Ministero della Cultura oltre a quelli messi a disposizione dall’Amministrazione comunale, attiene alla realizzazione della nuova Pinacoteca. Essendo quindi locali, la scontata ovvietà faceva pensare alla nostra città.
Poi approfondendo l’annuncio, tranquilli, non si trattava di un miracolo e non vi era nulla di che stupirsi, perché non si trattava di un’iniziativa presa a Rimini ma, purtroppo per noi, a Cesena.

Il progetto, peraltro ambizioso, prevede, tra l’altro, un restauro filologico del Palazzo O.I.R., con la restituzione dello stesso agli antichi splendori, che dovrà albergare quel nuovo scrigno culturale; evito la parola “contenitore”, poiché malamente abusata dal suo – cessato dalla carica – utilizzatore anche a proposito di Castel Sismondo. Poi un bookshop, un’aula didattica ed altri servizi utili ad una sua più completa fruibilità.
Un bell’esempio con cui si mostra come l’importanza di un palazzo storico viene valorizzata ulteriormente divenendo uno scrigno di tesori culturali. Di opere d’arte consone alla dignità dell’edificio, non un museo di cose che nulla vi attengono. Ma anche di come si spendono bene i denari destinati a veri progetti culturali.
L’Emilia Romagna è indiscutibilmente terra di cultura, che conserva le proprie radici e le valorizza. Gli interventi in tal senso non sono pensati per un consumo rapido, futile e finalizzato al piacimento di masse di turisti – peraltro – improbabili, ma al bello ed al rapporto con il territorio e con persone che abitano e vivono in quei siti in cui quei valori culturali sono radicati.
Basti pensare a città come Ravenna, Bologna, Modena, Parma, ma senza allontanarci troppo dalla nostra area, è realtà ciò che esprime Forlì con il Museo di San Domenico dove ogni anno si organizza una mostra tematica, che vede un numero di partecipanti a più di cinque cifre. Fa eccezione Rimini, non in senso positivo purtroppo, ma per l’esatto opposto della filosofia diffusa non solo in Regione, ma anche in tantissime città storiche italiane.
A Rimini invece Castel Sismondo, definito da un esimio storico locale «museo di sé stesso», è stato banalmente e brutalmente sacrificato a temi che nulla hanno a che vedere con lo stesso. Con il conseguente avvilimento sia di quel monumento e di quello che rappresenta, che degli oggetti che contiene al suo interno e di colui a cui sono riferiti.
Ma siamo in una città in cui sebbene tutto si immagina, o lo si dovrebbe, quel concetto resta cosa astratta. Qui da noi non si immagina nulla, né si inventa, ma si sanno solo scopiazzare, pure male, modelli che si ritrovano in qualsiasi anonima città del mondo.

Non leggeremo mai la notizia in cui si annuncerà la restituzione e fruizione ai riminesi di Palazzo Lettimi, o di ciò che rimane dell’ex Convento San Francesco alla città, specie per fini museali. Destinati a strani impieghi, di cui se ne legge qualche vago intendimento di impropria destinazione di tanto in tanto. Di certo due vergognosi esempi di degrado e di sciatteria cittadina, nel Centro di Rimini.
Gli impreparati gestori nostrani della cosiddetta cultura, la travisano in funzione di un consumo turistico da parco dei divertimenti, ma non per l’arricchimento della città. E così si campicchia con mirabolanti allestimenti, improbabili attrattori di visitatori internazionali che mai verranno. Avete mai visto frotte di turisti stranieri fare la fila di fronte a questi musei?
Una piccola pensata provinciale, che connota un paesone per ciò che in realtà è ma che vorrebbe essere tutt’altro, e che neppure le panche da circo e le finte nebbie in una desolata piazza aiutano; e per questo tarpata delle sue grandi potenzialità. E pensare che c’è pure chi si continua a gongolare per quel nulla che ha messo in piedi, con varie continue ri–inaugurazioni a stralci, con nani e ballerine.
Resta solo l’amarezza di assistere alla differenza con cui si spendono i fondi dedicati alla cultura in altre città, rispetto alla nostra. Rimini ostaggio di chi non solo non ha avuto la visione del futuro, ma che non hanno saputo caratterizzare un luogo ma lo ha omologano alla mediocrità ordinaria.
Nessuna visione innovativa, neppure la capacità di copiare modelli vincenti, ma solo presunzione, improvvisazione e discutibile impiego di soldi; tanti, e spesi malamente.
Personaggi inadeguati rispetto coloro che in un lontano passato, e specie nel Rinascimento, fecero grande, importante e nota la città.

Salvatore de Vita

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